(04-02-2020) Proponiamo, in appresso, la bella testimonianza/cronaca di P. Peppino Faraci a margine degli esercizi spirituali in Terra Santa tenutisi dal 27 gennaio al 3 febbraio.
“Eccomi, Signore, sono il tuo servo: si compia in me la tua volontà”. Con queste parole abbiamo concluso a Nazaret il nostro pellegrinaggio in Terra Santa. Alla fine della Santa Messa presieduta dal nostro Arcivescovo Mons. Santo Marcianò nella Basilica dell’Annunciazione. Lì, proprio lì dove la piccola Myriam, abitante il piccolo borgo di Nazaret, nella sua piccola casa ha pronunciato una piccola parola, il suo “Amen”. Una parola scaturita da un cuore puro e generoso e che senza mezzo alcuno ha raggiunto il Cielo dell’Onnipotente ed è risuonata fino agli estremi confini dell’universo, permettendo a Dio di rendersi presente in ogni zolla, in ogni monte, in ogni mare, in ogni cosa che ci circonda ed anche lì dove il nostro sguardo non arriva. Ciascuno di noi, singolarmente, ha pronunciato le parole di Myriam di Nazaret, anche noi col nostro “Amen” al Signore, possiamo ancora irradiare di vita, di speranza e di bellezza il mondo che ci circonda. Non importa chi siamo, o come siamo, se siamo agili o appesantiti da tanti inutili turbamenti, basta, come Myriam, lasciare spazio nel proprio cuore a Dio, Lui fa tutto il resto. Myriam lo sa, lo ammette, lo crede, ce lo insegna e lo canta nel suo Magnificat: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo Nome”. Dio opera tutto in tutti e la piccola stupenda ragazza di Nazaret ci insegna la via per essere anche noi co-operatori, non semplici utensili, del buon Dio.
Ma il viaggio per raggiungere la casa della nostra cara Mamma è stato lungo e arduo. Siamo partiti da molto lontano, da luoghi deserti e precisamente dal deserto del Neghev. Lì dove ci si attende silenzio, vuoto, terre nude e assolate, lì dove i wadi, ormai, non sono altro che delle strisce aride incise nel terreno come i solchi lasciati da un lungo pianto, lì dove tanti santi uomini e donne hanno cercato nella solitudine il contatto con Dio, lì dove la fantasia e l’immaginazione possono giocare brutti scherzi oppure rivelare grandi verità noi ci siamo mossi, peregrinando, metro dopo metro anche con una certa fatica per tenere il passo del nostro carissimo Padre Giulio Michelini o.f.m. che ci ha guidati in tutti questi giorni. Lui corre veloce, noi, appesantiti non solo dalla massa grassa ma dalla fatica di tante ripetute cariche (!), avremmo voluto gustare la gioia di poter mettere con calma e devozione i nostri piedi proprio lì dove Gesù nostro Maestro ha messo i suoi. Egli ci ha chiamati per seguirlo, per stare con lui, per ripercorrere gli stessi passi.
Ma il deserto ci ha riservato una bella sorpresa: non è una terra nuda, assolata e disabitata, ma una terra affollata di tanti grandi uomini e donne della nostra storia di salvezza, davvero le loro storie abbracciano la nostra. Ogni singolo intervento di Dio si eternizza e ci raggiunge, ci coinvolge e ci abbraccia e, se siamo “miti e umili di cuore”, scopriamo che già quando Dio era in azione con Abramo, con Giacobbe, con Mosè… pensava proprio a noi, di un amore speciale e unico: “Tu sei prezioso ai miei occhi e io ti amo”, dice a noi il Signore per bocca di Isaia. Lì abbiamo fatto il nostro incontro con Abramo, con Sara sua moglie, con l’egiziana Agar e con i loro rispettivi figli Isacco e Ismaele. Le loro attese, i loro sogni che si incrociano con i sogni di Dio e mettono in moto l’uomo. Le loro belle storie, che sono la nostra storia, sono storie d’amore, di obbedienza, ma anche di disobbedienza e di peccato, ma, non perché tutto fa brodo, alla fine tutto si ricongiunge nell’unica volontà del Padre che è quella di manifestarsi a noi e donarci gratis il suo amore, la sua tenerezza, la sua amicizia, la sua salvezza. Abbiamo incontrato, sempre nel deserto altri personaggi come Mosè, Aronne suo fratello, Myriam la sua grande sorella che, con i fratelli e per grazia di Dio, ha saputo spianare una via ricca di acqua nel lungo cammino di liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Il deserto è davvero affascinante e lì, scevri da rumori e distrazioni, wireless off, abbiamo sentito anche noi le parole del profeta Osea che parla alla sua bellissima ma ormai sfiorita e abusata sposa: “Vieni, vieni, con me nel deserto, e lì, cuore a cuore, d’amore torniamo a parlarci… perché anche se nessuno ti cerca più, tu per me sei bellissima, anche più bella di prima e io ti amo”. E come non sentire riecheggiare gli slanci appassionati dei due amanti del Cantico dei Cantici? Insomma un deserto ricco, bello, che non fa pensare a cose tristi, penitenze, cilici e amenità del genere, ma che fa pensare ad una cosa sola: all’immenso amore che Dio ha per ciascuno di noi, un amore senza misura… come il deserto che, quando ci si è dentro, non se ne vedono i confini. Con cena e pernotto nel Kibbutz Mashabei Sadeh abbiamo avuto modo di posare lo sguardo ai tentativi, peraltro riusciti, dei primi coloni ebrei di ridare fioritura al deserto e questo lo abbiamo onorato anche andando a visitare a Sde Boker nel deserto di Tsin le tombe di Paula e Ben Gurion.
Tell Arad e poi Masada: luogo di una lunga e legittima resistenza e allo stesso tempo di un atroce massacro ad opera dei Romani. Bellissima è stata la visita alla città di Gerico, tutti sappiamo quanto sia importante questa città, purtroppo messa in gioco dal governo di Israele a scapito dell’Autorità Palestinese: i più deboli, come sempre, soccombono…, ma Dio, lo sappiamo, non si scorda di loro e, quando giunge la pienezza dei tempi, interviene. Speriamo! Questo ci ha fatto pensare, anche relativamente ai tanti gruppi di beduini sparsi a tutte le latitudini del deserto, osteggiati e costretti a domiciliarsi lì dove non sanno né possono vivere se vogliono rimanere beduini con le loro usanze, costumi e lingua: abbiamo incontrato accampamenti in condizioni di assoluta precarietà e invivibili. C’è sempre un amore, uno strano interesse, per le varie forme di apartheid, dove i deboli vengono rinchiusi o costretti a rinchiudersi, dove la tentazione per la supremazia prende il sopravvento e ispira le scelte dei potenti. Eppure, sempre lì nel deserto abbiamo anche incontrato Gesù, anche lui ha avuto la tentazione della potenza, di voler primeggiare, di poter essere l’uomo solo al comando, ma non ha ceduto alla tentazione, perché per lui gli uomini nascono liberi e tali devono rimanere, tutti gli uomini, anche i beduini, i profughi e i cinesi (al ritorno in Italia, ascoltando la tv ho sentito un neologismo: sinofobia, e così la storia volta pagina ma ricomincia sempre d’accapo). Sempre a Gerico abbiamo incontrato un folto gruppo dei nostri Carabinieri che in quella città svolgono una missione di addestramento della polizia palestinese, sono stati con noi anche per la concelebrazione della santa Messa ed è stato bello, un incontro toccante che i francescani del posto hanno reso anche piacevole preparando un bel buffet con tanta frutta e bevande, permettendo un incontro ravvicinato coi nostri militari.
