Omelia alla celebrazione delle esequie di don Aldo Nigro

10-11-2021

Chiesa San Biagio Martire, fraz. Cerrelli, Altavilla Silentina (SA), 10 novembre 2021

 

«Non sia turbato il vostro cuore…».

Le parole di Gesù nel Vangelo (Gv 14,1-6) ci raggiungono, ci colpiscono, perché il nostro cuore, in realtà, è turbato. Sì, Signore, siamo turbati, tristi, spiazzati dalla morte improvvisa di don Aldo: fratello e amico, padre e figlio per molti di noi. Siamo turbati e avvertiamo un vuoto improvviso, perché viene a mancare una di quelle persone che riempiono la vita in silenzio, come punti di riferimento insostituibili, come presenze che accompagnano, ponendosi a volte davanti, a guidare, altre volte dietro, per aspettare i passi di tutti. E lui era così: attento a tutti!

Siamo turbati, Gesù se ne accorge perché, come il nostro cuore, anche la Sua anima è stata «turbata» nel Getsemani. Il verbo greco è lo stesso che viene usato per descrivere il suo stato d’animo, nonché quello di Maria alle parole dell’angelo: «Ella rimase turbata».

«Non sia turbato il vostro cuore ma abbiate fede in Dio e anche in me…». Questo nostro turbamento, ce ne rendiamo conto, non è dovuto esclusivamente all’immediatezza dell’evento luttuoso, all’intensità del nostro dolore, allo strappo della separazione. È una questione che ha a che fare con la fede: la fede è messa alla prova dal dramma della morte; al contempo, questa morte, la morte di don Aldo, sembra quasi voler riaccendere in noi la fede.

Quando a morire è un uomo di fede così profonda, un sacerdote come lui, la sofferenza di chi resta è, quasi naturalmente, assorbita dalla fede. Don Aldo – lo confermano le testimonianze straordinarie e commoventi giunte in questi giorni, soprattutto dai suoi militari, – ha accompagnato tanti in un cammino autentico di fede. È stato capace di tradurre e trasmettere la sua fede forte in ogni compito e gesto, in ogni esperienza di vita. La sua morte ci mette ancor più davanti alla sua fede, diventando esperienza di fede per noi, come egli stesso avrebbe voluto.

Ed è anche questo che ci turba. Ci turba l’essere dinanzi a qualcosa di «grande», quasi come accadde a Maria. E di esserlo dinanzi alla morte.

«Beati i morti che muoiono nel Signore… le loro opere li seguono».

La prima Lettura (Ap 14,13) parla di una morte intesa come «beatitudine», felicità. È la morte che avviene «nel Signore».

Ed è “in” Lui che don Aldo ha vissuto tutta la sua vita, “nel” Signore. Radicato in Lui, come una casa costruita sulla roccia. Da dove potrebbe derivare, se non da qui, quella pazienza che in tanti gli riconoscono, assieme alla ferrea certezza riposta in un Padre che non abbandona, non può abbandonare?

Su questa radice, solida e forte, la sua vita sacerdotale è sbocciata, ricca di tanti frutti, di tante «opere», in quasi 30 anni di ministero di cui 25 come cappellano militare: nel lungo tempo trascorso presso l’Accademia Navale a Livorno e negli ultimi anni, presso il comando regionale della Guardia di Finanza di Firenze prima e poi di Perugia, dove ha servito anche la Legione Carabinieri Umbria.

Quanti giovani ha accolto fin dall’inizio, consolato nei percorsi non sempre facili della carriera militare, formato umanamente e cristianamente, aiutandoli a credere, sperare, amare e continuando a camminare con loro! Seguendoli nel tempo; “perdendo” tempo – per così dire – nella cura di ogni persona, ovvero non guardando al tempo, quando si trattava delle persone.

«Le loro opere li seguono», dice il testo biblico; e il riferimento non è alle opere intese in senso di puro attivismo. Del resto, come potrebbero seguirci nella morte opere quali i nostri guadagni, i nostri prodotti, le imprese che ci hanno dato notorietà o ricchezza in vita? Don Aldo non ha puntato su tali opere: non ha sacrificato agli altari della produttività – neppure di una certa produttività pastorale – il tempo dell’ascolto, della visita quotidiana, della conoscenza e della condivisione, della fraternità gioiosa e della festa. Don Aldo si è donato, semplicemente donato!

E le opere che ci seguiranno sono proprio queste, sono le opere scaturite dalla radice divina; opere di luce, potremmo dire, che ci seguono nel senso che restano dopo di noi e, come un fascio di luce,  illuminano gli altri, grazie a ciò che abbiamo donato.

Sì, cari amici, si muore; tutti moriamo e tutto muore. Ciò che resta è il dono, ogni dono fatto con amore.

Ecco la beatitudine! Ecco la felicità, non solo riservata al Cielo ma pregustata in terra: donarsi, fare della propria vita un dono d’amore che non morirà.

Ecco il segreto della gioia di don Aldo! Ed ecco perché la sua morte, oltre alla nostra fede, provoca anche la nostra gioia, quella più profonda, quella che si fa strada tra le lacrime, che non è estranea alla Croce. E se egli ha saputo abbracciare la Croce assieme a tanti di noi, ora siamo noi a doverlo saper vedere sulla Croce del suo amato Signore che risorgendo ha vinto la morte.

«Io vado a preparavi un posto perché dove sono io siate anche voi». Gesù, Colui per il quale don Aldo ha dato l’esistenza, è infatti lì ad attenderlo, nel posto che Egli stesso gli ha preparato. Un’immagine stupenda: Gesù all’opera, a preparare il posto per accogliere questo suo sacerdote, così come egli, in vita, preparava i luoghi dove accogliere gli altri.

Penso alle cappelle, in particolare all’ultima, dedicata a San Giovanni XXIII, da lui voluta con forza e approntata con dedizione commovente. Con un’attenzione, una cura dei particolari, che non era solo un fattore estetico o architettonico.

La Cappella, è il luogo dove si celebra l’Eucaristia, cuore della vita di don Aldo; mi ha colpito come in molti sia rimasto impresso il suo modo assorto di celebrare la Messa, il suo stile di preghiera. La Cappella era lo spazio del cuore aperto al sacro, per permettere all’altra persona l’incontro con Gesù.

D’altra parte, anche il «posto» che Gesù va a preparare è perché noi possiamo essere dov’è lui; è un luogo dove Egli vuole incontrarci, per riunirci a sé. E non solo a livello personale ma comunitario.

Cari amici, è lo spazio della comunione quello che la Parola di Dio ci spalanca dinanzi e che don Aldo ha abitato, offrendoci forse la sua testimonianza più eloquente. È stato capace di intessere rapporti profondi di comunione con voi, cari militari, e di essere strumento di comunione nelle vostre famiglie, sostenendole con la grazia, la vicinanza, la battuta scherzosa, nei tempi belli e in quelli difficili. Uno di famiglia, qualcuno lo ha definito.

Soprattutto capace, don Aldo, di vivere la comunione presbiterale, dono prezioso per i confratelli, per me vescovo, per tutta la nostra Chiesa.

Gesù prepara un posto per noi in Cielo, per noi insieme. Capirlo significa imparare a camminare insieme sulla terra. Don Aldo ne è stato silenzioso maestro, anche per i suoi confratelli. Ha camminato sui passi degli altri in stile gioioso e sinodale, potremmo dire; e siamo certi che il suo esempio ispirerà e sosterrà la nostra Chiesa, anche in questo tempo di Sinodo, chiamata e richiamata con forza alla comunione: questo resto, tutto il resto passa!

Nel nostro cammino, però, capita che le vie del Signore non siano le nostre, che sia da intraprendere una strada che crea vuoto, dolore, turbamento. È la strada su cui ci troviamo oggi, anche se trafitta dai raggi di luce che don Aldo ha seminato a piene mani.

Come perseverare su questa strada? Come non arrendersi dinanzi alle prove, al dolore, alla morte, veri ostacoli nel cammino di fede?

«Io sono la via», dice Gesù. C’è  un Dio che non solo cammina con noi ma si fa Egli stesso strada su cui noi possiamo camminare. Un Dio al quale spesso chiediamo di renderci la via facile, mentre non ci accorgiamo, diceva Santa Teresina di Lisieux, di tutte le volte che è Lui a togliere di mezzo i sassi che ci farebbero inciampare, cadere, sbagliare, soffrire.

Gesù è la via che don Aldo ha indicato per tutta la vita. Gesù è la Vita. E se don Aldo ha tanto riempito le nostre vite è perché non vi ha portato se stesso ma la Vita stessa di Gesù, la Vita che è Gesù.

Oggi questa Vita egli la vive in pienezza, «riposa dalle sue fatiche». Riposa nel Signore, nel quale e per il quale ha vissuto, nel quale e per il quale ha donato la vita, nel quale e per il quale è morto, lasciando dietro di sé la scia luminosa e profumata delle sue opere, di tutto l’amore che ha saputo riversare sul mondo e che diventa per noi, anche nel turbamento del cuore, esperienza di fede, promessa di gioia, comunione nella gratitudine.

Grazie, Signore, per il dono grande di questo sacerdote e grazie a te, don Aldo, per il dono che continuerai ad essere, per ciascuno di noi e per la nostra Chiesa dell’Ordinariato.

Prega per noi!

Santo Marcianò

 

Ap, 14,13; Salmo 129; Gv 14,1-6