Meditazione alla 46° Convocazione Nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo.

27-04-2024

Fiera di Rimini 27 Aprile 2024

 

Carissimi fratelli e sorelle, il cammino benedetto di questa Convocazione Nazionale giunge al suo “cuore”, che è il Cuore stesso del Padre: giunge all’esperienza della Misericordia. Alla Misericordia, infatti, è dedicata questa Giornata e, in particolare, la Liturgia Penitenziale, sull’eco delle parole evangeliche: «Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro» (cf Lc 15, 20).

Il versetto, lo sappiamo, è tratto da un brano notissimo del Vangelo di Luca (Lc 15, 11-32): la Parabola – appunto – del «Padre Misericordioso». Una misericordia che pervade la Liturgia Penitenziale, e, dunque, la nostra vita e che, con la Parola, vorrei invitarvi a contemplare e accogliere in tre momenti:

  • La lontananza
  • Lo sguardo
  • L’incontro

 

  1. La lontananza

«Quando era ancora lontano».

Conosciamo la storia: un padre ha due figli; il figlio minore chiede al padre la sua eredità e parte per un paese «lontano». Lì vive da dissoluto, sperpera le sue sostanze, sperimenta la condizione di disumanità, trovandosi «tra i porci», come dice il testo. E questo, non a causa di altri ma per la sua scelta personale: si è allontanato volontariamente. Si trova lontano dal Padre.

È la lontananza in cui noi, come lui, possiamo trovarci, quando viviamo l’esperienza del peccato. Un’esperienza continua, a motivo della fragilità umana; un’esperienza che a volte, dinanzi ad alcuni peccati, diventa fonte di particolare sofferenza, disumanizzazione, privazione di tutto, soprattutto della libertà.

È l’egoismo, radice di ogni peccato, a renderci schiavi perché perennemente concentrati su noi stessi e sul nostro benessere: sul potere, l’avere, il piacere, il successo… Schiavi perché incapaci di sperimentare la pienezza di libertà che segna in modo peculiare la dignità umana: la libertà del dono, del dono di sé, che è poi la libertà dell’amore.

Come alcuni esegeti commentano, l’allontanamento del figlio è quasi un tentativo di “uccidere” il Padre, di eliminarlo dalla sua storia e dalla sua memoria; egli aveva chiesto, infatti, la sua parte di eredità, cosa che si fa solo quando le persone sono morte. Un modo di liberarsi del Padre, equivocando il rapporto con lui e credendolo un rapporto di schiavitù.

È invece il peccato che ci fa schiavi, anche quando esso coincida con una rivendicazione di libertà da parte nostra; una rivendicazione personale o, a volte, una rivendicazione sociale, politica, economica… sì, accanto al peccato personale, ci può essere anche un peccato comunitario, spesso commesso in nome del “diritto”, specie del diritto di pochi, e che arriva a conculcare la libertà e la stessa vita, propria e di altri.

Penso ai tanti peccati contro la giustizia, le cui conseguenze cogliamo su larga scala ma che si annidano sempre nel cuore dell’uomo. Le violazioni della legalità, l’evasione fiscale, il lavoro nero o insicuro, l’accumulo dei beni di pochi ricchi a danno dei tanti poveri del mondo…. E penso alle discriminazioni che escludono i deboli, i carcerati, gli immigrati, i malati, così come alle rivendicazioni di quei diritti che violano il diritto fondamentale alla vita: come non sentirci, oggi, chiamati in causa dalla crescente violenza contro le donne ma anche dal riconoscimento dell’aborto quale diritto fondamentale, invocato in alcune Costituzioni Nazionali e richiesto anche in Europa? Se si tocca la vita di un solo uomo, si tocca l’umanità tutta, si tocca la libertà, si tocca la pace! Come non ricordare qui le parole di Madre Teresa: «Se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, come mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla».[1] Cari fratelli, la nostra Preghiera Penitenziale è anche per tutto questo.

Come non vedere un frutto drammatico di tale peccato nell’attuale diffondersi di una mentalità utilitarista e discriminatoria, che si accompagna al rifiuto della vita, alla violenza, alla guerra che è ormai mondiale, anche se a pezzetti?

