Pacem in Terris – La lezione inascoltata

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(12-04-2023) In occasione del 60° della Pacem in Terris, pubblichiamo l’intervista riportata oggi da Avvenire, del Giornalista Enrico Lenzi al Rettore della Lateranense Prof. Vincenzo Buonomo.

 

In molti la definiscono il testamento spirituale di papa Roncalli. Condivide?

È sicuramente un testamento spirituale, ma dobbiamo sottolineare che è un testamento “pensato”, cioé scritto guardando alle situazioni che lo stesso Giovanni XXIII ha vissuto nel corso della sua vita. Vi troviamo una capacità di leggere le situazioni, di interpretarle e anche di offrire qualche aspetto pratico. Un po’ come si è trovato a fare lungo il suo ministero. Un invito, una indicazione offerta a tutti. Come non vedere in questo il forte richiamo al “dialogo” come strumento nei rapporti tra le persone e tra gli Stati, con una indicazione chiara anche alle organizzazioni internazionali chiamate a garantire la “fiducia” tra le parti.

 

Lei ha fatto riferimento alle esperienze vissute da Roncalli nella sua vita. Alcuni biografi, addirittura, trovano anticipazioni dell’enciclica negli scritti giovanili di Roncalli.

Hanno ragione. Tanti passaggi dell’enciclica si possono trovare già accennati ad esempio nel Diario dell’Anima, che Roncalli scrisse nel corso della sua vita. Lo si legge in molti passaggi della sua esperienza di visitatore apostolico in Bulgaria e successivamente delegato apostolico in Turchia e Grecia, dove si trova a dover aprire un dialogo con un mondo che sino ad allora appariva lontano, se non chiuso, al cattolicesimo. E poi l’aver operato come rappresentante diplomatico vaticano durante la Seconda guerra mondiale, da cui scaturisce l’idea che non ci si deve rassegnare neppure davanti alle situazioni più negative. Così come la non facile missione di nunzio apostolico in Francia nel dopoguerra. Anche in questo periodo della sua vita dimostra una capacità di lettura e di dialogo, ad esempio, con la nascente realtà dell’Unesco, di certo non su posizioni vicine alla Chiesa, ma con cui Roncalli seppe aprire un dialogo costruttivo. Ecco tutte queste esperienze vissute, ma soprattutto le azioni per affrontarle, le possiamo ritrovare nei quattro scenari che l’enciclica offre: i rapporti tra gli esseri umani; il rapporto tra per persone e l’autorità; tra gli Stati; e tra le Nazioni e la comunità mondiale.

 

Cosa dice questo testo di 60 anni fa alla Chiesa di oggi?

Ricorda a tutti che la pace vera richiede una corresponsabilità. Che non è possibile che ogni singola comunità sia in grado di affrontare il dinamismo di oggi, di un mondo che cambia velocemente. Che la giustizia non può trovare una soluzione definitiva davanti a una realtà in continuo movimento. Torna in campo l’invito al dialogo, che è una esigenza della comunità – o come la definisce Giovanni XXIII, “famiglia” – umana. E la Chiesa davanti a tutto questo non può restare a guardare.

 

Papa Francesco ha spesso citato la Pacem in terris in alcuni suoi documenti, parlando di questa “guerra mondiale fatta a pezzi”. Che analogie esistono tra l’attuale pontificato e quello di Giovanni XXIII?

Nel 2013, appena eletto Papa, Francesco ricordando i 50 anni dell’enciclica concluse il suo discorso chiedendo se fossimo pronti a dare risposte a quanto chiedeva quel testo. Dieci anni dopo eccoci in una situazione che evidenzia come alcune criticità già indicate da papa Roncalli siano ancora presenti. Entrambi i Pontefici sottolineano la mancanza di strutture internazionali realmente capaci di evitare i conflitti e gestire le crisi. Persiste una crisi di autorità, di capacità di fraternità, di solidarietà. In questo anche papa Francesco richiama spesso gli uomini e le donne di oggi.

 

La Lateranense celebrerà questo anniversario?

Lo farà l’11 e 12 maggio prossimi con un convegno nel quale non solo ricorderemo i punti fondanti dell’enciclica, ma cercheremo anche di puntare la nostra attenzione sulla prevenzione e la gestione delle soluzioni delle crisi, alla luce del documento di papa Roncalli. Sarà anche l’occasione per ricordare un nostro rettore, il cardinale Pietro Pavan, che fu stretto collaboratore di Roncalli e partecipò alla stesura di questo testo.