Omelia alle esequie di don Guido Pietrogrande

08-03-2020

Roma, Chiesa di Santa Maria in Portico in Campitelli

 

«Alzatevi, andiamo»!

Verso la fine della sua esistenza, Giovanni Paolo II intitolava così un libro nel quale ripercorreva l’esperienza del suo ministero episcopale. Sono le parole che Gesù, «quando giunse la “sua ora”, disse a coloro che erano con Lui nell’orto del Getsemani: “Alzatevi, andiamo!” (Mc 14,42). Non era Lui solo a dover “andare” verso l’adempimento della volontà del Padre, ma anch’essi con Lui»[1], spiegava il Papa.

Mi piace immaginare che, con queste parole, nel primo venerdì di Quaresima e primo venerdì del mese di marzo, Gesù si sia rivolto a don Guido, per invitarlo a compiere l’ultimo tratto della sua vita terrena. «Alzati, vieni!». Un tratto di strada nel quale noi, voi, comunità del Rinnovamento nello Spirito Santo, che saluto con affetto grande, oggi lo accompagnate, profondamente commossi e grati.

Ma questo invito, continua Wojtyla, in «un’altra circostanza, Gesù rivolgeva agli stessi tre discepoli, precisandolo con altre parole: “Alzatevi e non temete!”»[2]. Sono parole che risuonano nel Vangelo di oggi (Mt 17,1-9), la Trasfigurazione di Gesù, e nelle quali vorrei provare a rileggere il mistero della vita di don Guido e della sua vocazione che, come ogni vocazione, è e deve essere una continua esperienza di trasfigurazione. Gesù si trasfigura; il termine greco, come sappiamo, indica una concreta «metamorfosi». Gesù cambia forma e questa tras-formazione diventa l’icona di quella con-formazione a cui il cristiano, il sacerdote in particolare, è chiamato.

 

«Alzati e non temere»!

Don Guido avrà sentito risuonare queste parole desiderando di volersi conformare a Cristo sacerdote. Il «Sì» alla vocazione mette sempre una certa paura ma, allo stesso tempo, è gravido di una bellezza unica.

Pietro sa esprimere questi contrastanti sentimenti dell’animo: «È bello per noi essere qui!», esclama. È vero, i discepoli sono «presi da grande timore» ma, prima, essi sono stati «presi» da Gesù (il verbo greco lambàno lo dice letteralmente) per salire sul monte. Sì. La paura della vocazione, che sempre ci sovrasta, è a sua volta sovrastata dalla bellezza di essere scelti da Gesù, «presi tra gli uomini» (Eb 5,1) di tutti i tempi e luoghi per la missione che Egli stesso ci affida: rivelare la Luce del Suo Volto, lasciandoci avvolgere nel mistero della Trasfigurazione.

Don Guido si è lasciato prendere e avvolgere da questo mistero, dal Volto di Cristo contemplato nella preghiera e amato nella carità pastorale, ed è stato rivelatore della Sua Bellezza, aiutando anche noi a dire: «Signore, è bello per noi essere qui!»; è bello adorarTi nell’Eucaristia, è bello fare Eucaristia nella comunione fraterna e nel servizio agli altri.

 

«Alzati e non temere»!

Don Guido ha capito che rispondere al sacerdozio significa lasciarsi conformare a Cristo servo; salire sul Tabor affrontando strade in salita, strade nuove, e vivendo l’esperienza lacerante che, lo abbiamo ascoltato dalla prima lettura (Gen 12,1-4a), fu di Abramo: lasciare!

Per lui, rimasto sempre fedele al carisma di don Bosco nonché al magistero della Chiesa e alla sua gerarchia, essere chiamato a servire il Rinnovamento nello Spirito ha comportato un lasciare altri ministeri ed essere posto in una strada ignota e inattesa. Ma egli si è cinto il grembiule innanzi a voi, facendovi dono della sua vita, con una dedizione che descriverei con due caratteristiche: da una parte la sua personalità forte e la sua umiltà disarmante, autentica, confermata anche da un funerale che, per provvidenziale disposizione, si svolge in modo sobrio ma intenso; dall’altra la sua interiorità docile allo Spirito, con cui ha spesso accompagnato la vostra comunità a salire il monte della preghiera per trovare la forza di lasciare strade vecchie, in apparenza sicure, e incamminarsi nella novità di Dio. Possiamo testimoniarlo tutti, per primo io che, in occasione di tanti Incontri del Rinnovamento a livello regionale o nazionale, in tante Convocazioni o Esercizi Spirituali, l’ho conosciuto e sinceramente stimato, osservando pure l’amicizia che lo legava a Salvatore, il rispetto e la complementarietà carismatica che passava tra i due nella guida e nelle attività del Movimento: era meraviglioso vederli interagire insieme. E se so che tutti voi sentite la mancanza di questa guida illuminata, specie dinanzi a scelte importanti che vi attendono, sono certo che la via da lui indicata stia in quel discernimento nello Spirito per il quale la presenza e la vicinanza spirituale, quale è la sua in questo momento, sono un aiuto ancora più efficace pur se silenzioso.

