Omelia per la giornata del malato, 01 marzo 2019

02-03-2019
 Ospedale Celio, Celebrazione della Giornata del Malato, 1 marzo 2019

 «Non la scienza ma la carità salverà il mondo!» Carissimi, queste parole di Giuseppe Moscati, medico santo, risuonano con particolare intensità nella celebrazione della Giornata del Malato in questo luogo, l’Ospedale Militare del Celio, che raccoglie tante sofferenze del nostro mondo militare e anche tanta carità. Vi saluto con affetto e profonda stima. Saluto voi, medici e operatori sanitari, che di questa carità peculiare siete strumenti, ministri, testimoni; voi, personale amministrativo e militari tutti, che incorporate la carità nel vostro servizio. E saluto voi, Associazioni che, nel mondo sanitario e ospedaliero, portate la carità della prossimità, della vicinanza, della fraternità… portate la carità di Cristo. Penso in particolare alla presenza tra noi, quest’anno, dell’UNITALSI, l’Associazione di volontariato a tutti nota perché aiuta i malati a vivere, in particolare nel Pellegrinaggio a Lourdes, la consolazione che nasce dall’incontro con il Cristo e la Vergine Maria, dal suo invito alla conversione, alla condivisione, alla guarigione dell’animo che, a volte, diventa anche guarigione del corpo. Forse è proprio a questa guarigione che si riferisce Moscati parlando della carità che salva; perché se non ogni intervento medico, anche quello più competente e geniale, può portare alla guarigione fisica, l’amore può sempre aiutare a salvare la vita recuperandone il significato.   «Non la scienza ma la carità salverà il mondo!». Colpisce questa frase pronunciata dal grande professor Moscati, la cui preparazione scientifica era strabiliante e le cui capacità didattiche e accademiche indiscutibili ma per il quale i malati rimanevano sempre al primo posto. La sua scienza, potremmo dire, aiutava la sua carità. Ma come? La Liturgia della Parola oggi offre alcune espressioni che aiutano a rispondere. Da una parte, verità e intelligenza; dall’altra, amicizia e fedeltà.   «Consacraci nella verità», abbiamo pregato nel versetto alleluiatico (Gv 17,17), e nel Salmo (Sal 118) abbiamo invocato: «Dammi intelligenza perché io custodisca la tua legge e la osservi con tutto il cuore». Non si tratta di espressioni moralistiche o legalistiche. La scienza è il risultato di un’intelligenza che ricerca la verità delle cose, che vuole andare dentro agli eventi della natura (intus legere) per scrutare il disegno nascosto in essi da Dio, di cui tutti siamo al servizio. Cosa sarebbe la scienza senza un sacro rispetto di quella creazione che la stessa medicina è chiamata a indagare, curare, ristabilire? Nel Vangelo (Mc 10,1-12) Gesù, parlando dell’amore tra l’uomo e la donna, fa riferimento alla Creazione come principio che deve ispirare e regolare i legami familiari, le relazioni interpersonali, le attività umane. Anche le scoperte scientifiche più raffinate necessitano di questo respiro e di questo desiderio paziente, di questa relazione profonda con il Creatore, del quale si contempla l’opera e per il quale si serve l’essere umano, Sua creatura e Sua immagine. Ogni essere umano, soprattutto il più malato o sofferente, mendica dalla scienza medica un tale servizio alla verità, non meri strumenti che ne programmino la vita e talora, purtroppo, ne stabiliscano anche la morte. «L’odierna evoluzione delle capacità tecniche produce un incantamento pericoloso», ha osservato allarmato il Papa parlando qualche giorno fa all’Accademia per la Vita: «invece di consegnare alla vita umana gli strumenti che ne migliorano la cura, si corre il rischio di consegnare la vita alla logica dei dispositivi che ne decidono il valore»[1]. Sì, la medicina, nata per custodire la vita, ha bisogno oggi di rinnovare un patto di fedeltà e amicizia verso la vita, verso la persona umana. Nessuna macchina o scoperta possono assicurarlo, se non la carità. Una carità capace di far propria, nella scienza, la comune lotta per custodire e rispettare la vita; una carità capace di stare accanto, di comunicare la verità al paziente, di prendersi cura quasi con amicizia. «Un amico fedele è medicina che dà vita», abbiamo ascoltato dalla prima Lettura (Sir 6,5-17). E nel Messaggio per la Giornata del Malato, anche il Papa lo sottolinea: «la salute è relazionale, dipende dall’interazione con gli altri e ha bisogno di fiducia, amicizia e solidarietà, è un bene che può essere goduto “in pieno” solo se condiviso. La gioia del dono gratuito è l’indicatore di salute del cristiano»[2]. In questo spazio di verità e intelligenza, di amicizia e fedeltà verso la vita, vedo muoversi l’impegno quotidiano di questo Ospedale e di tutta la sanità militare. Un impegno che, nella competente opera di cura, prevenzione e soccorso, trasfonde i valori di sevizio all’uomo che stanno a fondamento del mondo militare e si estendono a tutta la comunità umana, in particolare nelle missioni di pace e nelle emergenze. Pensando ai tanti e complessi compiti che portate avanti, riconosciamo come essi siano permeati di peculiare prontezza ma anche di profonda gratuità. La cifra della gratuità è l’unica in grado di misurare il rapporto dell’uomo, anche dell’operatore sanitario, con la sofferenza. E «la gratuità umana – aggiunge il Papa – è il lievito dell’azione dei volontari che tanta importanza hanno nel settore socio-sanitario e che vivono in modo eloquente la spiritualità del Buon Samaritano. […] Il volontario è un amico disinteressato a cui si possono confidare pensieri ed emozioni; attraverso l’ascolto egli crea le condizioni per cui il malato, da passivo oggetto di cure, diventa soggetto attivo e protagonista di un rapporto di reciprocità, capace di recuperare la speranza, meglio disposto ad accettare le terapie. Il volontariato comunica valori, comportamenti e stili di vita che hanno al centro il fermento del donare. È anche così che si realizza l’umanizzazione delle cure».   Carissimi, esprimendovi la gratitudine della Chiesa e della società, sento di dire che la vostra è una grande missione di umanizzazione. Di umanizzazione delle cure, che mai devono perdere di vista la centralità dell’uomo nel mistero della Creazione, nella pratica medica, nelle politiche sanitarie. Di umanizzazione della scienza, che mai può affidare alla tecnocrazia la tenerezza del prendersi cura e la scelta morale nel dirigere lo studio e la ricerca. Di umanizzazione del mondo e della società, nella quale, come per Giuseppe Moscati, il primo posto spetta sempre al malato e al sofferente. Vi aiuti in questo l’opera dei volontari. E vi aiuti la nostra Chiesa che cammina con voi soprattutto grazie ai cappellani militari. E tutti insieme possiamo esprimere, con verità e intelligenza, la fedeltà e l’amicizia verso la vita, ogni vita in tutte le fasi e condizioni, dono unico e sublime di Dio. X Santo Marcianò

[1] Francesco, Discorso ai partecipanti all’Assemblea plenario della Pontificia Accademia per la Vita, 25 febbraio 2019
[2] Francesco, Messaggio per la Giornata del Malato, 11 febbraio 2019