Conferenza Internazionale per Vescovi Militari Vienna, 26 -29 giugno 2022

29-06-2022

“Pastorale Militare: Sfide e Risposte”

 I Profughi e Rifugiati

Il tema dei rifugiati accompagna da sempre la storia dell’umanità e si ripropone particolarmente in tempi di crisi, dove si incrocia con il tema più ampio di emigrazione e immigrazione, generati da situazioni di povertà, disoccupazione, persecuzione… non ultimo, dalla guerra. E la guerra in Ucraina ha certamente riproposto questo tema in maniera drammatica, soprattutto per l’Europa.

All’interno del Continente Europeo, l’Italia si trova da tempo ad affrontare il fenomeno. Una storia di emigrazione ha segnato le vicende di tante nostre famiglie che, nella prima metà del Novecento, salpavano per raggiungere l’America del Sud e del Nord alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita; storia che si ripete, sia pure in maniera diversa, per l’uscita di tanti giovani, prevalentemente professionisti altamente competenti, dalla nostra Nazione. Oggi, tuttavia, l’Italia è uno dei Paesi Europei maggiormente coinvolti dal fenomeno dell’immigrazione, a motivo della sua posizione geografica e di un fondamentale atteggiamento di accoglienza.

Nei primi mesi di quest’anno, esattamente dal 1 gennaio 2022 al 31 maggio 2022, sono sbarcati nelle nostre coste 19.416 migranti (provenienti in particolare da: Egitto, Bangladesh, Tunisia, Guinea, Siria, Costa d’Avorio, Afghanistan, Iran, Eritrea,  Sudan…): una cifra che mostra differenze se confrontata allo stesso periodo del 2021 (14.692 sbarchi) e, ancor più, del 2020 (5119 sbarchi), anni condizionati dalle restrizioni imposte dalla pandemia da Coronavirus[1].

Il dato non può lasciare indifferenti. E non dovrebbe lasciare indifferente soprattutto il Continente Europeo, non sempre attento al fenomeno, anzi a volte chiuso in un’indifferenza colpevole. Indifferenza che rivela in maniera più importante la sua gravità oggi, quando la guerra in Ucraina ripropone in maniera ancor più drammatica il tema dei rifugiati.

Andando ancora ai calcoli, notiamo che il numero di ingressi alle frontiere italiane dall’Ucraina, dal 3 marzo 2022 al 1 giugno 2022, è stato 125.323, quindi molto più alto rispetto agli sbarchi di cui abbiamo parlato. Tra essi, in particolare, contiamo 85.956 adulti di cui la maggioranza donne (65.672), e un numero importate di minori: 39.367[2].

Certamente il tema è complesso, è una seria questione di politica internazionale. E la politica, in particolare la politica europea e italiana, ha dato una risposta all’emergenza creata dalla guerra. Il 4 marzo u.s., infatti, il Consiglio dell’Unione Europea ha applicato per la prima volta la Direttiva 55 del 2001, che consente la protezione temporanea degli sfollati, evitando la lunghezza procedurale per la domanda di asilo e concedendo libertà di spostamento all’interno dei diversi Paesi del continente e il libero accesso al mercato del lavoro. Accogliendo tale Direttiva, l’Italia ha concesso il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo e l’assistenza sanitaria pari a quella dei cittadini italiani, organizzando l’accoglienza dei profughi in diverse strutture di emergenza, attivate dal Ministero dell’Interno, dalle Prefetture locali e dai Comuni, da Associazioni di volontariato o  Enti religiosi… inoltre, è stato attivato un Piano per i minori non accompagnati che, al 20 giugno 2022, risultano 5.223, con una maggiore rappresentatività nella fascia di 7-14 anni[3].

 

Sarebbe sbagliato, tuttavia, affidare il problema dei rifugiati esclusivamente alla politica, che pure ne deve conservare la responsabilità gestionale.

Sarebbe inopportuno trascurare un fenomeno che ha molto da dire all’uomo del Terzo Millennio e che è decisivo per misurarne il grado di civiltà.

Sarebbe un vero peccato, come Chiesa – e come Chiesa Militare – chiudere, per così dire, l’orecchio dinanzi alle voci di coloro che sono eco della voce stessa di Gesù, nelle parole rivolte nell’Apocalisse alla Chiesa di Laodicea: «Ecco, sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).

L’immagine è eloquente ma è anche decisiva. È quella di Cristo che, nei rifugiati e nei migranti, bussa alle nostre porte, alle porte dell’Italia e dell’Europa, delle vite dei cittadini e dei nostri militari, del Cuore materno della Chiesa che, per volontà di Papa Francesco, sta celebrando il Sinodo, interrogandosi sul senso del “camminare insieme”. Mi sembra che questo “camminare”, nell’oggi della Chiesa e nell’oggi di Dio, debba incrociare il “camminare” dei nostri fratelli profughi. Vorrei pertanto contemplare in loro il Dio che sta alla porta e bussa e seguire i passi che Egli indica, attraverso le tre parole del Sinodo: partecipazione, comunione, missione.

 

  1. «Se uno ascolta la mia voce». La voce e la partecipazione.

La prima azione che Gesù ci invita a fare è «ascoltare». Non si può chiudere gli orecchi dinanzi a tanti nostri fratelli e sorelle che «bussano». Il problema ci riguarda! Ci riguarda il problema dei rifugiati della guerra, in particolare dell’Ucraina, ma, da lì, lo sguardo si volge avanti, arriva alle altre realtà migratorie. I profughi ucraini hanno fatto scattare una buona macchina organizzativa, ma forse emerge ancor più il rischio di un diverso trattamento di altre persone di nazionalità, religione, razza diversa… che vengono più spesso emarginate non solo in quanto a normative ma pure in riferimento alla reazione affettiva che essi suscitano nella popolazione. E non è solo la guerra la discriminante. Non vengono forse dalla guerra, o anche dalla guerra, i migranti di Siria, Afghanistan, di varie arti dell’Africa?

Se Sinodo significa anzitutto «partecipazione», la prima sfida, la parola senza la quale il Sinodo non sarà mai reale, è l’ascolto di voci reali e diverse.

Non c’è un’unica tipologia di migrante o di rifugiato. C’è la storia del Paese e la storia personale, talvolta le violenze e le torture subite, la fame, la separazione dei nuclei familiari. C’è il fenomeno della prostituzione indotta, della tratta di esseri umani, della mercificazione di organi. E la guerra in Ucraina ha portato alla luce anche il terribile mercato dell’ “utero in affitto”, che ha creato nuovi orfani tra i bambini abbandonati da “madri surrogate”…

«Il Sinodo ci offre l’opportunità di diventare Chiesa dell’ascolto: di prenderci una pausa dai nostri ritmi, di arrestare le nostre ansie pastorali per fermarci ad ascoltare»[4], dice Papa Francesco nel Discorso di Apertura del Sinodo. Da una parte, «ascoltare lo Spirito nell’adorazione e nella preghiera. Quanto ci manca oggi la preghiera di adorazione». Dall’altra parte, «ascoltare i fratelli e le sorelle sulle speranze e le crisi della fede nelle diverse zone del mondo, sulle urgenze di rinnovamento della vita pastorale, sui segnali che provengono dalle realtà locali».

Ci sono parti del mondo che gridano, invocando aiuto; il fenomeno migratorio va dunque conosciuto e ascoltato, per garantire una reale partecipazione alla vita della Chiesa.

 

  1. «Cenerò con lui ed egli con me». La cena e la comunione.

La seconda parola del Sinodo è la «comunione», Dio che siede a tavola con noi. È una prospettiva Eucaristica, necessaria per affrontare in modo appropriato l’argomento di cui siamo parlando.

