Omelia alla Celebrazione per il personale del Nato Defence College

17-05-2021

Carissimi fratelli e sorelle,

ci sono momenti, nella nostra vita, nei quali ci sembra di non vedere via d’uscita.

Possono essere difficoltà personali o familiari, situazioni di conflitto interpersonale o fatiche lavorative; possiamo sentirci oppressi da problemi economici o da un sistema di corruzione socio-politica che non sembra sgretolarsi in alcuna maniera; può essere, infine, che alla nostra porta abbia bussato la sofferenza, la malattia, la morte… ancor più in un tempo come quello attuale, in cui la pandemia continua a mietere vittime nel nostro Paese e in molti Paesi più poveri.

In simili circostanze, ciascuno reagisce in modi diversi. C’è la risposta dello scoraggiamento, della depressione, dell’evasione; la risposta della fedeltà ai propri impegni, svuotata, però, da ogni entusiasmo; la risposta del disincanto, della disillusione rassegnata, talora adeguata; c’è pure la risposta della fede e della forza… in ogni caso, l’amarezza può possederci.

Non si tratta, come dicevo, esclusivamente di stati d’animo personali; a volte siamo colpiti come comunità, come collettività, come popolo. E se solo guardiamo oltre i confini dei nostri spazi individuali o dei nazionalismi esasperati – come nel vostro College, peraltro, è indispensabile fare -, ci rendiamo conto dell’esistenza di persone e popoli oppressi dai mali enormi della povertà e della fame, della violenza e della guerra, dell’ingiustizia e della prevaricazione… mali che si consumano sotto gli occhi indifferenti del mondo e contro i quali sembra impossibile lottare.

È comprensibile, in tali circostanze, sentirsi prigionieri di un presente che non offre spiragli di speranza al futuro lasciandoci attoniti, incapaci di trovare la direzione da prendere e il senso della vita.

Risuonano quasi come un imperativo le parole di Paolo nel versetto alleluiatico (Col 3,1): «Cercate le cose di lassù»!

Non è, come potrebbe sembrare, un invito all’evasione o una sorta di spiritualismo, magari alternativo al materialismo imperante ma altrettanto riduzionista. Al contrario, è l’indicazione con cui l’Apostolo apre la sezione di questa sua Lettera ai Colossesi che spiega come affrontare la vita concreta di ogni giorno e indica come camminare, oggi, su questa nostra terra: guardando in alto.

Sì, cari amici: guardiamo in alto! Cerchiamo di leggere la storia, le situazioni, le prove – come pure le sfide che il nostro compito impone -, evitando prospettive parziali, superficiali, riduttive.

Cercate… è un autentico impegno di «ricerca»; e la sfera della ricerca è essenziale in una Scuola di Formazione di alto livello, come è la vostra.

 

La ricerca, tuttavia, non è interpretabile solo come percorso tecnico o razionale. Abbiamo tutti sotto gli occhi, particolarmente oggi, le conseguenze di una ricerca sfociata in tecnocrazia, pericolosamente svuotata della sua dimensione antropologica ed etica. Ciò vale per la ricerca nel mondo medico-scientifico, socio-economico, nello stesso mondo teologico; dunque, anche per la ricerca nel mondo militare.

Il fine della ricerca e della formazione, in particolare in un centro di formazione come il Nato Defence College, credo sia principalmente la pace. E la «pace» è quanto Gesù, nel Vangelo (Gv 16,29-33), ci assicura come dono.

Siamo alle porte della Sua Passione e morte e il linguaggio usato dal Cristo parla di pace, appunto, ma anche di vittoria, di coraggio… E non credo sia un linguaggio estraneo alla missione militare che è affiatata a voi. La ricerca della pace a cui San Paolo e Gesù ci invitano si colloca, certamente, su un altro livello, ma è indirizzata all’uomo, anche all’uomo del nostro tempo; all’uomo nella sua integralità di creatura capace di fare e di decidere, di pensare sulla base del senso da attribuire alle cose.

Se ci pensiamo bene, quando parliamo di «pensiero» è a questo che ci riferiamo. Il pensare, infatti, è una caratteristica che eleva l’essere umano al di sopra delle altre creature; è l’elemento che gli consente di guardare verso l’alto, di uscire dai parametri della ripetitività e del conformismo, ma anche dalla gabbia limitante della ricerca esclusiva degli interessi propri o della propria Nazione.

Così, il pensiero che vi deve animare, cari amici, è un pensiero di ampio respiro, che teme di attingere alle facoltà più alte e profonde dell’essere umano: è l’esercizio della ragione, chiamata a investigare sulle cose; dell’intelligenza, capace di intus legere, di leggere dentro le cose; del desiderio, che ci proietta “oltre” le cose visibili, misurabili, investigabili.

Paolo dice che le cose del cielo si devono ricercare e desiderare: utilizzerà infatti, in seguito, anche il verbo greco fronéin, riferito e una vera e propria aspirazione del cuore, della vita. Il vero scienziato è consapevole di come la ricerca si accompagni al desiderio di una vita e presupponga sempre un “oltre”, non da inventare ma da scoprire; un “oltre” che ci precede, nel cui rispetto si trova la via della pace.

Giovanni XXIII, da poco peraltro proclamato Patrono dell’Esercito Italiano, nella sua Enciclica Pacem in Terris (n.1) faceva coincidere tale “oltre” con l’«ordine stabilito da Dio». E gli insegnamenti di Papa Francesco indicano in questo stesso «ordine» la via del rispetto della vita, l’ecologia ambientale e umana, la grammatica della fraternità universale.

Perseguire la via della pace, formare i futuri alti ufficiali in questa direzione, significa aspirare alla vittoria della giustizia, del bene comune, della legalità, della solidarietà; significa allargare il pensiero per raggiungere un raggio di universalità, integrare le risposte ai bisogni materiali dell’uomo con la promozione della sua dignità e libertà, rafforzare la cooperazione tra popoli e Nazioni.

Sì. Il pensiero strategico è un pensare per la pace!

 

Cari fratelli e sorelle, abbiate coraggio, Io ho vinto il mondo. La fede in Cristo, certamente, conferisce a tale pensiero altre sfumature. La «vittoria» che Gesù assicura, la «pace» che Egli promette, derivano infatti dall’essere con Lui o, meglio, dall’essere «in Lui».

Per l’uomo di fede, guardare in alto è pregare: rivolgere a Dio suppliche e speranze, dolori e gioie, sperimentando una unione intima e profonda con Lui.

E dall’essere uno con Cristo, dall’essere «conrisorti» con Lui – si esprime così Paolo -, deriva persino la vittoria sulla morte.

Sì, cari amici; davanti al mistero del dolore e della morte dei popoli e delle Nazioni, che è poi sempre il dolore delle singole persone, Gesù dona la risposta della Sua presenza umile e forte.

Il cristianesimo non è la religione delle idee, peggio ancora delle ideologie: è il Mistero di un Dio che si fa Uomo per condividere la vita e il dolore dell’uomo, la persecuzione e la sconfitte, la sofferenza e  la morte.

Questo lo scopriamo guardando in alto; ma chi sa veramente guardare in alto troverà il coraggio di tornare sulla terra e lottare perché ogni dolore e ogni morte siano trasformati, trasfigurati; e diventerà un forte ed efficace operatore di speranza e di pace.

È quello che voi fate. Forse non tutti e non sempre nel Nome di Cristo ma, certamente, nel nome dell’uomo, di ogni uomo: del più piccolo, povero e dimenticato.

Quell’uomo creato a immagine di Dio e da Lui salvato per amore. Quell’uomo del quale voi stessi ci insegnate a riconoscere il valore unico e l’inalienabile dignità. Quell’uomo fatto per cercare le cose di lassù e capace di guardare in alto, trasfigurando le cose.

Non dimenticatelo: solo così, solo guardando e servendo l’uomo così, si può trasfigurare la storia.

Grazie perché lo fate e per come lo fate.

Dio vi benedica. E così sia!

Santo Marcianò

Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia