Mons. Frisina: “anche a noi, come a Pietro e ai discepoli, Gesù rivolge l’invito a seguirlo”

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(18-04-2016) Il secondo giorno dei cappellani militari in Terra Santa, inizia molto presto. Saliti sul pulman, mons. Frisina, noto compositore di musica liturgica ed esperto biblista, saluta i preti e l’Arcivescovo. Sarà infatti la guida degli esercizi. L’autobus, per un attimo diventa luogo di preghiera con la recita delle lodi, e le voci dei sacerdoti si fondono con la creazione che loda senza sosta il Padre che abita i cieli. Giunti al lago di Tiberiade, sostiamo presso il “giardino del primato di Pietro”. In questo luogo benedetto, sorge una piccola Chiesa, modesta e lineare che ricorda  diversi episodi della vita di Gesù raccontati dai Vangeli.  Mons. Frigerio, vicario generale, commenta: “siamo nella prima cattedrale della cristianità. Durante i secoli ne sono state distrutte e costruite tantissime, ma questa è rimasta intatta. Così come l’ha voluta Gesù”. Radunati sotto un grande albero dove è  collocato un altare circolare, Padre Cesare spiega la storia del posto, proponendo la lettura di Egeria, la nobildonna del IV secolo che dopo il viaggio in Terra Santa, ha lasciato un diario che ancora oggi riesce a trasmettere tante emozioni. Così scrisse: “…non lontano da Cafarnao si vedono i gradini di pietra sopra i quali il Signore stette”. Tabga, si trova sulla riva  del lago di Tiberiade. Questo luogo fu oggetto di culto nei primissimi anni del Cristianesimo e fa riferimento all’episodio evangelico del conferimento a Pietro del primato all’interno del gruppo degli Apostoli e della Chiesa (cfr. Giovanni 21,1-19). Scavi effettuati dai Francescani ne 1968 hanno portato alla luce tracce di un’antica cappella d’epoca bizantina e datata tra IV e V secolo, che cadde con le invasioni persiana ed araba. Nei secoli successivi continuano le testimonianze di pellegrini che affermano l’esistenza sul luogo di un edificio religioso, chiamato Chiesa degli Apostoli o dei Dodici Troni. I crociati, nel XII secolo aggiunsero alla chiesa un castello fortificato. Il tutto cadde con la fine del regno crociato ed il luogo fu definitivamente abbandonato. L’attuale edificio venne ricostruito dai francescani nel 1933, ricalcando le strutture di quello antico; e come quello antico incorpora in sé la roccia, nota come la “mensa domini”, sulla quale avrebbe mangiato Gesù con i discepoli, con i gradini visti da Egeria che sporgono dal muro della chiesa, sul lato sud verso il lago. A termine della descrizione, viene proclamato il brano di Giovanni che narra l’incontro del Risorto con Pietro e gli altri discepoli. “Tutti noi – commenta don Marco -, abbiamo iniziato la nostra esperienza incontrando Cristo. Lui ha accolto ciascuno nei momenti del dolore, e della crisi. Nonostante tutto, il Signore non si è stancato e non si stanca di invitarci ad ascoltare la sua voce. Vuole che lo seguiamo con generosità. La sequela è condivisione della vita con il maestro. Il pericolo dei preti é quello di abituarsi a seguirlo. La routine quotidiana se non viene spezzata può portare alla morte spirituale, perché invece di andare dietro al maestro seguiamo i nostri desideri. L’insoddisfazione può nascere dal fatto che Gesù  non è quello che immaginavamo. Quindi la tentazione è quella di voltarsi indietro, per recuperare le comodità e le sicurezze di un tempo. Ma seguirlo, significa andare dove lui indica. L’attenzione posta dall’evangelista Giovanni nei confronti di Pietro che va di nuovo a pescare chiamando gli altri, è segno della risposta positiva alla chiamata di Gesù. In questo contesto particolare e misterioso, nessuno osa chiedere “chi sei”. Lo sanno bene. Il Signore chiede di mangiare. Come faceva sempre. Ma spezzare il pane assume quella fondante dimensione eucaristica, memoria perenne di ciò che è stato fatto per la salvezza degli uomini. Il mangiare è segno di condivisione, non più per la condanna, ma per la vita. Dunque, il Risorto si avvicina, e spezza il pane, chiedendo a Pietro: “mi ami più di questi?”