Dedicazione del Duomo dei militari – “Una Chiesa che ha resistito nel tempo”

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(05-11-2019) Pubblichiamo il testo dell’omelia pronunciata stamattina dall’Arcivescovo Marcianò a Padova in occasione della Dedicazione della Chiesa di San Prosdocimo.

 

 

S. Messa e Consacrazione della Chiesa di S. Prosdocimo – Duomo dei Militari
Padova, 5 novembre 2019

Carissimi fratelli e sorelle,
è un grande dono e una grande emozione, per noi, poter dedicare, dopo i lavori di ristrutturazione, l’Altare di questa Chiesa. Una Chiesa che ha subito varie vicissitudini nella storia, fino a diventare un magazzino militare; ed è proprio per questo che è stata in seguito affidata all’Ordinariato Militare, venendo in modo significativo chiamata “Duomo dei Militari”. Ed è bello e consolante considerare, lo dicevo anche l’altro giorno celebrando a Roma nella Chiesa del Sudario restaurata, che mentre molte Chiese si chiudono o vengono destinati ad altro scopo, nella nostra realtà militare molte Chiese vengono aperte o riaperte al culto.
Una Chiesa, questa di san Prosdocimo, che ha resistito nel tempo, quasi a dimostrare la sua identità più profonda. Una casa nella quale ci ritroviamo e dove, come in ogni casa, cresciamo, imparando a essere persone che vivono in comunità: a essere famiglia della Chiesa e delle Forze Armate.
E il tema della casa attraversa oggi la Liturgia, nelle Letture e nella preghiera di Dedicazione.

Nella prima Lettura (2 Sam 7, 1-5.8-12.14.16), Davide vorrebbe costruire una casa a Dio; egli è re, abita in palazzi sfarzosi, ed è ammirevole che voglia pensare a edificare un Tempio; ma Dio non glielo permette. Forse, nonostante lo scopo nobile, Davide rischia la tentazione, che tutti corriamo davanti alle opere buone, di credere che tutto dipenda da se stesso, tentando di “ingabbiare” il Signore.
Dio non permette a Davide di costruirgli una casa; Dio, però, costruirà una casa a Davide, gli darà quello che ne è il valore più profondo: la discendenza, che rende stabile la sua casa e il suo regno. Davide, così, imparerà come il senso del servizio non stia nel protagonismo di chi sente la propria missione tanto importante da credere di poter “fare una casa” a Dio, ma nel fare le cose per gli altri, anche per coloro che verranno, e nel condividere con gli altri.
È il messaggio che proviene da questo altare che, anzitutto, è una «mensa»: «Sia la mensa del convito festivo a cui accorrano lieti i commensali di Cristo e sollevati dal peso degli affanni quotidiani attingano rinnovato vigore per il loro cammino», dice la preghiera di dedicazione.
Il cibo che da forza si prepara e si consuma in un contesto gioioso, di festa, di riposo. E la Chiesa è luogo in cui questo cibo è per tutti: il cibo spirituale, vale a dire l’Eucaristia, il Pane e il Vino consacrati; il cibo materiale, soprattutto per i più poveri, offerto nella condivisione che esprime il Vangelo della carità.
Grazie a questo altare anche noi, come Davide, impariamo a non pretendere di fare cose grandi, forse più grandi di noi, ma a gustare la festa e la gioia di diventare noi stessi pane per gli altri, a donarci come Gesù si è donato a noi e come vi donate voi, cari militari, che con generosità e coraggio fate della vostra missione il luogo spezzarvi come il pane.
Per crescere in questa modalità di vita, abbiamo però bisogno di imparare continuamente da Cristo, dall’intimità d’amore con Lui, ben cantata dal Salmo 88: «Il Signore è fedele, ha stretto un’alleanza»…
Parlare di Alleanza, nella Bibbia, significa parlare di amore sponsale. E l’altare ne è segno: «sia luogo di intima unione con te, o Padre, nella gioia e nella pace, perché quanti si nutrono del corpo e sangue del tuo Figlio, animati dallo Spirito Santo, crescano nel tuo amore», dirà la preghiera.
Ogni Eucaristia che qui celebreremo avrà questo scopo, ci unirà sempre più al Signore, nella certezza che questa Alleanza è anche il senso della nostra chiamata, della vocazione che ci viene consegnata da Dio. Una chiamata che per voi significa servire e difendere, proteggere e custodire la vita umana, l’armonia del creato, la pace nella nostra nazione e tra i popoli; vocazione che la Chiesa stessa vi riconosce.
E, proprio ieri, la festa del 4 novembre ha ricordato a tutti noi l’opera di grande competenza e innovazione, passione e coraggio che le nostre Forze Armate svolgono, in Italia e nel mondo, per la quale tutte le Istituzioni hanno espresso incoraggiamento e gratitudine.
Vivere per gli altri: è il cuore della vostra chiamata, è il cuore della vocazione di ogni cristiano! E la preghiera chiede che questo altare «sia fonte di unità per la Chiesa e rafforzi nei fratelli, riuniti nella comune preghiera, il vincolo di carità e di concordia».
C’è, qui, il riferimento a una visione universale della salvezza, espressa bene nella seconda Lettura (Rm 16, 25-27) da Paolo, il quale, riferendosi alla «gloria» da dare a Dio, la collega con l’annuncio del Vangelo a tutte le genti, nella comunione universale.
La storia che in questo tempio respiriamo ce lo insegna: ogni qualvolta la fratellanza universale è tradita da estremismi, fondamentalismi, intolleranze, individualismi… la logica della guerra si radica e si trasmette; al contrario, ogni qualvolta la violenza viene fermata e non ricambiata con la violenza, ma con gli strumenti della legalità e della giustizia, del dialogo e della solidarietà, del soccorso e della protezione della dignità umana – strumenti che voi militari usate -, si afferma lo stile della pace, fonte di rispetto e comunione. Una comunione terrena ed eterna, anche tra cielo e terra: ed è significativa la festa, oggi, dei santi militari qui venerati, a conferma di come la vita militare possa essere sorgente e cammino di santità, nonostante tante incomprensioni o chiusure ideologiche tentino di sminuirne o addirittura stravolgerne il senso.
In questi anni, mi ha colpito scoprire il tesoro di santità in tante storie pubblicate, nascoste nei nostri archivi, o conservate soltanto nella memoria grata di chi resta: storie di soldati semplici, ufficiali, cappellani militari… persone che, soprattutto nelle due guerre mondiali, hanno fatto la storia, spesso a motivo del loro sacrificio; persone che ancora oggi sono sale e luce per le Forze Armate e per la comunità civile, balzando purtroppo agli onori delle cronache solo per il sacrifico della vita, in seguito a violenza o nell’esercizio del proprio dovere… Questo altare «sia il centro della nostra lode e del comune rendimento di grazie, finché nella patria eterna ti offriremo esultanti il sacrificio della lode perenne con Cristo, pontefice sommo e altare vivente», pregheremo.
Gesù stesso è venuto tra le case degli uomini, si è fatto casa, tempio, sacrificio (Gv. 2, 13-22), lo abbiamo sentito nel Vangelo. Questa casa, pertanto, è il luogo in cui rendere grazie a Cristo per il Suo sacrificio che ci salva ma anche per lodare Dio e rendergli grazie per il sacrificio dei nostri fratelli santi, dei tanti caduti di ieri e di oggi che vogliamo portare con noi all’altare che consacriamo.

Cari amici, la storia del nostro “Duomo dei militari” si intreccia con le storie di questi uomini e donne, che immaginiamo come pietre del nostro edificio sacro: pietre portanti, che si uniscono alle altre, che si uniscono a noi, rendendoci tempio di straordinaria bellezza, nel quale Dio entra in relazione con l’umanità per raggiungerla, sanarla, amarla
Con Cristo, «pietra preziosa ed eletta», sentiamoci davvero pietre vive di questo edificio e dell’edificio spirituale che è la Chiesa. Pietre che hanno bisogno le une delle altre ma che hanno ciascuna un ruolo strategico nella costruzione del tempio, nel quale ogni creatura può trovare il proprio posto, certi che il vostro ruolo di militari è rendere questo tempio, casa tra le case degli uomini, segno di rinascita sempre possibile, che vince la devastazione con la bellezza, che vince l’odio con l’amore, la fraternità, la pace.

Santo Marcianò