 

«Alzati e non temere»!

Sì. È come se don Guido, oggi, ci invitasse a imparare la lezione del silenzio, come ha fatto Gesù con gli apostoli scendendo dal Tabor. E tanti saranno stati anche i silenzi con cui egli ha imparato ad ascoltare la Parola di Dio e a conformarsi a Cristo profeta.

«Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». Il profeta è anzitutto uomo dell’ascolto; uomo che sa ascoltare e insegna ad ascoltare la Parola di Dio, direttamente, senza farLe ombra. E penso possiate ricordare tante catechesi di don Guido, tante omelie, tanti insegnamenti, nei quali vi resta l’eredità di una Parola da ascoltare con obbedienza e da spezzare con condivisione.

Il messaggio della Trasfigurazione è un forte invito a guardare ma, soprattutto, ad ascoltare.

Sappiamo che c’è una nube e che tante volte, nel cammino della vita e nella stessa esperienza interiore, le nubi oscurano l’anima. È allora che comprendiamo la profezia della Trasfigurazione, che è poi la testimonianza lasciataci da don Guido: nella nube ci rimane solo l’ascolto, la Parola. Quella, Dio non la farà mai mancare!

 

«Alzati e non temere»!

E, nella nube, rimane «Gesù solo». Cristo Crocifisso, al quale don Guido ha accettato di conformarsi. Il Vangelo di oggi è, se ci pensiamo bene, un invito a “guardare in alto”. Ad alzare lo sguardo fino alla splendida vetta del Tabor e, da lì, a ritornare con la memoria del cuore ai “monti” della fedeltà dolce e irrevocabile di Dio: al Sinai, dove Mosè accoglie le tavole dell’Alleanza; all’Oreb, dove Elia accoglie, nel soffio soave, la presenza dello Spirito d’Amore.

Ma quello sguardo in alto, lo sappiamo, arriverà a un altro monte, il Calvario, verso il quale don Guido si è avviato con fede e speranza, con santità e decisione, specie nella sofferenza. Ha «sofferto per il Vangelo», come dice Paolo (2 Tm 1,8b-10); ha sofferto nella malattia: così, egli ha reso prezioso ogni attimo di sofferenza, come chi gli è stato vicino può testimoniare e come è sempre più necessario testimoniare nel nostro tempo, che ha impoverito il valore della vita e della morte.

Perché se è vero che l’umana sofferenza è, e non potrebbe non essere, fonte di paura, è vero che può portarci, come gli apostoli sul Tabor, a vedere dinanzi a noi Gesù solo, a sentirci toccati da Lui che non ci lascia soli e che noi non vogliamo lasciare solo sulla Croce. Questo ha fatto don Guido, questo fanno tutti coloro che soffrono lasciandosi toccare dalla Grazia.

Sì, perché Gesù tocca! Tocca quando vuole consolare e guarire, quando vuole far risorgere e trasformare… Gesù tocca e trasforma tutto, anche il nostro sguardo, affinché, guardando in alto, possiamo contemplare continuamente Lui Crocifisso, nelle nubi del dubbio e nell’oscurità delle sofferenze, ma anche in tutti i crocifissi del mondo e della storia.

 

Cari amici, la separazione da don Guido è esperienza di croce, nella quale sentite anche voi la voce di Gesù nel Getsemani: «Alzatevi, andiamo»! «Anche se queste parole significano un tempo di prova, un grande sforzo e una croce dolorosa – conclude Giovanni Paolo II – non dobbiamo farci prendere dalla paura. Sono parole che portano con sé anche quella gioia e quella pace che sono frutto della fede»[3].

Questa gioia, di cui don Guido è stato maestro, egli sta ora gustando in cielo contemplando, con la sua vita trasfigurata, il Volto risplendete del Cristo.

È la gioia del riposo, del settimo giorno, nel quale il Vangelo della Trasfigurazione è collocato e che richiama pure il riposo di Dio che contempla quanto ha creato come cosa «bella».

È la gioia che Tu, o Padre, avrai provato quando hai creato don Guido e che anche noi, oggi, accogliamo commossi, ringraziando Ti per averci donato in lui un frammento della Tua Bellezza e chiedendo, con la sua testimonianza e intercessione, che questa Bellezza continui a risplendere nel mondo anche attraverso il Rinnovamento nello Spirito che ha amato e servito, e attraverso ciascuno di noi, Tuoi figli amati.

Grazie, don Guido! E così sia.

Santo Marcianò

 

[1] Giovanni Paolo II, Alzatevi, andiamo!, Mondadori, Milano 2004, p. 158

[2] Ibidem

[3] Giovanni Paolo II, Ivi, p. 158