Omelia alla S. Messa nella Solennità di Tutti i Santi

01-11-2021

Roma, Basilica Santa Maria ad Martyres-Pantheon, 1 novembre 2021

 

Celebriamo insieme la Solennità di tutti i Santi. Tutti! E lo sguardo che la Parola di Dio ci chiede di assumere per penetrare il mistero della santità, è, per così dire, sconfinato. Sembra doversi spingere oltre il “qui ed ora”, raggiungere tutti i luoghi, tutti i tempi, tutte le persone. Tutto e tutti!

Quella che il Concilio ha definito la «universale vocazione alla santità»[1] non è puro concetto, teoria, utopia. È quanto oggi abbiamo ascoltato dalle Letture.

 

  1. La santità è per tutti, per ogni persona.

Ritroviamo qui la «moltitudine immensa», di cui parla la prima Lettura (Ap 7,2-4.9-14), ma anche le schiere di «beati» del Vangelo (Mt 5,1-12a).

Da una parte «uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione»; dall’altra, categorie di persone che, nella logica umana, sembrano stare all’ultimo posto, essere destinati a passare di dolore in dolore e di sconfitta in sconfitta, ritrovarsi imbarcati in imprese complesse o faticose, come la ricerca della giustizia e della pace…

La santità non è una perfezione umana, non è una realizzazione di alcune abilità, sia pure spirituali. È dono affidato a tutti i battezzati, che può giungere a pienezza nelle modalità più differenti: nella gioia e nel dolore, nel lavoro e nella vocazione, nella vita ordinaria e nella straordinarietà del martirio…

È un dono di Dio, la santità; è «la misura alta della vita cristiana ordinaria»[2], scriveva Giovanni Paolo II; è un sogno di Dio, ama ripetere Papa Francesco, ma è anche la realizzazione dei sogni personali. Due sogni che si incrociano e sbaragliano sogni di avere, potere, successo,- considerati appetibili grazie a modelli che, oggi più di ieri, si propongono e si impongono, con la velocità e la massificazione dei mass media.

Anche Gesù, nelle Beatitudini, propone un modello, ma lo fa con dolcezza, senza violare la nostra libertà. Il modello è Lui, nel cui il Volto ritroviamo tutti i volti dei poveri e degli ultimi, di chi piange e di chi è perseguitato, di chi opera per la giustizia e la pace, di chi è mite e misericordioso. Cercare quel Volto, come canta il Salmista (Salmo 23 [24]), è il desiderio, il sogno di una «generazione», ovvero degli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi della terra.

 

  1. La santità è, infatti, legata alla terra.

«Tutta la terra» è in mano al Signore, continua il salmista. Non ci sono confini o limiti geografici; non c’è uno spazio riservato a coloro che possono diventare santi. Non ci sono recinti di chiese, nazioni, gruppi esclusivi: la santità è inclusiva e includente, come dovrebbe essere ogni comunità, ogni terra.

La santità, poi, è a servizio della terra, della storia: affronta le sfide della realtà; non rimanendo indifferente rispetto alla fame e alla guerra, allo scarto causato dalle discriminazioni socio-economiche e dagli attacchi alla vita umana in ogni sua fase e situazione; alle catastrofi ecologiche e mediche, facilitate dalla manipolazione del creato e dai tentativi di sovvertire l’antropologia della natura umana…

Essere santi è servire la vita, raccogliere gli appelli della storia, far proprio il grido degli ultimi della terra e il grido della terra, spesso “ultima” nelle priorità di tante agende politiche e comportamenti della persona. Poniamo, a tal proposito, tanta speranza nell’incontro del G20 di questi giorni e nella conferenza di Glasgow.

 

  1. E la santità riguarda la persona e le sue scelte.

La moltitudine, l’universalità non annulla il valore del singolo: la santità è di ciascuno, è dimensione squisitamente personale. Tuttavia, in quanto dono, la santità richiama il senso della relazione.

È la relazione della persona con Dio, rappresentata dal «sigillo» – lo chiama così il Libro dell’Apocalisse – posto da Dio sulla fronte della singola persona, come “segno” della sua appartenenza a Lui, certezza consolante di essere da Lui voluti, amati, custoditi.

Da questa appartenenza – coltivata con la preghiera e l’amore per il Signore – scaturisce la vita di santità, la «purezza» che fa tutt’uno con il vedere Dio.

Non solo con il vederLo ma con il renderLo visibile!

Questo è santità. E tale santità caratterizza il rapporto con gli altri. Noi, dice Giovanni nella seconda Lettura (1Gv 3,1-3), siamo chiamati «figli di Dio». Tutti! Tutti figli dello stesso Padre, dunque “fratelli tutti”. Senza fraternità, e senza carità, non c’è santità.

 

Pensando a questo tempo della Chiesa, mi verrebbe di dire che la santità è “sinodale”. Si può raggiungere solo “camminando insieme”, solo insieme.

Sì, la santità è “sinodale”! Unisce fratelli e sorelle, amici e nemici, tutti i luoghi e tempi. E unisce terra e Cielo, unendoci ai nostri Santi e ai nostri cari, che domani ricorderemo con particolare affetto.

La prospettiva, la certezza del Cielo getta sulla santità uno sguardo ancora più ampio, ancora più sconfinato, ancora più luminoso; uno sguardo che dona gioia.

È la gioia della beatitudine; gioia che rimane nel pianto, nel dolore, nelle povertà ma che, dal Cielo, ci fa sentire la protezione, l’intercessione, l’amicizia dei Santi; ci fa sentire attesi da loro e dall’Amore Eterno di Gesù, Volto di Luce che cercano tutti gli uomini, di tutte le generazioni e di tutta la terra.

CerchiamoLo sempre, viviamo specchiandoci in Lui: sarà beatitudine, sarà gioia… sarà santità!

Buona Festa a tutti e di tutti. E così sia!

Santo Marcianò

[1] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Lumen Gentium, nn.39-42

[2] Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte,