(08-11-2024) La preghiera del mattino, poi per ringraziare del cibo a tavola, per la memoria dei cari defunti, della buonanotte infine, quelle canoniche insomma, da minimo contrattuale potremmo dire come ci insegnavano a quel catechismo dal libretto tascabile con copertina azzurra, ma che certamente sono anche nelle odierne raccomandazioni per la preparazione alla Prima Comunione.
Poi aggiungevamo, nostra sponte, quella per evitare che il dito del maestro si fermasse in corrispondenza del nostro nome per l’interrogazione a sorpresa (“…vediamo …vediamo …venga …venga…”), quelle per non avere i carboni della Befana e quelle via via sempre più serie per superare le difficoltà della vita che non mancano mai.
Ma la preghiera oltre a essere un dialogo diretto e interiore con il soprannaturale è anche un’esigenza tutta umana, di trascendenza dalla condizione terrena verso qualcosa che, sia quel che sia, può elevarci lì dove ci porta la spiritualità se non la fede nel nostro Dio.
Molto più tangibilmente viviamo le ore della preghiera nei Paesi a maggioranza musulmana, nei tempi precisi annunziati dall’appello lanciato dal muezzin dalla cima del minareto, che bloccano letteralmente le usuali attività della giornata per raccogliere tutti, ma proprio tutti, nei luoghi pubblici e privati, rigorosamente proni verso La Mecca, nell’osservanza della regola: all’alba prima che sorga il sole, a mezzogiorno quando l’ombra abbia la stessa dimensione dell’oggetto che la determina, al pomeriggio con il Sole ancora visibile, al tramonto con l’ultima luminosità e di notte.
In modo più riservato la nostra Chiesa, come anche l’Ortodossa e l’Anglicana, prevede sin dalle origini l’Ufficio divino, cioè la Preghiera comunitaria, con la suddivisione della giornata in ore canoniche, per le preghiere contenute appunto nel Libro delle ore (con minime differenziazioni per luoghi e usi diversi): all’alba, alle 6 (ora Prima), alle 9 (ora Terza), alle 12 (ora Sesta), alle 15 (ora Nona), al tramonto (Vespri) e prima di coricarsi (Compieta).
Ma al di là delle prescrizioni più o meno tassative imposte dalle diverse religioni, che fanno sempre riferimento al movimento degli astri per cadenzare il rapporto tra l’uomo e la divinità, le ore della preghiera come la loro durata hanno condizionato anche lo sviluppo sociale delle collettività, fermando le attività lavorative al pari delle incombenze private nei giorni canonici (venerdì per gli islamici, sabato per gli Ebrei, domenica per i Cristiani) e nei periodi liturgici (come la Quaresima o il Ramadan) seguendo anche l’alternanza delle stagioni e i ritmi della natura che sono sempre stati riferimenti costanti della religiosità umana.
Ma la riflessione sulla stretta relazione tra attività e preghiere mi è scaturita dalla lettura di un antichissimo ricettario, esposto nel Museo della cucina “Garum” in Roma, dove i tempi di cottura di quelle ormai storiche ricette (che oggi non sappiamo neanche che sapore avessero), non erano espressi in ore e minuti, perché i cuochi non potevano permettersi i preziosissimi orologi dell’epoca e forse non avevano neanche le conoscenze sufficienti per leggerli, ma con il tempo necessario per la recita delle preghiere (“…cuocere per due Ave Maria”, “…far depositare per tre Gloria”, “…in forno per cinque Pater Noster”).
Ma a legare la laboriosità alla preghiera c’era già nella regola di San Benedetto, “Ora et labora”, che superava la concezione della religiosità esclusivamente contemplativa, quella degli stilobati come degli eremiti rifugiatisi nel deserto, legando ancor più il dialogo con Dio al rapporto con la natura.
Superando sempre il noto e l’apparente, scopro che la preghiera ha pure un valore terapeutico, oltre alla richiesta che sempre si rivolge al proprio Santo protettore per il superamento della malattia propria o di chi ci sta veramente a cuore, come testimoniano i tantissimi ex voto che tappezzano chiese ed edicole in ogni dove.
Già nel 1941 il medico e biologo francese Alexis Carrell (Nobel per la medicina nel 1912) spiegava la necessità fisiologica della preghiera per l’uomo, che fortifica anche al di sopra delle proprie possibilità: “Non dobbiamo vedere la preghiera come un atto ai quale si affidano solo i deboli di spirito, i mendicanti, o i vigliacchi… pregare non è più vergognoso di quanto sia vergognoso bere o respirare. L’uomo ha bisogno di Dio come ha bisogno di acqua e di ossigeno”.
Le più recenti ricerche mediche confermano, fuor dalle impostazioni più filosofiche che biologiche, che per combattere la malattia il corpo fa ricorso a tutte le sue risorse per attivare l’energia vitale, strumento e fonte di guarigione, e in questo la preghiera, stato di quiete della mente e intenso momento di concentrazione, ha potenti ripercussioni fisiologiche che manifestano tutto il potere terapeutico.
Il raccoglimento stimola la funzione parasimpatica, riduce la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna, rafforza la risposta immunitaria abbassando i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress (anche se gli scienziati più cauti avvertono che la preghiera aiuta ma non guarisce e questo nessuno lo ha mai creduto davvero, oltre i migliori auspici) ed è stato anche misurato in qual modo la recita di litanie ripetitive o di preghiere ricorrenti può giovare al nostro fisico.
Già Papa Francesco consiglia la “medicina” del Rosario come cura per i mali del mondo, giustamente dal suo angolo di spiritualità, proprio come la scienza collega alla recita della preghiera effetti salutari sull’organismo, un’ottima terapia per l’equilibrio psichico.
Tali effetti non riguardano una singola religione avendo sperimentato quel che accade nel cervello di persone di fedi diverse, dai monaci tibetani alle monache francescane, con un test che ha consentito di individuare l’attivazione delle stesse aree durante l’intensa meditazione, indipendentemente dalla confessione religiosa.
In definitiva, la preghiera ci riconcilia con i ritmi e l’armonia della natura e mentre ci eleva verso l’ultraterreno ci mette in relazione con l’ambiente che è pur sempre espressione del creato: “Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature… frate sole…, sora luna e le stelle…, frate vento…, sor’aqua…, sora nostra morte corporale…”.
Antonio Ricciardi