Omelia alla S. Messa per i Caduti – Cimitero Verano, 2 novembre 2023

02-11-2023

Carissimi, ritrovarci per ricordare i nostri defunti, i nostri caduti, è memoria nel pianto, ricerca della speranza. Lo è tanto più nel momento storico che stiamo vivendo, in cui il mondo stesso sembra coperto da un’ombra di violenza e di morte.

Molti militari che ricordiamo sono caduti nell’espletare il proprio dovere, particolarmente in guerra. E la guerra, negli ultimi anni e in questi giorni, sta occupando sempre più spazio nella geografia e nella storia; e, forse, anche nelle menti e nei cuori, traendoli via dall’indifferenza. Come non lasciarsi inquietare da scene di bambini trucidati e decapitati, famiglie rastrellate nelle proprie case, violenze indicibili, bombardamenti, attacchi con carri armati… scene di guerra che speravamo dimenticate? Sentiamo profondo dolore per le vittime – quante vittime! – e preoccupazione per la situazione e per i nostri militari più vicini ai luoghi di conflitto: Libano, Kuwait, Iraq…

In questo clima di morte, parlare di beatitudine, ovvero di felicità – come abbiamo ascoltato dal Vangelo (Mt 5,1-12a) – può sembrare difficile, teorico, assurdo. Soprattutto quella beatitudine che tocca particolarmente il cuore, in questo tempo, in questo luogo, nella comunità della nostra Chiesa Ordinariato Militare: «Beati gli operatori di pace»! Ma è proprio la logica delle beatitudini che si cala nella concretezza del mondo e la può rinnovare; esse non sono frutto di una visione utopica ma una condizione reale, che parte dall’interno di una situazione negativa e la trasforma.

La beatitudine degli operatori di pace sembra riassumerle tutte. L’espressione traduce un termine greco (erinopoiésis) che indica il “fare” la pace, quasi plasmarla. La pace la fa anzitutto il pacifico, ovvero colui che cerca di viverla in prima persona, nelle sue relazioni; il Vangelo, però, si riferisce a coloro che “operano” per la pace, in particolare cercando di mediare tra persone e situazioni di conflitto.

Cercare vie di pace: ecco la missione dei militari, ecco ciò di cui oggi abbiamo bisogno, perché la beatitudine sia realtà che impregna di bene e di gioia l’umanità!

Certo, gli strumenti di pace esistono e vanno potenziati: le Istituzioni che applicano il diritto internazionale, gli sforzi della mediazione, le tecniche della diplomazia… ma spesso non basta. E non solo perché tutto ciò potrebbe fallire ma anche perché non sempre la pace prodotta sarà autentica, cioè per tutti e duratura.

Bisogna allora anzitutto ritrovare fame e sete di giustizia, perché, senza giustizia, la guerra rimane la logica portante delle relazioni sociali, sia essa una guerra armata, quale stiamo vedendo in questi giorni, o una guerra in cui, semplicemente, regna la discriminazione sociale e lo scarto, l’illegalità e la paura, la violenza e l’abuso… in cui i pochi che detengono il potere tolgono agli altri pane, libertà, dignità, vita! E bisogna «seminare pace», come voi fate, ricordando che essa è dono di Dio, promessa di Dio.

La intravediamo tra le parole della seconda Lettura (Ap 21,1-5a.6b-7). Quando Giovanni le scrive, Gerusalemme è distrutta; pensarlo oggi ci fa commuovere profondamente. E Gerusalemme è il simbolo di ogni distruzione, di ogni guerra. Ma è proprio Gerusalemme «la città santa», che appare bellissima, come una sposa nel giorno delle nozze: trasfigurata dall’amore, come in una nuova creazione!

Agli operatori di pace è necessaria la speranza di credere che la storia va verso un fine che non è distruzione

Ecco, questa speranza hanno avuto i nostri defunti, i nostri caduti. Essi hanno lottato per la pace perché hanno saputo intravedere un futuro di pace. «Agli occhi degli stolti parve che morissero», dice la prima Lettura (Sap3,1-9), ma «la loro speranza resta piena d’immortalità».

È la convinzione con cui li ricordiamo grati. È la convinzione con cui essi hanno lavorato e anche noi lavoriamo per la pace, certi di partecipare a una nuova creazione, a un mondo nuovo.

La nuova creazione è un’opera di pace, alla quale siamo chiamati a collaborare. E’ questo ciò a cui sono chiamati i militari, ecco il compito di tutti noi. Ecco il dono che i cari caduti ci lasciano e che è seme di pace per l’eternità.

Santo Marcianò