Omelia alla Celebrazione delle esequie del Gen. Claudio Graziano

21-06-2024

Roma, Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, 21 giugno 2024

 

Carissimi, non è facile trovare le parole per esprimere quanto oggi abita i nostri cuori. Ci troviamo in questa Basilica, traboccante di commozione e gremita di cittadini, di autorità civili e militari, di rappresentanti delle Istituzioni. Una Chiesa che è stata testimone silenziosa di altri lutti che hanno sconvolto l’Italia e ora accoglie come Madre – è dedicata a Santa Maria degli Angeli e dei Martiri! – il generale Claudio Graziano con la sua storia e il dolore di tutti noi che ci stringiamo a lui, per accompagnarlo nell’ultimo tratto del viaggio terreno.

Siamo attoniti dinanzi a questa morte; siamo nell’«angoscia», come bene si esprime la prima Lettura (Dn 12,1-3); ma è la stessa Parola di Dio a invitarci delicatamente a sollevare lo sguardo verso l’Alto e a farci intravedere un raggio di luce: «I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre».

Ricordare Claudio significa ricordare un uomo «saggio», nel senso più ampio del termine; un militare la cui vita è diventata ben presto «stella», non solo per le persone più vicine ma per l’Italia, l’Europa, il mondo. Ha brillato, il generale Graziano, in una carriera giunta a vette di incarichi prestigiosi e compiti di altissima responsabilità ma partita dal sogno semplice di seguire egli stesso, come una “stella”, la vocazione militare: il suo ideale di vita di sempre, fin dal fascino esercitato in lui dalle letture giovanili dei racconti degli alpini, interiorizzate assieme ai tanti libri che ha sempre continuato a divorare.

Uomo di grande cultura, è diventato presto un uomo di comando, capace di “dare ordini” perché disposto a seguire l’«ordine stupendo» che regna nell’universo, la cui custodia, a fondamento della pace e a servizio del bene comune, è compito dell’autorità; lo scrive nell’Enciclica Pacem in Terris Giovanni XXIII, Santo che il generale Graziano ha desiderato fortemente diventasse Patrono dell’Esercito Italiano. Perché «l’autorità – spiega Papa Giovanni quasi dipingendo il nostro generale – non è una forza incontrollata: è invece la facoltà di comandare secondo ragione» ed è «soprattutto una forza morale; deve, quindi, in primo luogo, fare appello alla coscienza»[1].

Nella coscienza, «sacrario» del dialogo tra Dio e l’uomo, Claudio ha attinto decisioni cruciali, fedele all’organizzazione e ai valori alti della tradizione militare italiana, ma aperto all’innovazione e alle esigenze di altri popoli; è diventato, così, protagonista di straordinarie missioni diplomatiche e iniziative di pace, specie in terre martoriate da diversi conflitti, contribuendo a estinguere fuochi di guerra apparentemente inevitabili e combinando le strategie di difesa con il necessario supporto umanitario.

E la sua grande umanità – assieme alla serietà, alla professionalità e alla competenza universalmente riconosciutegli – lo ha reso una vera «guida», che ha «indotto molti alla giustizia», come continua la Sacra Scrittura. Maestro e punto di riferimento, in campo militare e sociopolitico, a livello nazionale e internazionale.

Sì, una stella, un uomo saggio perché animato dalla «sapienza» di un’intelligenza vivace, di un cuore aperto al bene degli altri, di uno sguardo ampio e profondo, nel quale tutti ci siamo sentiti compresi, accolti, ospitati e la cui mancanza – dicevamo – sembra lasciarci nell’angoscia.

E l’angoscia, aggiunge la Parola di Dio, è anche «un tempo»: invade il tempo, in contingenze storiche a cui, come tanti dei nostri militari e uomini di governo, Claudio ha saputo rispondere, cercando rimedi e soluzioni; ma l’angoscia può invadere pure il tempo personale, spesso in maniera drammatica, come forse egli stesso avrà sperimentato.

Nel Vangelo (Gv 11,32-45), Gesù raffigura tale angoscia, in particolare l’angoscia per un lutto, con l’immagine delle «lacrime», offrendone quasi una chiave interpretativa.

È un contesto familiare: Marta e Maria piangono la morte del fratello Lazzaro; è un contesto di profonda amicizia: Marta, Maria e Lazzaro sono infatti amici intimi di Gesù, il quale, a sua volta, irrora di lacrime quella casa di Betania nella quale amava trascorrere il tempo del riposo e della gioia condivisa…

Come non pensare, in questo contesto domestico, alle lacrime – tante lacrime! – che Claudio ha versato, fino alla fine, per la perdita della sua amata Marisa! Una coppia speciale, unitissima, quasi in simbiosi, tutti lo abbiamo toccato con mano. Un grande amore sponsale, ferito dal vuoto di non aver avuto figli ma, in un certo senso, reciprocamente generativo: sembravano “madre e padre” l’uno per l’altra; ed era soprattutto lui ad affidarsi alla cura materna di Marisa, a tratti quasi come un bambino con quella fragilità, che forse alla fine in lui ha prevalso, ma comune a tutte le creature umane: il bisogno di amare e di essere amati! Un bisogno superiore a ogni altra necessità – mai dovremmo dimenticarlo -, che il Salmo responsoriale (Salmi 41 – 42) ci aiuta a decifrare come «sete», dell’amore degli altri e di Dio: «Ha sete di te, Signore, l’anima mia».

