Carissimi, nella Bolla di Indizione del Giubileo del 2025 il Papa scrive: «Oltre ad attingere la speranza nella grazia di Dio, siamo chiamati a riscoprirla anche nei segni dei tempi che il Signore ci offre»,. Tali segni, «che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza»[1].
È una sfida: trasformare tutto, anche il male, in speranza. La Grazia di Dio lo fa: irrompe in realtà senza via d’uscita e le trasforma dal di dentro, con il contributo dell’uomo. Così, la sfida si fa preghiera: «Il primo segno di speranza si traduca in pace per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella tragedia della guerra. […] È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte? Il Giubileo ricordi che quanti si fanno “operatori di pace saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9)»[2].
Carissimi, siamo qui a pregare, per raccogliere nell’Eucaristia il grido di pace che ogni giorno raccogliamo dalla storia e dalla cronaca, come pure dai nostri confratelli e dai militari operanti in luoghi di conflitto, e presentare tutto al Signore, assieme a quanto vissuto nell’Adorazione. Siamo operatori di pace, cerchiamo di esserne strumenti nella nostra missione. Ma adesso è l’ora di pregare.
In questi giorni, Assisi ricorda il 38° anniversario della prima storica “Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace”: un incontro tra Rappresentanti di diverse Chiese e Comunioni Cristiane nato dall’intuizione di San Giovanni Paolo II, il quale così lo presentava: «Il trovarsi insieme di tanti capi religiosi per pregare è di per sé un invito oggi al mondo a diventare consapevole che esiste un’altra dimensione della pace e un altro modo di promuoverla, che non è il risultato di negoziati, di compromessi politici o di mercanteggiamenti economici. […] Senza negare in alcun modo la necessità di molte risorse umane volte a mantenere e rafforzare la pace, noi siamo qui perché siamo sicuri che, al di sopra e al di là di tutte quelle misure, c’è bisogno di preghiera intensa e umile, di preghiera fiduciosa, se si vuole che il mondo diventi finalmente un luogo di pace vera e permanente»[3].
Il Vangelo (Lc 13,22-30) oggi indica una sorta di rivoluzione, che capovolge i criteri di questo mondo: Gesù, infatti, mette su due opposti versanti «gli operatori di ingiustizia», che saranno cacciati via, e i cosiddetti «ultimi» che diventeranno primi. E in questi «ultimi», con la Lettera agli Efesini, possiamo annoverare coloro che hanno impostato la vita non sulla forza, sulla prevaricazione, sull’ egoismo, bensì sul «servizio» e sull’«obbedienza».
Ne abbiamo parlato anche nelle relazioni di questi giorni e sappiamo quanto l’obbedienza sia un termine molto familiare in ambito militare. C’è, tuttavia, un’obbedienza dovuta, per la quale non si può discutere. C’è però anche un’obbedienza convinta, scelta, sulla quale si può impostare un’intera esistenza, leggendovi dentro la volontà, talora misteriosa, del Dio dell’amore. Un’obbedienza, tuttavia, intelligente, fatta secondo coscienza. Un’obbedienza primaria al Signore, alla quale, in realtà, Paolo riferisce ogni altra obbedienza. Per questo, quando si cerchi di assicurare una convivenza giusta e pacifica nel mondo, l’obbedienza a Dio può diventare disobbedienza civile, di coscienza: nei confronti delle leggi ingiuste o inique; delle prassi senza scrupolo del mercato; delle indicazioni di coloro che invocano la guerra; della cultura del trans umano o del post umano che, lo abbiamo visto, ci avvince con il suoi lacci in modo talora subdolo.
Una cultura che nega l’uomo, volendolo manipolare o addirittura superare: la sua prospettiva è “l’uomo-macchina”; ma potremmo dire con la Dilexit Nos, l’uomo «senza cuore», incarnazione stessa del male[4]. L’uomo senza cuore! Incarnazione del male che è origine di tanti mali: del male orribile della pedofilia, su cui abbiamo riflettuto, come del male della guerra.
È dunque sul cuore che si concentra oggi la nostra supplica per la pace. Vorremmo chiedere al Signore di aiutarci a educare i cuori, a riportare il cuore in tanti esseri umani. Come farlo? Sembra una lotta sproporzionata: Davide contro Golia, si diceva…
L’Enciclica indica un’esperienza spirituale forse dimenticata ma bellissima. È la «riparazione»! E riparare, dice il Papa, è «costruire sulle rovine»[5]. È un’indicazione profetica e gravida di speranza.
C’è un significato cosiddetto «sociale» della «riparazione», la cui radice è evangelica, che richiama l’auspicio di Giovanni Paolo II, il quale vedeva la possibilità di una «civiltà dell’amore» costruita «sulle rovine accumulate dall’odio e dalla violenza», quando ci si offre «insieme al Cuore di Cristo» e grazie alla forza impressa da Cristo ai nostri atti[6].
C’è poi un altro livello, la compassione: «il desiderio di riparare i cuori feriti, dove si è procurato il danno più profondo, la ferita più dolorosa»[7]. Riparare, potremmo dire, non è solo ricostruire ma curare.
C’è infine una riparazione che va ancora più avanti della cura e arriva alla guarigione totale e definitiva. È «la bellezza di chiedere perdono», dice la Dilexit Nos. E si tratta di «un modo di guarire le relazioni perché riapre il dialogo» e «ristabilisce il legame nella carità fraterna», nonché in quella «solidarietà» che rende «possibile la riconciliazione»[8].
Ricostruire insieme sulle rovine, curare i cuori feriti, guarire perdonando e riconciliandosi: non è forse qui la via della pace che si schiude nella preghiera?
Cari amici, la pace che la riparazione offre non è atto politico ma esprime – bellissima la definizione del Papa – il «dominio politico del cuore»[9]!
Parlare di riparazione qui, sulla Tomba di San Francesco, ci riempie di speranza e commozione. Il povero di Assisi si sentì chiamato, da Gesù Crocifisso, a «riparare» la Sua Chiesa; un invito ricevuto mentre era in preghiera, come noi oggi. Non capì subito, tanto che iniziò a ricostruire chiese; poi, scrive nel Testamento, «il Signore mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo».
Se siamo qui a pregare per la Pace, se siamo qui a ricordare un evento che ha portato rappresentanti di ogni religione a superare difficoltà e divisioni e unirsi nella supplica di pace a Dio è, in fondo, per un piccolo uomo che, partendo da Assisi, è stato uno straordinario messaggero di Pace. Lo è stato perché ha creduto nel Vangelo, ha vissuto per il Vangelo e ha fatto vivere il Vangelo attraverso la propria esistenza, la propria santità e la propria preghiera.
È questo il nostro compito di sacerdoti e cappellani militari. Ci conceda il Signore di vivere e pregare così.
E tu Maria, Regina della Pace, Patrona della nostra Chiesa Ordinariato Militare, intercedi potentemente per la Pace, nei nostri cuori e nel mondo intero.
E così sia!
Santo Marcianò
Ef 6,1-9; Sal 144 (145); Lc 13,22-30
[1] Francesco, Spes non confundit, Bolla di Indizione del Giubileo 2025, n. 7
[2] Ivi, n. 8
[3] Giovanni Paolo II, Riflessione per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace, Assisi, 27 ottobre 1986
[4] Francesco, Lettera Enciclica Dilexit Nos, n. 12
[5] Dilexit Nos, n. 181 – 190
[6] Dilexit Nos, n. 182 – 184
[7] Dilexit Nos, n. 185 – 186
[8] Dilexit Nos, n. 187 – 190
[9] Dilexit Nos, n. 12