Shama 18 marzo 2019 – Dedicazione della Chiesa “Maria Decor Carmeli e San Giovanni XXIII papa” (omelia)

21-03-2019
Carissimi fratelli e sorelle,

non è facile esprimere a parole la gioia e la commozione di questa Celebrazione, nella quale si incrociano tanti significati. Così, desidero che la mia prima parola sia «Grazie!». Grazie a Dio, per il dono inatteso e fecondo di oggi. Grazie a tutte le autorità. Tutti vi ringrazio, salutandovi con le parole del Canto al Vangelo che riprende il Salmo 83: «Beato chi abita la tua casa, Signore, senza fine canta le tue lodi». Sì, oggi ci sentiamo a casa, accolti in questa casa che è la Missione UNIFIL in Libano; Missione sostenuta anche dall’Italia, che in questo periodo ne è alla guida ed è presente con circa 1100 dei nostri militari. Una Missione di Pace, promossa dalle Nazioni Unite, a cui sono affidati il monitoraggio e il controllo della cessazione delle ostilità, il supporto alle Forze Armate libanesi, nonché l’assistenza alla popolazione locale attraverso i progetti di Cooperazione Civile e Militare. Potremmo dire, una casa tra le case della gente e che vuole aiutare questa Nazione, terra di grande bellezza e apertura accogliente, ad essere casa nella quale regni la pace.   Consacriamo, oggi, una Chiesa, Casa di Dio. La dedicazione è un atto di grande solennità, in quanto trasforma un edificio in luogo sacro, segno della Presenza di Dio tra gli uomini. Forse non è facile cogliere tale valore in un tempo in cui il senso del sacro sembra smarrirsi; in questo senso, la tradizione orientale ci viene in aiuto e ci viene in aiuto, soprattutto, ricordare come Gesù abbia paragonato il «tempio» a se stesso (Gv 2,19-22). Gesù Cristo, fatto Uomo, è la presenza di Dio tra gli uomini; nell’inizio del Vangelo di Matteo che oggi abbiamo ascoltato (Mt 1,16.18-21.24), la nascita di Gesù è collegata alla profezia di Isaia che annuncia l’Emmanuele, il «Dio con noi» (Is 7,14); ed è una presenza che non finisce, quella di Gesù, come conferma significativamente proprio la conclusione del Vangelo di Matteo: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Sì. Cristo è con noi! Cristo è Uomo tra le case degli uomini, è Uomo negli uomini; negli uomini che voi, carissimi militari, vi sforzate di proteggere, difendere, sostenere in un processo di pace segnato da difficoltà e speranza. Cristo è in questo luogo ove la pace si cerca di custodire e promuovere, grazie alla cooperazione tra militari di tanti Paesi diversi, con diverse culture e religioni; tutti – è un dono stupendo – avete lavorato insieme alla preparazione di questa Chiesa e operate insieme nel quotidiano, armonizzati dal dialogo che si respira nella realtà interreligiosa del Libano e dalla ricerca comune del bene della pace, via privilegiata di comunione e dono di Cristo. Cristo è la nostra pace, la Sua è Presenza che porta, insegna e alimenta la pace. E Cristo sarà Presenza Viva quando, su questo Altare consacrato, il pane e il vino si trasformeranno nel Suo Corpo e Sangue. Il pane è frutto del lavoro dell’uomo; dunque, non un pane generico, ma il frutto del lavoro che voi svolgete in questa Missione di pace sarà ogni giorno pane offerto a Dio, spezzato e condiviso con i fratelli, assieme al vino, simbolo della gioia della fraternità; pane e vino concreti, trasformati eucaristicamente in cibo e bevanda di pace per questa Chiesa, per questa casa, per questo luogo.            E in questo luogo anche Papa Giovanni è “di casa”. Lo è in quanto oggi dedichiamo una Chiesa “militare” a lui che fu soldato e cappellano militare: esperienza, questa, che ha profondamente inciso nella sua vita insegnandogli aspetti importanti della pace. Lo è perché l’Oriente fu terra servita e profondamente amata nel suo ministero di Nunzio apostolico, soprattutto in Bulgaria e Turchia, ove curò il rapporto diretto con la gente e le autorità, seminando germi di pace in particolare nell’impegno ecumenico e nel dialogo interreligioso. Lo è perché in Libano egli venne più volte: durante il primo Pellegrinaggio in Terra Santa nel 1906; da nunzio apostolico di Turchia al Congresso Eucaristico del 1939; da cardinale e Legato Pontificio quando, esattamente 65 anni fa, al Congresso Mariano incoronava Maria Regina del Libano, con un diadema donato dal Capo dello Stato. Ricorderà commosso la straordinaria esperienza di comunione e pace fatta in quei giorni alla presenza di patriarchi, arcivescovi e vescovi rappresentanti dei vari riti – maroniti, greci, siri, armeni, caldei, copti, latini – e di una folla immensa rapita in canti, preghiere e acclamazioni[1]. Sul retro di una fotografia che lo ritrae assieme ad altri prelati e personalità libanesi scriverà: «Come si vede non c’è uno che si assomigli ad un altro: cattolici: ortodossi: mussulma-ni: ecc. ex omni genere. In tutti però un comune sentimento di rispetto e di amore alla “Regina del Libano”, al S. Padre, alla evangelica fraternità»[2]. E nell’omelia della Messa non mancherà di evidenziare «la magnificenza e lo splendore dei sacri riti secondo le forme di ciascuna comunità e di tutte insieme, offerenti nel Libano uno spettacolo unico al mondo»[3]. Oggi Papa Giovanni ritorna in Libano da Santo e da Patrono dell’Esercito Italiano. Il Papa della pace viene in questa sua casa e vuole farci comprendere quanta responsabilità di pace sia affidata alle Forze Armate, dinanzi a nuove tipologie di conflitti che richiedono una Difesa internazionale sempre più unita e competente ma, al contempo, sempre più attenta a frenare le logiche di odio e vendetta, potere e sopraffazione, esclusione e lesione della dignità umana, capaci di infuocare tanto le guerre mondiali di ieri quanto le lotte interne, la criminalità, il terrorismo fondamentalista, che oggi seminano paura e morte. Viene, Papa Giovanni, a educare i nostri e i vostri cuori affinché, da operatori di pace, possiate costruire e indicare itinerari di riconciliazione nella pacifica e operosa convivenza tra culture, razze e religioni. Anche Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar, nella Dichiarazione congiunta di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019, esprimono «la forte convinzione che i veri insegnamenti delle religioni invitano a restare ancorati ai valori della pace; a sostenere i valori della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune» e chiedono di «impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli».   Assieme a Papa Giovanni, questa Chiesa viene dedicata a Maria, Decor Carmeli. A immagine della Chiesa, Maria è casa di Dio. Oggi il Vangelo la mostra «incinta», letteralmente con un bambino «nel suo grembo» (in greco, en gastrì échousa). Ella è casa che ha portato e porta nel grembo Gesù, nel cui nome è la salvezza. Gli esegeti spiegano che il nome «Gesù» (YESHUA- Dio salva) è in parte contenuto nell’anagramma misterioso che l’Antico Testamento riserva al nome impronunciabile di Dio (YHWH). Gesù salva non con una potenza che lascia l’uomo passivo, ma con il perdono dei peccati: ricostruendo la relazione con Dio che guarisce tutte le relazioni umane – familiari, fraterne, sociali, istituzionali – e, così, suscita pace, dona vita. Nel grembo di Maria, Gesù è concepito «per opera dello Spirito Santo» il quale, nella Bibbia, è «fonte della vita», fin dalla creazione. Sì. La vita è il risultato dell’intervento diretto di Dio! Il «sì» di Maria permette una nuova creazione, perché Gesù rinnova l’uomo, lo “ricrea” e semina nel suo cuore la riscoperta del valore intangibile della vita e della dignità umana, fondamento della pace che voi militari difendete con impegno, fino a offrire la vostra stessa vita. E il soffio di questa nuova creazione è oggi implorato in modo drammatico anche dal creato, casa comune