. Le profezie di Gesù a Pietro, vengono rivolte a noi: lui tende la sua mano per rassicurare e confermarci nel cammino. Pietro aveva il cuore che arrivava prima della testa. Ma il suo amore per Cristo, supera ogni ostacolo quando si fida di Lui. Nel rapporto con il Signore è necessario convertirsi, aprire il cuore. Dio lo sa che non siamo perfetti, ecco perché dice: “seguimi”. Dunque anche noi rispondiamo: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo”, conclude mons. Frisina.   A termine della meditazione, abbiamo sostato in silenzio in questo luogo che ha sconfitto il tradimento umano con la fiducia incondizionata di Dio, forse per avere l’occasione di vedere Gesù, e i suoi discepoli, e per risentire le stesse parole che hanno segnato la storia della chiamata ad essere discepoli e testimoni della Parola fatta carne che ha sofferto fino alla morte di croce. Ma è arrivato il tempo di andare. In pulman raggiungiamo Cafarnao per visitare la casa di Pietro e la sinagoga bianca. Nel 1968, dopo 42 anni, il cantiere di Cafarnao fu riaperto sotto la direzione di P. Virgilio Corbo ofm, precisamente il 16 aprile, nel centenario di San Pietro. P. Corbo, forte dell’esperienza appena conclusa alla fortezza dell’Herodion, indirizzò le ricerche sulla chiesa ottagonale di età bizantina che era stata messa in luce nel 1921 da P. Gaudenzio Orfali e nel 1925 da P. Antonio Gassi che ne scoprì l’abside. I mosaici furono tolti dalla loro sede per conservarli meglio. Questo consentì di approfondire lo scavo al di sotto delle strutture bizantine.  Circa una settimana dopo l’inizio dei lavori P. Corbo, assieme a P. Stanislao Loffreda, P. Bellarmino Bagatti e P. Godfrey Kloetzly, ebbero tra le mani una grande quantità di intonaci dipinti che conservavano numerosi graffiti e che appartenevano alle pareti di una precedente domus ecclesia. Alcuni graffiti presentavano simboli cristiani e invocazioni a Cristo incise da fedeli e pellegrini, segni di antica venerazione del luogo. Lo scavo proseguì anche negli spazi racchiusi dal muro di cinta della chiesa bizantina e i risultati permisero di chiarire che una serie di muri e di pavimenti più antichi si susseguivano dal periodo tardo romano al romano antico.
A partire dalla seconda campagna di scavo P. Stanislao Loffreda ofm affiancò stabilmente il compagno e collega Virgilio. Visti i risultati raggiunti, il 30 ottobre fu consentito a P. Loffreda di aprire una piccola trincea di scavo al di sotto del pavimento della domus ecclesia di IV secolo. Gli archeologi dovevano capire quale fosse l’antichità della casa ritrovata. La conservazione al di sotto del pavimento di una serie di strati con ceramica più antica li convinse ad aprire un saggio di scavo più ampio. Una pentola intera e mai utilizzata, lucerne di età erodiana, frammenti di intonaco colorato e il susseguirsi di diverse pavimentazioni portarono alla conclusione che mezzo secolo dopo la resurrezione di Gesù una stanza in particolare dell’abitato fu ampliata e abbellita. Una stanza dedicata agli incontri dei primi giudeo-cristiani in cui fare memoria della presenza di Gesù nella casa di Pietro, il luogo in cui i Vangeli ambientano numerosi miracoli. La notizia degli eccezionali ritrovamenti rimbalzò sulle cronache e trovò eco non solo all’intero degli ambienti accademici, facendo diventare Cafarnao una delle mete più importanti di pellegrinaggio in Terra Santa. A partire dal 2000 altre quattro campagne di scavo sono state dirette da P. Stanislao Loffreda e hanno interessato le fasi arabe e bizantine del quartiere abitativo posto ad oriente della Casa di Pietro e della Sinagoga. Dopo l’immersione nella vita dell’apostolo Pietro, ci siamo recati al lago per compiere la traversata delle acque con il battello. Ma questa è un’altra storia che continua nel prossimo articolo. Non mancate! Anche se non siete presenti, con questo racconto speriamo di portarvi con noi per contemplare le meraviglie che il Signore compie per quanti lo amano.    Don Salvatore Lazzara