Il tema dell’accoglienza dei rifugiati, della loro partecipazione, esige un “di più”; per la politica, ciò significa integrazione in un sistema sociale e lavorativo, multiculturale e linguistico, umano e religioso, in nome della giustizia sociale e del bene comune; per la Chiesa, tutto questo chiama in causa l’amore, la carità, che contiene e supera la giustizia.

Sì, c’è un’urgenza e anche una fantasia della carità che possiamo suggerire al mondo. In questo, vorrei portare due esempi concreti, frutto dell’esperienza italiana con i rifugiati.

Da una parte, i «corridoi umanitari», per favorire la salvezza di vite umane in luoghi di guerra, stimolati dalla nostra Nazione, con l’apporto decisivo di realtà come la comunità di S. Egidio.

Dall’altra parte, la mobilitazione delle famiglie nell’accoglienza: penso a tante famiglie giovani o legate ad Associazioni ecclesiali, come la Comunità Papa Giovanni XXIII ma non solo, che hanno manifestato grande apertura, specie nell’emergenza della guerra in Ucraina. E l’accoglienza nei nuclei familiari è particolarmente feconda, perché favorisce un’integrazione più naturale.

Certamente, in tale prospettiva si coglie il pericolo dell’emotività: il rischio di ospitare in nome di un sentimento sincero ma che potrebbe non essere duraturo. Per questo, come Chiesa, dobbiamo educare a scorgere, nel fenomeno dei rifugiati, un appello alla carità che sempre supera l’emotività.

Allo stesso tempo, siamo chiamati a essere promotori di una rete di comunione più organizzata.  Serve ascoltare insieme ad altri e agire insieme, anche per liberare il problema dei migranti e rifugiati dalle ideologie, mode e dalla strumentalizzazione politica.

Insieme: ecco la fedeltà alla dinamica sinodale!

Anzitutto, la Chiesa insieme al mondo delle istituzioni: è una dinamica importante alla quale, peraltro, i nostri Ordinariati Militari sono abituati.

Poi, insieme perché impegnati nel dialogo ecumenico e interreligioso, anch’esso preziosa esperienza delle Chiese Militari; una dimensione importante questa, tanto nella gestione del tema dei rifugiati quanto per far sentire con forza le voci delle diverse fedi a difesa della persona umana e della sua dignità, quali che siano la sua nazionalità, lingua, razza, religione…

Infine, insieme come Europa. E forse è proprio il tema delle migrazioni a poter offrire un’occasione di crescita della coscienza europea. Un modo di vivificare quelle radici che ci segnano e che spesso abbiamo rifiutato, ma che forse proprio l’impatto con l’altro, con il diverso da noi, puoi aiutarci a valorizzare, perché spesso è proprio dinanzi all’altro che si scopre la propria identità.

 

  1. «Se qualcuno mi apre la porta, io entrerò da lui…». La porta e la missione.

La terza parola del Sinodo è la «missione». E la Chiesa è per la missione, esiste per la missione. È «Chiesa in uscita», direbbe Papa Francesco. Missione è aprire le porte: per accogliere e per uscire. Ma le porte dell’Europa, straordinariamente spalancate per i profughi ucraini, rimangono però chiuse in alcuni confini, dove ancora i migranti vengono respinti con crudeltà o lasciati morire…

Negli Orientamenti sulla Pastorale Migratoria Interculturale, recentemente pubblicati dal Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, riprendendo il ricchissimo magistero di Papa Francesco e l’Enciclica Fratelli Tutti, si ricorda come la Chiesa oggi sia posta dinanzi a una doppia sfida: quella «ad intra, che riguarda il modo di vivere la cattolicità della nostra fede: una Chiesa che è capace di includere ognuno e riconosce che ogni persona battezzata nella Chiesa Cattolica ne è un membro a pieno titolo, ovunque egli o ella possa essere. Questo comporta accogliere i cattolici provenienti da qualsiasi parte del mondo e integrarli nella comunità locale»; c’è poi la sfida ad extra, che «riguarda il modo di essere una Chiesa realmente missionaria: raggiungere quelli che hanno bisogno di aiuto, gli scartati, gli emarginati, gli oppressi… tutte persone da riconoscere e delle quali prendersi cura perché è un comandamento del Signore». Per questo, vengono suggeriti alcuni punti, utili per la pastorale e con i quali mi piace riassumere la nostra riflessione [5].

  1. Riconoscere e superare la paura: favorire una migliore conoscenza del fenomeno migratorio, anche attraverso il coinvolgimento dei mass media e l’educazione dei giovani, per natura più portati all’inclusione.
  2. Promuovere l’incontro: impegnarsi a formare persone capaci di creare ponti.
  3. Ascoltare ed essere compassionevoli: soprattutto per coloro che, come professionisti del “counseling” e come pastori o consacrati, sono chiamati a uno speciale ascolto dell’altro.
  4. Vivere la nostra cattolicità: ricordare come la Chiesa sia strumento di unità, non di uniformità, e lo Spirito di Pentecoste renda possibile l’unione nella diversità
  5. Considerare i migranti una benedizione: non solo destinatari ma protagonisti della missione della Chiesa.
  6. Realizzare la missione evangelizzatrice.
  7. Cooperare in vista della comunione.

Subito dopo la nomina da Ordinario Militare compresi che la nostra è una «Chiesa senza confini»: e credo che la missione evangelizzatrice della Chiesa militare sia tutta qui.

Come sacerdoti e cappellani militari, infatti, raggiungiamo i nostri militari ovunque, senza i confini geografici di una Diocesi; li raggiungiamo e li seguiamo spiritualmente, nel loro compito di rendere i confini non più presenti. Nel loro compito di difendere le persone, non i confini!

Il ruolo che i militari giocano nella pastorale dei rifugiati può essere cruciale in ogni Paese, talvolta anche superando regole che rendono ingiuste alcune normative vigenti. Pensiamo, come esempio, alla “legge del mare”, che impone il salvataggio di tutte le vite umane… un compito di grande importanza se consideriamo che, nel cimitero del Mediterraneo, dal 2013 ad oggi si contano più di 23.000 morti o dispersi…[6]

E pensiamo anche all’impegno dei militari in diverse Missioni Internazionali per il supporto alla Pace, che li vede aiutare i rifugiati sul versante della prevenzione e della promozione umana.

Credo che l’esperienza italiana sia un grande esempio anche in questo campo, non solo per la competenza delle nostre Forze Armate ma soprattutto – lo dico come pastore – per l’etica che le caratterizza e le vede attente ai valori della giustizia e del bene comune, della fraternità e della pace: valori possibili solo se, alla base di tutto, si pone la difesa di ogni persona umana, in ogni fase e condizione di vita, e la cura della sua inalienabile dignità.

Credo che il nostro compito di pastori della Chiesa che è tra i militari sia tenere viva questa difesa e questa cura, e curare umanamente e spiritualmente coloro che ci sono affidati, affinché possano essere fedeli alla vocazione di «ministri della pace», che il Concilio riconosce loro, e sappiano riconoscere in ogni uomo, donna e bambino rifugiato – così come in ogni uomo, donna e bambino minacciato nella sacralità della sua vita e nella bellezza della sua umanità -, la voce e di Colui che bussa alla porta dei cuori umani, per entrare e consumare il banchetto della comunione e della pace.

Santo Marcianò
Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia

 

 

[1] Fonte: Dipartimento della Pubblica sicurezza. I dati sono suscettibili di successivo consolidamento (aggiornato al 31 maggio 2022)

[2] Fonte: Protezione Civile

[3] Fonte: Ministero dell’Interno

[4] Francesco, Discorso di Apertura del Sinodo, 9 ottobre 2021

[5] Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, Orientamenti sulla Pastorale Migratoria Interculturale

[6] Dati Unhcr 2021