degli uomini, del quale voi vi prendete cura, proteggendolo da distruzioni e manipolazioni indiscriminate, spesso all’origine di calamità naturali, desertificazioni e cambiamenti climatici, che tendono a spegnere la bellezza del giardino di Dio. Nella Bibbia, invece, il Libano è terra lussureggiante, sinonimo di bellezza e fecondità, come il Monte Carmelo. Guardando a questo Monte, che si erge non lontano da qui, guardiamo verso l’Alto, verso l’Infinito, di cui il cuore umano ha una sete inestinguibile, racchiusa nell’anelito trascendente che anima la sua dimensione religiosa, elemento fondante la libertà degli uomini e dei popoli, sui quali Maria veglia materna, pure dal monte dove la contempliamo Regina del Libano.   Anche Giuseppe, del quale celebriamo oggi la festa – che, peraltro, ricorda l’anniversario di ordinazione episcopale di Roncalli -, contempla Maria. Giuseppe ci viene presentato come custode del Figlio di Dio; la sua discendenza da Davide evidenzia la dimensione messianica di Gesù e l’appartenenza al suo popolo. Giuseppe è chiamato a «prendere» – il verbo greco paralambàno è molto concreto – Maria con sé, nella sua casa; così, egli potrà «dare il nome» a Gesù, ciò che è compito del padre, e innestarlo nel suo popolo. E Giuseppe fa questo perché – dice il Vangelo – è «giusto»; è «giusto» in quanto osserva la legge, prendendo persino in considerazione la possibilità di ripudiare in segreto la sua fidanzata, ma proprio il suo essere «giusto» lo identifica come uomo che compie la volontà di Dio. Si tratta di quella giustizia che lo stesso Vangelo di Matteo definisce «superiore» (cfr. Mt 5,20). «Si tratta – scrive Benedetto XVI – di interpretare ed applicare la legge in modo giusto. Egli lo fa con amore […] vive la legge come vangelo, cerca la via dell’unità tra diritto e amore»[4].   Carissimi fratelli e sorelle, cercare l’unità tra diritto e amore! Voglio riassumere in queste poche parole il segreto della pace che in questa Missione Internazionale, e in questa terra Santa e meravigliosa, anima il vostro impegno di militari, diventando messaggio per altri. Una unità sempre possibile e sempre più necessaria, nel nostro mondo che spesso si rifugia in un legalismo escludente e senza carità o in un pacifismo irreale e lontano dai bisogni dei più fragili. Una unità che questa Chiesa ci ricorderà sempre, con il suo essere, direbbe S. Agostino, fatta di legni e di pietre tenuti insieme proprio dalla comunione; con il suo voler essere casa per voi, militari cristiani, ma anche per i tanti uomini, donne e bambini che il vostro servizio incrocia e difende, per i fratelli di altre culture e religioni che la vostra presenza abbraccia. Questo abbraccio di pace Papa Giovanni ha saputo imparare sempre, dalla vita militare come pure dalla significativa esperienza in Oriente e in Libano, e lo ha poi rivolto al mondo. Auguro di cuore, a voi militari e a tutti noi, di contagiare con un tale abbraccio la terra splendida che ci ospita, le realtà personali o istituzionali nelle quali la nostra missione ci pone, per essere autentici custodi della pace portata da Gesù Cristo, vivente nel grembo della Chiesa e nel grembo di Maria. A Lei, Luce del Libano e Decor Carmeli, assieme ai santi libanesi, in particolare a San Charbel, affidiamo con fiducia di figli le sorti dell’umanità, afflitta ancora da odi e da guerre ma sempre assetata di giustizia, di amore, di Infinito, perché trasformi il mondo in «casa», nella quale ritrovarsi fratelli per cantare la lode del Signore. E così sia!  X Santo Marcianò


[1] Cfr Lettera ai fedeli di Venezia, del 5 novembre 1954
[2] Angelo Giuseppe Roncalli – Giovanni XXIII, Pace e Vangelo, Agende del Patriarca 1, 1953-1954 (a cura di Ennio Galavotti), Bologna 2008, nota 865 p. 371
[3] Ivi, nota 874 p. 373
[4] Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù, Rizzoli, Milano 2012, p. 51