La sete di amore era, per questa coppia e per Claudio in particolare, un cuore spalancato all’accoglienza degli altri, specie di tanti giovani, e un’apertura straordinaria all’amicizia vissuta con lealtà, vicinanza, condivisione di progetti e di gioie. Commuove come, accanto all’unanime riconoscimento di un esemplare uomo delle Istituzioni e di un militare tra i più importanti, per l’Italia e non solo, la definizione che più ricorre negli innumerevoli messaggi di cordoglio sia proprio questa: «amico».

Sì, Claudio era un amico! Lo era anzitutto per voi, uomini e donne delle Istituzioni; e il vostro legame fa emergere ancor più la bellezza della sua persona e, per così dire, il lato bello della missione di servizio alla “cosa pubblica” portata avanti assieme, da uomini e donne capaci di solidarietà, impegno, trasparenza, dedizione, nel servizio disinteressato al bene comune, alla giustizia, alla pace.

Che compito immenso! Che vocazione alta e tremenda! E noi tutti, come dice San Paolo nella seconda Lettura (1Tm 2,1-6a), non dobbiamo cessare di pregare, perché il «potere» che vi è affidato in ambito pubblico, sia sempre più «servizio».

Claudio ha saputo testimoniarlo; e, mentre preghiamo anche per lui, è motivo di gratitudine infinita pensare che il suo cammino abbia intercettato e cambiato il cammino di tante generazioni di comandanti, militari, colleghi di lavoro, parenti e amici.

È stato un amico e, per molti di noi, un vero fratello. Per questo, ci identifichiamo nelle lacrime delle sorelle di Lazzaro e nelle stesse lacrime di Gesù dinanzi all’amico che muore: «Vedi come lo amava!», commentano i presenti quando Egli, dice il testo evangelico, «scoppia in lacrime». Ma quelle lacrime non sono soltanto l’espressione di un terribile dolore personale; sono lacrime di condivisione, compassione, vicinanza straordinaria a ogni lacrima umana, a ogni lutto, a ogni perdita di speranza, che si trasformano in un sussulto, in una speranza di vita.

Gesù prega e il Padre restituisce la vita a Lazzaro; l’amicizia non è chiusura, è affaccio sull’orizzonte della generosità, della dedizione, del dono di sé. E il senso dell’amicizia vissuto da Claudio si è irradiato in rapporti di dialogo e stima che hanno posto le basi anche per relazioni più forti, in ambito istituzionale, diplomatico e politico, al di là di differenze di opinione, cultura, partito. Tutto per il bene del Paese e la difesa di tutti gli esseri umani, specie i più piccoli, a cui il servizio militare è particolarmente diretto.

Gesù piange per l’amico ma il Suo dolore umano è strumento di comunione e di vita. E quante lacrime di gioia e di fatica il generale Graziano ha certamente sparso, nella comunione con coloro ai quali era dedicata la sua vita, la sua fatica, la sua sofferenza… quanti dei suoi sforzi sono stati vita per gli altri!

È vero, Claudio avrà vissuto, nell’ultimo tempo, un pianto inconsolabile: ma il pianto di Gesù si confonde con il suo e, ne siamo certi, diventa anche per lui Vita che libera dal sepolcro; che «scioglie», dice il brano, dai lacci di tutto ciò che è buio, dolore, e morte.

Cari amici, l’incontro con Gesù compie tutto questo: può compierlo nell’ora estrema della morte, in un modo misteriosamente velato al nostro sguardo terreno, che rimane nel segreto del rapporto tra l’uomo e il Suo Signore; ma può compierlo nel nostro cammino terreno se noi affidiamo la nostra vita a Lui che ci libera dalla solitudine e dai lacci del male e del peccato che bloccano la libertà, la capacità innata di amare e fare il bene.

Mentre ci uniamo al «grazie» corale e unanime, sentito e convinto, per la vita del generale Claudio Graziano; mentre lo affidiamo con fiducia al Dio di amore, di tenerezza, di misericordia, noi lo ricordiamo come stella saggia e sapiente. Soprattutto, noi lo sentiamo amico e fratello. Dandogli l’ultimo saluto, ci impegniamo a vivere la vita in pienezza: nella preziosità del calore familiare; nella fraternità delle relazioni umane; nella fedeltà a un lavoro che è vocazione, nell’instancabile ricerca di Dio che, solo, può accogliere ed estinguere l’umana sete di giustizia, di amore, di pace.

Grazie, Claudio, grazie fratello e amico. Ti vogliamo bene!

Riposa in pace e così sia

Santo Marcianò

Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia

[1] Cfr. Giovanni XXIII Lettera Enciclica Pacem in Terris, n. 1; 27; 28