Mons. Marcianò con i cappellani sulle orme di Cristo per gustare la sua misericordia

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

(17/04/2016) IV di Pasqua, Domenica del buon Pastore. Un gruppo nutrito di cappellani si ritrova all’aeroporto di Fiumicino per partire alla volta della Terra Santa. I volti incuriositi dei turisti, sono appagati dal sorriso dell’Arcivescovo, il quale assicura che questi preti un po’ speciali, non partono per una lussuosa vacanza, ma con un normale volo di linea raggiungeranno i luoghi battuti dai piedi di Gesù, per sostare qualche giorno in preghiera e in silenzio, nella contemplazione del mistero della Redenzione, in questo anno straordinario della misericordia. Nonostante qualche piccolo problema di salute, l’Ordinario Militare, non rinuncia a “stare con i preti”, sicuro di condividere con loro una “straordinaria esperienza di fede. Perché il Vescovo, nonostante le difficoltà che si possono incontrare, è sempre vicino ai suoi amati figli”. Arrivati all’aeroporto internazionale di Tel Aviv, incontriamo la nostra guida, la signora Marina Venturini, che insieme a don Cesare Marcheselli Casale, ci aiuteranno a vivere questi giorni di grazia e di comunione con il Signore. Nel tragitto don Gianmarco Piga, Cappellano della regione Sardegna della Guardia di Finanza, commentando le finalità del pellegrinaggio-esercizi spirituali, afferma che “questa esperienza serve innanzitutto per rivedere la propria vocazione a partire dai luoghi della storia della salvezza, e rinsaldare così l’amicizia con il Signore”.  Giunti a Nazareth, rimaniamo qualche momento a contemplare la basilica dell’annunciazione, sorta nel luogo dove la Vergine Maria ha detto il suo Sì all’angelo Gabriele. Abbiamo calpestato la stessa terra che duemila anni addietro, ha cambiato la storia dell’umanità.  Qui (hic), ripete con emozione mons. Marciano’, all’inizio della Santa Messa, ha avuto origine la storia della nostra salvezza. Ad attenderci nella sede del Patriarcato Latino il Vicario Patriarcale per Israele Mons. Marcuzzo, di origine italiana, che dopo il saluto di ringraziamento dell’Arcivescovo parla molto semplicemente della Chiesa che vive in Terra Santa. Anzitutto chiarisce che non “bisogna avere paura di venire i  questi luoghi”,  dove ancora risiede la comunità cristiana più antica, cioè quella che discende direttamente dagli Apostoli. Nessuno vuole fare del male ai pellegrini, che sono considerati da tutti ospiti graditi e ricercatori di Dio.  “In questo particolare e delicato momento storico -continua mons. Marcuzzo-, è di fondamentale importanza far conoscere al mondo intero la storia della presenza cristiana in Terra Santa, per favorire una maggiore consapevolezza delle nostre radici. I cristiani, anche se una piccola minoranza in queste zone, sono una presenza culturalmente molto vivace e ricca, che ha contribuito in maniera enorme a costruire relazioni, non soltanto con la popolazione locale, ma anche con le tante società nel mondo. Questa realtà è giusto che oggi venga e conosciuta e divulgata”. I luoghi legati alla storia della salvezza, dal punto di vista politico e di convivenza tra le varie tradizioni religiose, sono continuamente esposti a tensioni, tanto che risulta difficile parlare di pace. Perché la pace vera, quella autentica, é possibile solo se viene da Dio. Dunque, anche se sembra anacronistico, l’unica strada per realizzarla, è la preghiera costante ed umile, che deve salire verso il cielo come espressione autentica di un cammino di perdono e riconciliazione. Il cristianesimo, in queste terre, svolge un ruolo importante: esso è la piattaforma, il collante tra ebraismo e Islam.  “I primi credenti -spiega mons. Marcuzzo-,  erano ebrei: gli apostoli, i discepoli, le pie donne e i primi credenti in Gesù di Nazareth. Ma già dal tempo di Gesù, e soprattutto degli apostoli e comunque dei primi secoli, molti pagani credettero in Gesù Cristo. La prima Chiesa di Gerusalemme era così composta di due elementi: l’”Ecclesia ex circumcisione’”, i giudeo-cristiani, e l’ Ecclesia ex gentibus” (greci, romani, aramei, cananei, fenici, filistei, nabatei, moabiti, ammoniti, etc.). Tutti parlavano la lingua aramaica, nelle città molti parlavano il greco e anche il latino. I giudeo-cristiani si svilupparono in Terra Santa e persino nel Medio Oriente e in diverse città dell’impero romano. Mentre la Comunità ex gentibus si sviluppò molto bene e, nei primi secoli, diventò una “grande Chiesa”, evangelizzò persino i beduini, evangelizzò dunque i miei antenati della tribù degli Ozeizât. Nel 7°secolo, con l’arrivo dell’Islam le cose cominciarono a cambiare lentamente, ma radicalmente. Gradatamente la Comunità cristiana si ridusse e la popolazione passò alla lingua araba e alla cultura araba. Anche la nostra comunità cristiana si chiamò Chiesa palestinese araba. Oggi tre paesi si suddividono l’antica Terra Santa: Palestina, Giordania, Israele. In questi tre paesi, i cristiani sono prevalentemente arabi, per lingua e cultura, discendenti in linea diretta di quella prima comunità cristiana. Si tratta di Cristiani autoctoni, indigeni, consapevoli, ieri come oggi, della portata storico-salvifica di ciò che è accaduto vicino alle loro case e di come, nel tempo, si sia da qui diffuso tale lieto annuncio. Sentono profondamento di essere, ancor oggi, la memoria vivente della Storia di Gesù“, specifica il Vicario Patriarcale. Per concludere, mons. Marcuzzo, ci informa che “la giurisdizione del Patriarcato Latino copre: Palestina, Israele, Giordania e Cipro. Per un buon lavoro pastorale, il Patriarca si fa aiutare da quattro Vicari Patriarcali, uno per ogni paese. Un quinto vicariato, non territoriale ma personale, chiamato Vicariato di San Giacomo, è stato creato per la Comunità degli Ebrei cattolici. Nelle varie epoche della storia, i cristiani arabi, in generale, e palestinesi, in particolare, hanno vissuto abbastanza pacificamente coi fedeli di altre religioni del Vicino Oriente, principalmente con l’Islam e l’Ebraismo, soprattutto con la Giordania. I cristiani in Terra Santa sono gente semplice, amante della pace e ospitale, con un dono straordinario di resistenza. Qui la presenza dei cristiani è molto esigua, poco meno del 2% della popolazione complessiva: circa 450.000 fedeli su un totale di circa 18 milioni di persone, tanti sono gli abitanti di Giordania, Palestina ed Israele, cui sono da aggiungere quelli di Cipro”.  A termine dell’incontro, l’alto prelato, consegna a ciascuno dei presenti dei doni molto semplici ma di grande contenuto: alcune immagini corredate da preghiere che ognuno può aggiungere al suo bagaglio spirituale. Anche le mandorle e i fichi secchi, segni di accoglienza, di fedeltà e di gioia, di memoria biblica, fanno capire che siamo in un posto speciale, fecondo e misterioso. Siamo alle fonti della fede! Don Cesare, nell’omelia della Santa Messa, ha ricordato come la promessa della vita eterna è il pegno per noi cristiani a credere nel figlio di Dio, come caparra di immortalità. La fede è un cammino da compiere tenendo fisso lo sguardo su Gesù Cristo. Senza di Lui tutto è vano. A termine in albergo per la cena. E fu sera, primo giorno.  Don Salvatore Lazzara