L’allontanamento deliberatamente scelto dal figlio, scelto dall’uomo, è, in sostanza, un’illusione di libertà. Lo è per il singolo. Lo è per la comunità, nella quale ogni opera umana si trasferisce, con i suoi frutti e con la sua valenza di testimonianza e di educazione. Nella portiamo noi stessi, ne nostre scelte, il nostro pensiero…

Iniziando la preghiera di questa mattina, vogliamo collocarci in questo “luogo interiore”: la lontananza. E ci chiediamo con semplicità:

  • Qual è la mia «lontananza»?
  • Quale il luogo della mia vita in cui oggi sono volontariamente privato della libertà?
  • Quale mia lontananza dal Padre può contribuire ad allontanare da Lui la mia famiglia, la mia comunità, il mondo?

Sono domande forti e sarebbero tremende se suonassero come giudizio, come autovalutazione; in realtà, mi verrebbe da dire, sono domande “introduttive”. Già ponendole, infatti, sentiamo come si stia riducendo questa lontananza, la nostra lontananza da Dio. E’ il potere della preghiera comunitaria che libera.

Il figlio si è allontanato ed è «ancora lontano», dice il Vangelo. Ma sta tornando!

Sì, amici: c’è una lontananza che cresce mentre si va via; ma c’è una lontananza che diminuisce sulla via del ritorno a casa. È questa la lontananza che stamattina dobbiamo sentire. E’ il nostro ritorno dal Padre.

Sono qui, Signore, lontano da Te! Sono ancora lontano ma in cammino, mi sto avvicinando!

Accade che, quando siamo in cammino, a volte la meta sembra più lontana proprio mentre si avvicina: forse per la stanchezza, forse perché non è più visibile… Ci serve dunque una maggiore forza; ci serve uno sguardo diverso.

Ed ecco il Padre!

Il Padre è la forza. Pur se il figlio è lontano, il Padre rimane sempre un riferimento. Nonostante la lontananza terribile del peccato, cioè, il Padre non è stato completamente “ucciso”, cancellato dalla memoria.

Il figlio della Parabola continuerà sempre a essere chiamato «figlio»; come ciascuno di noi, non perderà mai la propria identità di figlio. E questo è bellissimo.

Ma il figlio può rimanere figlio perché il Padre rimane sempre Padre. Pur se rifiutato, non smetterà mai di amare come padre i suoi figli.

Questa è la forza che ci raggiunge nel cammino di conversione, di ritorno a casa; cammino in cui il Padre è la Meta. Questa è la forza da cui e con cui partire nella Celebrazione di questa mattina: mi sento ancora lontano perché sono e sarò sempre figlio!

 

  1. Lo sguardo:

«… Il padre lo vide e, commosso…»

Il figlio, dunque, è ancora lontano, non vede il Padre. Ma il Padre lo vede! Ed è questo sguardo che, forse inconsciamente, indica la direzione. È questo sguardo che ci guida.

Ci sarà capitato, a volte, di sentire su di noi lo sguardo di qualcuno, prima ancora di intercettarlo con i nostri stessi occhi; forse non lo dimenticheremo mai. Così, possiamo immaginare che il figlio, mentre torna verso casa, si senta avvolto dallo sguardo del Padre, prima ancora di accorgersene.

Lo sguardo del Padre ci precede, sempre, fin dal momento della Creazione, quando Dio contempla la bellezza della sua creatura, in ciascuno di noi. Ogni Preghiera Penitenziale inizia da qui.

  1. Ignazio di Loyola, negli Esercizi Spirituali (43,1-2), pone come primo atto del cosiddetto «Esame di coscienza», il ringraziare Dio per tutti i benefici ricevuti: per la vita, per ciò che sono, per ciò che di bello ho compiuto con il Suo aiuto… ogni «confessione» di colpa sgorga dalla «confessione» di quanto di buono il Signore ha fatto, in me e attraverso me, di quanto il Signore mi ama.

Ringraziare, dunque. E ringraziare il Padre che mi «vede da lontano» perché sta a guardare, scruta continuamente l’orizzonte, mi attende e spera nel mio ritorno già da quando sono andato via; vede in me ciò che io non saprei vedere.

La lontananza non è di ostacolo al Suo Sguardo; mi vede, potremmo dire, oltre ogni lontananza; coglie, al primo accenno, il passo ancora incerto del mio ritorno verso casa, compiuto quando, guardandomi dentro, scopro la verità del mio peccato.

Per guardarci dentro, tuttavia, serve anche a noi lo stesso sguardo di Dio; e anche qui ci è di aiuto. S. Ignazio, quando, dopo il ringraziamento, ci invita a chiedere la Grazia e la Luce per riconoscere i nostri peccati ed eliminarli (Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, 43,3).

