Omelia alla Celebrazione per la festa di San Camillo, patrono della Sanità Militare

14-07-2021

Roma, Scuola di Sanità Militare, 14 luglio 2021

 

Carissimi, amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente. È quanto, nel Vangelo (Mt 22,34-40), Gesù chiede ai suoi discepoli e a ciascuno di noi. È quanto ci indica san Camillo, vostro Patrono, con la sua vita di carità.

Siamo in una Scuola, un luogo di formazione, di crescita, di perfezionamento.

Siamo in una struttura di eccellenza della militarità italiana e della sanità italiana.

Siamo in un contesto in cui ci si adopera per trasmettere competenze, formare alla gestione di emergenze, rafforzare le personalità, per renderle capaci di affrontare i compiti difficili che il mondo della cura e il mondo della difesa vi porranno dinanzi.

Dunque: difendere e curare. Sono i due verbi che la vostra missione vi affida. Non solo curare, come fanno tutti i medici e gli operatori sanitari. Non solo difendere, come fanno tutti i militari. Ma difendere e curare: un binomio bellissimo, che San Camillo ha vissuto e testimoniato in pieno.

Spesso ci si ferma a raccontare la sua storia interpretandola come un “passaggio” dall’esperienza del mondo militare al mondo della cura; questo è vero, certamente, ma è altresì vero che si tratta anche di una integrazione.

Oggi vorrei meditare con voi sulla complementarietà di questi due aspetti: difendere e curare; anzi, per meglio dire, sulla complementarietà nel formare a questi due verbi che, con il Vangelo, coniughiamo pienamente attraverso il verbo amare. E amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente.

 

Amare con tutta la mente.

Siamo in una Scuola, dicevamo; e la Scuola è, anzitutto, la sede della ragione. Insegna nozioni, indaga la scienza, trasmette il sapere.

Nella Scuola, in ogni Scuola, la ragione umana è interpellata come protagonista principale. La Scuola ci stimola a conoscere, indagare, pensare, memorizzare; la Scuola ci mette in relazione con nozioni che altri, prima di noi, hanno messo a punto, ci chiede di condividere il sapere.

È molto bella questa idea: condividere.

La prima Lettura (Is 58, 6-11) chiede di dividere il pane con l’affamato. Ma, se ci pensiamo bene, anche il sapere serve, deve servire a sfamare.  E quanto i maestri condividono del loro sapere è, in fondo, uno strumento di carità.

Quanti studi scientifici hanno contribuito a combattere malattie tremende o aiutato a superare problemi sociali.

Se è a servizio dell’uomo, della sua salute, della sua vita, il sapere è davvero una via di amore.

 

Amare con tutta l’anima.

Questa, però, è una Scuola di sanità. Ed è immediato comprendere come questo sapere richieda qualcosa di più. Un servizio la cui dedizione ha uno spessore speciale.

Bisogna amare con tutta l’anima, dice Gesù. E l’anima, nel termine greco, designa la vita.

In questa Scuola voi imparate a dare la vita per la vita altrui. Imparate una dedizione che può esistere laddove si abbia contezza profonda di quella dignità umana, per la quale il vostro servizio si consuma.

Non lo abbiamo forse visto nel corso di questa pandemia?

Non abbiamo forse toccato con mano, e contemplato con ammirazione, l’impegno oblativo di medici, infermieri e militari di tutti i corpi?

Non abbiamo forse appreso di cosa siano stati capaci uomini e donne che non hanno guardato in faccia al pericolo o alla stanchezza, per tentare a ogni costo di salvare o curare gli altri?

San Camillo, dopo la vita militare, fa l’esperienza del servizio ai malati, a partire dalla sua stessa condizione di malato. Vive da servitore in un ospedale romano e lì, in modo concreto, ama con tutta l’anima. Si trasforma, lentamente e irreversibilmente, e trasforma la sua vita: dalla vita dissoluta e inconcludente che svolgeva in precedenza a una vita donata.

Questa Scuola, cari amici, vi forma al senso del dono, ancora più grande della solidarietà fraterna. E «Dio ama chi dona con gioia, abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale (Salmo 111).

 

Amare con tutto il cuore.

Ma il mistero va più in profondità, arriva al cuore.

Il cuore, nella tradizione biblica, è il centro della persona. È il nucleo da cui si sprigionano gli affetti, le emozioni ma anche la volontà, la libertà, la capacità di scegliere. Dire cuore, per certi versi, è dire volto; ovvero, è dire persona, quella persona, nella sua individualità e nella sua storia.

Nell’amare con tutto il cuore, dunque, la capacità di difesa e di cura assume i toni della passione e della compassione. Del fuoco che te spinge dal di dentro e ti proietta verso l’altro.

È questo fuoco che aggiunge, all’impegno ricco di competenza e dedizione, le sfumature dell’attenzione alla persona, alla singola persona, al prendersi cura delle piccole cose, fino ad arrivare alla rivoluzione della tenerezza di cui spesso parla Papa Francesco.

Si può immaginare un servizio sanitario senza tenerezza, senza compassione, senza consolazione?

Penso a quanto ci abbia insegnato in tal senso una Santa come Madre Teresa di Calcutta. E penso anche a San Camillo, il quale, nel servizio ai malati, trova il senso stesso della sua esistenza. Trova, in definitiva, la via per donare la propria vita per amore di Dio. Trova il mondo di crescere nella vocazione religiosa e nella preghiera.

Amare con tutto il cuore, per San Camillo, ha significato fare del proprio cuore dono a Dio e, in Lui, amare i fratelli e le sorelle. Nella Vita scritta da un suo compagno, si legge che, quando egli serviva i malati, «pareva struggersi di amore e di compassione e volentieri avrebbe preso sopra di sé ogni male per raddolcire il loro dolore, e alleviarli dalle infermità».

Mentre la Scuola vi forma alla professione, dunque, il tempo della crescita professionale non deve distogliere dalla crescita umana e spirituale. La vocazione alla famiglia, che la maggior parte di voi vive, o il cammino della fede, sono elementi importanti da coltivare, da non trascurare. Sono la fonte di quella forza di affetti e di spirito che rende il vostro cuore capace di riscaldare il cuore altrui, offrendo un servizio sanitario ricco di umanità, in grado di accompagnare veramente nella difficoltà o nell’emergenza, nella malattia e nella morte, e di conservare sempre uno sguardo di speranza.

 

Cari amici,

senza speranza non si può difendere e curare; senza speranza non si può servire la vita e amare. E l’amore porta alla speranza, l’amore apre orizzonti inattesi e fa sentire che c’è sempre un possibile, c’è sempre un “oltre”, c’è sempre una dignità, anche nell’ora buia del dolore e della fine della vita terrena.

La chiave della dignità ci è necessaria, per entrare appieno nello spirito di questa eccellente Scuola. Sì, qui la dignità è trasmessa, qui la dignità dell’uomo, di quell’uomo che ci si prepara a difendere e a curare, è sottolineata ed esaltata, in un tempo che, troppo spesso, la dimentica o la cancella.

San Camillo «considerava tanto vivamente la persona di Cristo negli infermi» e amava ricordare ai suoi «le dolcissime parole di Gesù Cristo: “Ero malato e mi avete visitato (Mt 25,6)”». E anche il Papa ha voluto ricordarlo all’Angelus pregato dal Policlinico Gemelli domenica scorsa (11 luglio 2021): «Nel protocollo del giudizio finale – Matteo 25 – una delle cose che ci domanderanno sarà la vicinanza agli ammalati».

Questa è la vicinanza che voi testimoniate, amando con tutto il cuore, l’anima, la mente: con tutto voi stessi, nella difesa e nella cura. Grazie per questo vostro servizio, indispensabile alla società e alla Chiesa. Grazie per il dono stesso della vostra vita.

E così sia!

Santo Marcianò