Tre anni fa, al termine dei nostri Esercizi Spirituali, lasciando Gerusalemme, sul pullman, abbiamo cantato “Gerusalemme, noi ti rivedremo”…, e siamo stati di parola. Eccoci nella città centro del mondo, la Santa, come la chiamano i nostri fratelli musulmani, città splendida, con le sue mura, le sue torri, le sue Chiese, i suoi suk, i mille colori dei volti umani, i religiosi di tutte le forme. “Ed ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme”: la città dei re, la città dei profeti – spesso uccisi -, la città di grandi stupide crociate condotte al grido di “Dio lo vuole”. Una città che nel suo cuore contiene il mondo intero, dove, pur tra mille difficoltà, ogni uomo o donna della terra dovrebbe sentirsi a casa, perché lì Dio si è fatto storia per ciascuno di noi, storia d’amore e di salvezza. Città stupenda che pur tra le sue mille, o diecimila, contraddizioni continua a illuminare il mondo… anche di notte, come cantiamo nella liturgia della luce nella notte santa: “O notte veramente gloriosa che ricongiungi la terra al Cielo e l’uomo al suo Creatore”. Anche nel buio di una notte, di una notte qualsiasi, la Santa Gerusalemme, continua a illuminare l’intero universo. A Gerusalemme anche la notte dona luce e vita, riaccende la speranza, salva la vita degli uomini, abbaglia con la grazia. Gerusalemme luogo in cui si tocca la misura dell’amore di Dio – che è un amore senza misura -, lì al Golgota, al luogo della deposizione e soprattutto al luogo della Risurrezione. Una tomba bella ma vuota, inconfutabilmente vuota: ecco la grande gioia per tutti noi, la certezza della salvezza. Sul Golgota, innalzato sulla croce, Gesù ha svuotato l’inferno, dalla tomba vuota ci giunge la vita nuova, la vita dell’Eterno, una vita di amore proiettato nel persempre di Dio, nella Gerusalemme celeste, nel grande concerto di amore e di fratellanza universale, nella gioia di una festa che non avrà mai fine. Gerusalemme, ogni centimetro ci parla di amore, gli uomini sanno stravolgere questa realtà, ma rimane la Santa Città. La città dove Dio ha scelto il suo domicilio, e dove ognuno di noi, chiunque di noi, a ragione è il vicino della porta accanto!
Alla spianata del Tempio abbiamo visto, oltre alla bellezza del posto, anche l’oltraggio perpetrato dall’uomo: distruzioni, divisioni, muri invalicabili, controlli ed espulsioni (!). Al tempo di Gesù doveva essere uno splendore!
Betlemme: come non amare la città che ha permesso l’ingresso di Dio nel mondo? Come non sentirsi abbracciati da tanta tenerezza, bellezza, sogno. Lì, nella stanza degli animali di una normalissima casa, l’Onnipotente, colui che – come cantano i bizantini – tiene sul palmo del sua mano l’intero universo ha voluto posarsi in una stalla. Un Dio che si è fatto bimbo, che è nato anche per imparare a piangere, come fanno tutti i bambini del mondo, ma anche tutti i sofferenti del mondo: gli ultimi, i paria, gli esclusi, i dannati della terra, i profughi, gli scarti, o meglio coloro che gli imbecilli ritengono tali. Gesù si riveste di tutto questo, ed è con noi, è dalla nostra parte, è dalla parte di chi piange e soffre, dalla parte di chi viene visto come un numero per redigere diaboliche statistiche e non una persona. Nel viso di quella persona, scarto o povero che sia, si possono trovare i tratti somatici del bimbo di Betlemme.
Monte Sion, Valle del Cedron memoria dell’Ultima Cena e della Pentecoste dove la Chiesa, già esistente da tempo, riceve il grande dono dello Spirito Santo e si lancia alla grande avventura di dire a tutti che Dio è Padre-Madre di tenerezza per ogni uomo. La Via Dolorosa, il cammino in salita di Gesù che prende e porta su di sé i nostri peccati. Una via che suscita pena nel cuore, ma il Sepolcro vuoto ci dice quale è la vera fine di quella Via Crucis, che è, in realtà, una Via Lucis. La tomba è vuota, noi crediamo all’apostola degli apostoli, a Maria di Magdala, essa non è fuori di sé e ci porta il più grande annuncio che sia mai stato gridato al mondo e per questo la amiamo.
All’inizio siamo partiti dall’estremo sud della Terra d’Israele e finalmente arriviamo in Galilea, passando per la Samaria (sembra di leggere un pezzo di Vangelo). Lì non occorre fare sforzi, bisogna solo guardare e prendere tutto quello che il maestro ha seminato in quella regione. Ogni centimetro è altare sul quale Gesù ha “combinato” qualcosa. In Samaria, al pozzo di Giacobbe, ci siamo tutti “innamorati” della bella ed esuberante donna samaritana, da tanti descritta come donna dal vissuto andante con allegria – per esprimersi in termini musicali -, ma che forse non è proprio così. Una donna, come tutto il suo popolo, forse schiacciata da cinque o mille idoli cui ci si sottomette quando ci si allontana dall’Amore puro e dalla Vita vera. Una donna che come Maria di Magdala diventa annunciatrice di salvezza per il suo popolo…, chissà, forse anche la nostra salvezza è passata ed è giunta fino a noi da quell’annuncio. In Galilea c’è Nazaret, c’è Cafarnao, c’è il lago di Tiberiade, c’è che ogni pietra, filo d’erba, ogni pianta ti dice che lì Gesù ti desidera, che non vuole fare a meno di te e per questo ti chiama, ti invita a mettere i piedi dove li ha messi lui – alla sua sequela -, a non sentirti né inutile né un utensile nelle mani di Dio, ma protagonista di una storia di redenzione: andate e pescate e ripescate gli uomini… che affondano o rischiano di affondare nelle tenebrose acque del mare. Cafarnao, la casa di Pietro ma anche la casa di Gesù: Dio ha un domicilio sulla tua stessa strada, lo puoi chiamare senza dover urlare, lo puoi andare a trovare, ma, ancora più bello, è lasciare che sia Lui a venirti a trovare. Con uno sguardo d’amore parliamo la stessa lingua. Un Dio folk, che non agisce nel Tempio, non nella sinagoga (molto bella quella di Cafarnao), non in posti sacri alla devozione, né su di un monte né su di un altro, ma nella casa, nella famiglia, in mezzo a noi, tutto per noi, incarnato in ogni molecola di ogni uomo della terra e, forse, proprio per questo ha detto “quello che avete fatto agli altri lo avete fatto a me”.
E infine la casa della Santa Famiglia, quel “luogo” speciale scelto da Dio per abitare in mezzo a noi. Se Gesù avesse avuto nostalgia del Cielo e della Trinità, l’avrebbe superata con l’amore e l’affetto respirato ad ogni istante dalla splendida mamma Myriam e dal fantastico papà Giuseppe, entrambi di Nazaret. Abbiamo avuto la grazia di poter entrare all’interno della Santa Casa, il luogo dell’annunciazione, il luogo dell’esistenza umana e della quotidianità della Santa Famiglia, il luogo dove Gesù ha imparato ad essere uno di noi, dove probabilmente anche lui ha urlato di pianto diverse notti e giorni nel mettere il suo primo dentino, come il bimbo della vicina di casa, come i bimbi delle nostre comunità. Chissà quante volte ha messo a dura prova la fede del papà e della mamma: ma è possibile che l’Onnipotente pianga così? Come quell’altro bimbo? Sì, questa è la divina bellezza dell’Incarnazione, la divina eucarestia che Gesù, in tutta la sua vita, è venuto a celebrare ogni giorno in mezzo a noi.
Terra Santa, luoghi santi, pietre sante: tutto è santo in Terra Santa, non si può stare un solo istante da turisti curiosi a facilmente appagabili con storielle propinate e farcite come bignè dalle guide. Quella terra ti santifica, ti fa sentire bene, ti fa riprendere fiato nei sentieri stancanti della vita e per questo ci fa cantare: “Gerusalemme noi ti rivedremo con la speranza che già da ora ci palpita nel cuore”.
Sono tornato a Loreto e, come ho detto a qualcuno, sono venuto a ricomporre il puzzle della Santa Casa, qui c’è l’altra metà e so che viverla, questa Casa, mi aiuterà a ricordare tutti gli amici – 38 cappellani militari col nostro amato Arcivescovo – con i quali ho vissuto questa esperienza di grazia e di pregare per il bene e soprattutto per la comunione nella nostra Chiesa dell’Ordinariato Militare. “Eccomi, Signore, sono il tuo servo: si compia in me la tua volontà”.
Peppino Faraci
Comando legione CC “Marche”