Ecco, questa mattina vogliamo chiedere lo sguardo stesso di Dio, per riuscire a guardarci dentro nella verità, senza la quale non si può riconoscere il proprio peccato.

Nel racconto della Parabola si dice che il figlio «ritornò in se». E rientrare in se stessi significa fare un incontro con la verità di noi stessi e con la verità di Dio. Non si può essere da soli a guardare dentro di sé; né si può fare chiarezza a partire dalle opinioni che gli altri hanno su di noi.«Gli uomini con il loro giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo», scriveva papa Francesco nella Bolla di Indizione del Giubileo della Misericordia[2].

Come il figlio, posso guardarmi dentro perché sono preceduto e avvolto dalla sguardo di verità e di amore del Padre. Da uno sguardo di «commozione», di «compassione» che mi fa alzare, risorgere.

Cari amici, sentiamo su di noi questo Sguardo, sentiamocene avvolti, per decidere come fa il figlio: «Mi alzerò e andò da mio padre». E il verbo che il greco qui utilizza – anastàs – è il verbo della Risurrezione. Forse il figlio non se ne rende conto ma sta risorgendo, sta abbandonando la logica di morte che lo avvolge assieme al peccato. Più tardi il padre lo dirà al figlio maggiore: «Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Ritrovare se stessi non è introspezione psicologica, è frutto della logica della Risurrezione che invade la nostra vita e fa sì che noi veniamo letteralmente rigenerati; e rigenerati dalla misericordia. Il figlio si alza, cioè risorge, perché il Padre «ha compassione», ha «misericordia».

I due sostantivi ebraici principali che indicano la misericordia sono: hesed, cioè bontà, grazia e rah-mim, viscere, grembo. Ed è interessante come essi sembrino denotare, rispettivamente, la responsabilità dell’amore tipica del padre e la maternità del grembo femminile, espressa anche dal termine greco con cui qui il Vangelo indica la misericordia, la compassione: splancné.

La Misericordia è amore che ci genera e ci rigenera; che dona vita e la trasforma. Per questo, oltre al Cuore del Padre, ha bisogno del Grembo della Madre. «La misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio. È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”. Proviene dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza e compassione, di indulgenza e di perdono»[3].

 

L’incontro: «… gli corse incontro».

La misericordia è il motore della «corsa» del Padre verso il Figlio.

Vorrei con voi rileggere, in questa «corsa» del Padre, l’espressione usata dal Salmista, quando dice che Dio «manda sulla terra il suo messaggio» e «la sua parola corre veloce» (Salmo 147,4).

Sì, nella nostra lontananza, Dio ci raggiunge attraverso il Suo sguardo ma anche con la Sua Parola. Sentendo su di noi lo sguardo del Padre, siamo dunque invitati a fare memoria di una Parola di Dio, una Parola che ci ha raggiunto in un momento particolare della nostra vita – forse anche in questo momento – e che non abbiamo più dimenticato. Una Parola che ha il sapore di un’Alleanza nuova con il Signore, di una consolazione, di una medicina, di un cambiamento di vita… di una Risurrezione.

Nei momenti più significativi della vita, in ogni tappa nel cammino della conversione, assieme allo Sguardo di Dio, c’è sempre una Sua Parola che mi precede, che è inviata a me, inviata per me!

E la Parola di Dio, la Parola unica – come dice il Vangelo di Giovanni e come commenta San Giovanni della Croce – è Gesù, è il «Verbo fatto carne» (cfr. Gv 1,14).

Come al figlio della Parabola, Dio ci corre incontro: Dio accorcia le distanze tra Lui e noi.

Lo fa con il Suo Sguardo e con il Suo Cuore, colmo di compassione e misericordia. Corre verso di me e, quando mi arriva vicino, continua a guardarmi, mi guarda più in profondità, con commozione e gioia.

Lo fa inviando il Suo Figlio, Gesù, Parola fatta carne per la salvezza del mondo, per la mia salvezza. Come ogni Sacramento, la Confessione, la Riconciliazione, il Perdono è incontro con Lui.

Alla luce della Parola, posso vedere le zone d’ombra presenti nella mia anima: i pensieri che mi turbano e mi incattiviscono, le parole che non esprimono la verità di me stesso e che, a volte, feriscono a uccidono l’altro, il bene che ho omesso di compiere, il male fatto con i miei gesti… (Ignazio di Loyola, EESS 43, 4-5). Posso sentire il peso di ogni vuoto d’amore, di ogni Parola di Dio che non ha trovato eco in me ma che, nonostante ciò, continua ad essere appello, spinta, vocazione.

Se è vero che nessuna Parola uscita dalla bocca di Dio torna a Lui senza aver compiuto ciò per cui Egli l’aveva inviata (Is 55,11), è infatti vero che la Parola, seminata nel cuore umano, si ridesta come nostalgia, come desiderio. E l’incontro con Gesù, Parola stessa del Padre, ci dona la Grazia di compierla.

Con la Parola, il Padre corre incontro al figlio, corre incontro a me. Si getta al mio collo e mi bacia. La Parola è la corsa del Padre verso l’uomo, verso di noi amati da Lui.

Anche il bacio ci ricorda l’istante stupendo della Creazione, dove non solo Dio ci crea «a sua immagine» ma soffia in noi, infonde in noi «un alito di vita» per il quale l’uomo divenne «un essere vivente» (Gn 2,7). Ci ha creati baciandoci. Ci perdona baciandoci.

La vita è quel “soffio”, quel Suo respiro che Dio stesso ha posto in noi: è qualcosa di Lui. Il termine ebraico nishmat, usato dalla Genesi, nell’Antico Testamento è riservato solo all’uomo e a Dio, diversamente da ruah che indica il soffio vitale destinato a tutti gli esseri viventi.

Il Soffio, il Respiro del Dio Vivente, fa diventare l’uomo un essere vivente (psuchèn zòsan). Questo accade all’origine del mondo e ogni volta che, nel silenzio di un grembo materno, un piccolo essere umano viene concepito, ripetendo la meraviglia del miracolo della creazione. Ma questo Soffio sacro permane in ogni situazione di vita; permane nella sofferenza del peccato che apre al Mistero del perdono. “Niente è nessuno mai ci potrà separa dall’amore di Dio” (Rm, 8,35).

Il Soffio dello Spirito infuso nei Sacramenti, compie pertanto in noi una nuova Creazione, una Risurrezione. E questo con un bacio, con un abbraccio del Padre.

Sì, quello del Padre è «un abbraccio che salva», ha ricordato il Papa qualche giorno fa ai membri dell’Azione Cattolica Italiana, invitando tutti a promuovere una vera e propria «cultura dell’abbraccio». In un tempo come il nostro, afflitto da guerre che ci fanno ormai sempre più paura, malato di sfiducia e conflittualità, relegato in un individualismo sempre più asfissiante, riscopriamo che solo «la via dell’abbraccio è la via della vita» e che «un abbraccio può cambiare la vita»[4].

Un abbraccio, quello di Dio, che dobbiamo accogliere e ricambiare. È quanto accade quando chiediamo al Padre perdono di tutte le nostre mancanze, proponendoci di non commetterle più, con l’aiuto della Sua Grazia (Ignazio di Loyola, EESS 43, 6-7).

 

Cari amici, nel Roveto Ardente di oggi, sono dunque invitato a rinnovare l’esperienza meravigliosa e sempre nuova della Misericordia di Dio. Così, il luogo della mia lontananza da Dio diventa il luogo in cui:

  • Lasciarmi toccare dal soffio dello Spirito.
  • Lasciarmi avvolgere dallo Sguardo del Padre, anche se non lo vedo, e ringraziare.
  • Lasciarmi raggiungere dalla corsa della Sua Parola, anche se sono debole nel cammino.
  • Lasciarmi abbracciare da Lui e imparare a ricambiarlo, anche abbracciando gli altri.

Non lo dimentichiamo: «un abbraccio può cambiare la vita». E’ l’abbraccio di Dio che mi salva, è l’abbraccio ai fratelli che cambia il Mondo.

Che nella preghiera di oggi, la nostra vita cambi, sotto lo Sguardo di Dio e nel Suo abbraccio di Perdono, di Misericordia e di infinito Amore.

E così sia!

Santo Marcianò

 

[1] Discorso di Santa Teresa alla consegna del Nobel per la pace, 11 dicembre 1979.

[2]Francesco, Bolla di Indizione del Giubileo della Misericordia Misericordiae Vultus,, 14

[3]Ivi, 6

[4] Francesco, Discorso ai membri dell’Azione Cattolica Italiana, 25 aprile 2024