(11-05-2019) Omelia dell’Ordinario nella celebrazione per l’Adunata degli Alpini

11-05-2019
Carissimi fratelli e sorelle, carissimi alpini,

è il momento dell’anno che voi aspettate di più; il momento dell’Adunata, occasione di incontro e anche di riflessione, di festa, di testimonianza. Tanti sono gli appuntamenti di questi giorni ma voi siete consapevoli di come l’Eucaristia sia il “cuore” di tutto. Vi ringrazio per questo e per tutto il vostro impegno, di insostituibile valore per il nostro Paese. Se l’Adunata è sempre occasione di incontro, festa, testimonianza, quest’anno essa assume un valore particolare di memoria, nel Centenario dell’istituzione dell’Associazione Nazionale Alpini. Un anniversario che, nella Messa, diventa benedizione, affidamento a Dio. «Benedico il Signore… Pongo davanti a me il Signore», prega il Salmista (Salmo 15 [16]). E continua: «sta alla mia destra, non potrò vacillare». In un certo senso, gli alpini sono uomini che non vacillano; sono simbolo di forza, ma di una forza speciale, assolutamente non violenta né aggressiva, colma del coraggio di chi, abituato ai sentieri impervi e imprevedibili della montagna, non si lascia scoraggiare per raggiungere le vette. E la vetta più alta da raggiungere, nella Parola di Dio che abbiamo ascoltato, ha un solo nome: la carità. «Prego che la vostra carità cresca sempre più…»: sembra ripeterlo proprio a noi Paolo nella seconda Lettura (Fil 1,8-14). Una carità che, con il Vangelo (Gv 15,9-17), vorrei brevemente riassumere in tre verbi, tipici della vocazione cristiana, ma che vedo incarnati nella missione di voi alpini: rimanere, dare, scegliere.   «Rimanete nel mio amore», ci invita Gesù. La carità è autentica se “rimane”. Se non si allontana nel momento della fatica, della difficoltà, della crisi, della tragedia. Quante volte voi, alpini, ne avete fatto e ne fate esperienza! Voi “rimanete”, quando molti fuggono per paura, per individualismo, per incapacità di gestire situazioni. Penso soprattutto alle emergenze delle calamità naturali che, in Italia, vi hanno visto sempre accanto alla popolazione e che hanno scritto i vostri nomi non solo nella storia delle guerre, ma anche nelle tragedie che hanno flagellato e, al contempo, unito la nostra Nazione, come i terremoti del Belice, del Friuli, de L’Aquila, del Centro Italia… Voi insegnate che bisogna rimanere in questo amore e per amore, perché questo è il modo di amare di Gesù e, da Lui, viene la forza per amare in questo modo.   «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici». Dare: è il modo in cui Gesù ama, è il modo in cui un alpino ama. Dare, darsi… fino al dono della vita! Ricordando i fratelli alpini caduti, sappiamo che questo termine non è esagerato ma si concretizza, ieri come oggi, nelle tante storie e volti di chi ha fatto del dono di se stessi il senso della propria esistenza. È la vostra peculiare “arma”, cari amici alpini; e la gente, che lo percepisce, vi sente custodi, fratelli, amici. Sì, c’è uno straordinario senso di amicizia dei cittadini italiani nei vostri confronti. Ed è interessante che Gesù ci inviti a dare la vita per gli «amici». Il senso dell’amicizia è importante, tanto nel mondo greco quanto nella cultura ebraica, dove assume anche il significato di fraternità; ed è importante per la nostra cultura che spesso ne appanna il significato. Voi invece, mi verrebbe di dire, interpretate in modo giusto questa Parola. Non nel senso che amate solo coloro che vi sono amici ma nel senso che date, a coloro che amate, lo stesso amore che dareste agli amici più cari, la stessa cura… date la vita. Per questo, gli alpini sono amici, fratelli di tutti. E questo è per voi motivo di gioia. «Sono pronto… a morire a Gerusalemme per il nome del Signore», dice San Paolo a chi piange per lui. Egli è pronto a morire per l’amore con cui il Signore lo ama e a morire – è interessante – a Gerusalemme, nel luogo dove si vive il quotidiano dei conflitti e si cerca la pace.   «Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi». Gerusalemme, cari amici alpini, è la nostra realtà, la nostra Nazione, la gente alla quale siete inviati. E la consapevolezza di essere inviati, scelti per questa missione, è parte della gratuità dell’amore. Voi non scegliete compiti, luoghi, persone; scegliete solo di essere a servizio e siete scelti per questo servizio. E questo vale pure per i volontari dell’Associazione! È una testimonianza luminosa, un seme di pace; e un seme così fruttifica sempre in modo bello e imprevisto. Lo pensavo stamattina, celebrando nella sede di un’opera ispirata a un sacerdote che ha donato e imparato tanto dagli alpini, don Gnocchi. Mentre, con affetto e commozione, vi ringrazio per ciò che fate e ciò che siete, chiedo a Dio che, come dono del Centenario, vi conceda di imparare da lui a vivere ogni giorno di più il dono di voi stessi, per continuare a essere artefici e artigiani di quella pace dell’amicizia e della fratellanza di cui il nostro mondo ha tanto bisogno, che si respira sempre dove ci sia un alpino, come si respira, oggi, in questa festa stupenda. Buona festa, il Signore vi benedica! E così sia!      XSanto Marcianò Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia