Omelia alla Celebrazione delle esequie del Ten. Col. Giuseppe Cipriano e del Mag. Marco Meneghello – Parrocchia Beata Vergine Maria di Loreto

10-03-2023

 

Guidonia 10.03.2023

Carissimi fratelli e sorelle,

è un dolore profondo quello che oggi ci trafigge tutti, particolarmente voi, care famiglie di Giuseppe e Marco; parenti e amici, colleghi dell’Aeronautica Militare. Un dolore che rimbomba dentro, come l’esplosione che ha spento in pochi attimi la vita dei due piloti, in un tremendo incidente di volo.

Una morte improvvisa e tragica, come quella che ha colpito e accomunato Giuseppe e Marco, è una morte che lascia sgomenti ma ci fa anche fermare per chiederci il senso, ci obbliga ad andare in quel profondo dal quale si leva il nostro grido, accorato come quello del salmista (Salmo 129): «Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce». Un grido che ci fa interrogare e interroga Dio: perché la morte, il dolore? Qual è il senso della vita?

Al nostro grido sembrano fare eco le parole del Vangelo (Lc 12, 35-40): «Siate pronti»! Un’eco non teorica ma calata nelle storie concrete del Tenente Colonnello Giuseppe Cipriano e del Maggiore Marco Meneghello. Troppo presto è arrivata per loro la morte; eppure, ci sembra che abbiano colto l’invito di Gesù: in certo senso, ci sembra che fossero pronti.

Ma come si può essere pronti a morire così giovani e così all’improvviso? Non possono forse dirsi pronti solo coloro che hanno vissuto una vita lunga, costellata da successi e fatiche? O non è piuttosto pronto chi si trascina in un’esistenza spenta e senza sogni, chi la morte la aspetta, la desidera, tenta di sfidarla con comportamenti di rischio estremo?

Giuseppe e Marco hanno vissuto il rischio, sì, ma non quello di chi sfida la morte perché disprezza la vita! È piuttosto il rischio previsto in una professione che, se portata avanti fino alla fine, espone al rischio stesso della propria vita per il bene della vita altrui.

Due vite accomunate da una passione infinita per il volo e da una grande competenza nello svolgimento dei propri compiti. Giuseppe: un’esperienza di istruttore di volo lunga, validissima e richiesta anche all’estero, in Scuole, in Missioni di sostegno alla pace, come pure nel supporto alla Protezione civile per le calamità naturali e i trasporti sanitari. Marco: una dedizione consegnata a compiti diversi, tra i quali il soccorso aereo e il trasporto di pazienti in biocontenimento nell’emergenza pandemica da Covid 19. Due esistenze intense, seppur brevi.

Così, i nostri due amici ci hanno insegnato – e lo insegnano soprattutto ai più giovani – che è pronto a morire chi vive la vita, non chi si lascia vivere. È pronto a morire chi ama la propria vita, per questo protegge e difende la vita altrui; chi ama la vita e non chi la disprezza o procura la morte, dei fratelli o la propria. È pronto chi fa di tutto perché la vita umana sia rispettata nella sua grande dignità e bellezza, consapevole di come la vita sia bella e vada gustata in profondità, non sprecata in preoccupazioni insensate ma neppure semplicemente consumata con la pigrizia, il piacere o lo sballo; è pronto dunque chi gusta la vita lasciando spazio ai sogni, vivendo ogni istante come se fosse l’unico, trattando ogni persona come se fosse l’unica. E voi amici, colleghi, familiari di Marco e Giuseppe potete testimoniare di esservi sentiti trattati e amati così, come persone uniche, tanto da trovare in loro un saldo punto di riferimento.

Sì, loro erano pronti; siamo noi a non essere pronti!

Siamo noi a sentirci feriti e spiazzati da una morte che separa brutalmente dall’affetto di figli, fratelli, mariti, padri, compagni, amici… che ha sconvolto pure gli abitanti di Guidonia, per i quali gli uomini e le donne dell’Aeronautica Militare sono da sempre compagni di strada. Ed è la stessa Aeronautica Militare, la famiglia dell’Aeronautica a non essere pronta; a sperimentare un dolore intimo e acuto per la perdita di due dei suoi uomini e, al contempo, a percepire questa morte quasi come ombra gettata sulla gioia del Centenario, la cui celebrazione segna questo anno e raggiungerà a breve un momento altamente solenne, preparato, purtroppo, anche dall’esercitazione nella quale questi piloti hanno perso la vita.

Noi non siamo pronti. Loro lo erano perché hanno saputo vivere con intensità!

Si è pronti se si ha «la cintura ai fianchi», dice Gesù; e, al tempo, la cintura raccoglieva la tunica in vita, per accorciarla lasciando la persona libera di muoversi e lavorare. Marco e Giuseppe erano con l’abito “di lavoro”, “di servizio”, potremmo dire, con la divisa; ed è commovente che la morte li abbia colti così, in una pienezza di vita ben spiegata dalle parole di San Paolo nella prima Lettura (Rm 14,7-12): «Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso».

Cari amici, si è pronti perché non si vive per se stessi. Tutta la storia di Marco e Giuseppe lo afferma, fino all’ultimo gesto di eroismo, con cui – tanti lo hanno riconosciuto, con commozione e gratitudine – si è potuta sventare una tragedia di dimensioni molto maggiori. La manovra estrema, che ha evitato il precipitare dell’aereo sulle case e sulla gente, non è stata solo frutto di perizia e coraggio, di un addestramento nel quale i piloti imparano a scansare obiettivi sensibili; è stata ancor più una sorta di istinto, sgorgato dal grande cuore dei nostri amici, dalla profonda umanità maturata in loro grazie anche alla formazione ampia e completa offerta dalla nostra Aeronautica Militare. È più che eroismo o semplice altruismo quello che ha segnato la loro vita e la loro morte e oggi diventa esempio e forza per noi.

«Se noi viviamo, viviamo per il Signore, sei noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore», continua San Paolo: la nostra vita e la vita di ogni creatura ha le sue radici nell’amore di Dio, che tutti avvolge e illumina di dignità. Si è pronti perché la nostra vita non ci appartiene, la vita degli altri non ci appartiene ma appartiene a Dio. Vivendo e morendo per i fratelli, Marco e Giuseppe hanno saputo vivere e morire per Lui. Vivendo così, forse anche noi saremo pronti, per quanto possibile, ad accettarne la morte; vivendo così non solo li imiteremo ma li ritroveremo.

Cari amici e parenti, cari familiari, vivendo per gli altri e per Dio ritroverete Giuseppe e Marco; mettendovi a servizio di coloro i quali ha bisogno di voi, ritroverete in quei volti i loro volti, il loro insegnamento di vita, la loro testimonianza luminosa, in grado di rischiarare il dolore più buio.

Questa testimonianza, cari amici dell’Aeronautica Militare, non è l’ombra che sembrava cadere sul Centenario, anzi è la «lucerna accesa» di cui parla Gesù; getta, sulle vostre celebrazioni, una luce tale da mettere in risalto il senso profondo di un servizio nato per il bene comune, la giustizia, la pace. Un servizio, il vostro, che può davvero condurre a una pienezza di vita vissuta nell’amore. E un tale servizio rende «beati», cioè felici, conclude Gesù.

Cari Giuseppe e Marco, siamo affranti dal dolore ma vogliamo immaginarvi così, felici. Felici di non aver consumato invano la vita ma di esservi consumati nell’amore fraterno, nell’amicizia e, soprattutto, in un servizio che è stata la vostra passione, la vostra dedizione al bene della gente e del nostro Paese; e vi ha preparati alla morte come incontro definitivo con il Signore, la cui vicinanza avete potuto sperimentare nella vita di ogni giorno. Perché – dice il Vangelo – chi si cinge la veste e passa a servirci a tavola è Lui; ed è in quanto siamo da Lui serviti che possiamo servire, in quanto siamo amati che possiamo amare.

Grazie, perché voi lo avete fatto e, così, avete migliorato il mondo. Aiutate anche i vostri cari e i vostri colleghi, le nostre Istituzioni e il nostro Paese a farlo. Così, insieme, costruiremo un mondo migliore.

 Santo Marcianò
Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia