Omelia dell’Arcivescovo nella celebrazione di stamane al Verano

02-11-2018
 Omelia dell’Arcivescovo nella celebrazione di stamane al Verano

 «Quando tante volte nella storia gli uomini pensano di fare una guerra, sono convinti di portare un mondo nuovo, sono convinti di fare una “primavera”. E finisce in un inverno, brutto, crudele, con il regno del terrore e la morte»[1].   Carissimi, le parole dell’omelia di Papa Francesco al Cimitero di Nettuno un anno fa, sembra commentino quanto Paolo scrive nella seconda Lettura (Rm 8,14-23): «Tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo». Saluto tutti voi presenti a questa Celebrazione, nel ricordo dei nostri caduti che, nel centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, si fa ancora più grato e commosso. Oggi ci pare di udirlo ancora quel gemito universale che attraversa la storia umana sempre, in modo speciale nella guerra: non un «mondo nuovo», non una «primavera», ma un inverno triste e gelido, che spezza la fioritura di vite umane e devasta l’intero creato, giardino che Dio ha affidato all’uomo e l’uomo rende bello di creatività operativa e artistica. La guerra deturpa la Bellezza di cui l’uomo è erede e artigiano e che lo fa assomigliare al Creatore. Vìola brutalmente la Bellezza della creatura umana, perché la uccide, la violenta, la sciupa, la fa oggetto di paura e terrore; vìola la Bellezza del giardino del mondo, non più riflesso stupendo di Colui che lo ha creato. La guerra è «brutta», non è «primavera»; così come non è primavera ogni forma di violenza, scarto, sopraffazione, discriminazione … Mentre, in questi giorni, ricordiamo anche la triste promulgazione delle Leggi Razziali, non possiamo non pensare a quanto accaduto pochi giorni fa in una Sinagoga di Pittsburgh, a quanto continuamente accade nelle nostre città, invase dal terrore e dalla criminalità organizzata, e nei nostri mari, soprattutto nel Mediterraneo, diventato, come Papa Francesco ha più volte ribadito, autentico «cimitero». La bellezza dei mari, dei luoghi, dei volti… tutto la guerra vìola, anche i volti dei caduti che ricordiamo. «Tutte queste persone, che riposano qui, avevano i loro progetti, avevano i loro sogni», diceva il Papa a Redipuglia; «le loro vite sono state spezzate. Perché? Perché l’umanità ha detto: “A me che importa?”»[2]. A me che importa – potremmo aggiungere – di questo gemito straziante che ancora attraversa l’umanità?   Eppure, Paolo dice che questo gemito è una doglia del parto, cioè genera vita. Come? Il criterio lo abbiamo ascoltato dal Vangelo (Mt 25,31-46): «uno solo»! Sì. Un gemito infinito si leva dalle folle di sofferenti che hanno un nome e un volto: l’affamato, l’assetato, lo straniero, il povero, l’ammalato, il carcerato… volti innumerevoli, dinanzi ai quali ci sembra di rimanere impotenti, ma che poi diventano quel «uno solo», nei cui confronti è sempre possibile la solidarietà, la fratellanza, la carità che dona vita al mondo. Sempre! Anche nella guerra! Lo testimoniano i nostri caduti e lo ricordava il Presidente della Repubblica: «In questo universo fatto di fango, di sofferenze, di stenti e di morte, migliaia e migliaia di soldati, dell’una e dell’altra parte, sopportarono prove incredibili, compirono atti di grande valore e di coraggio e gesti di toccante solidarietà. Siamo qui per ringraziare ancora le nostre Forze Armate… La logica crudele della guerra non riuscì a piegare il senso di fratellanza, amicizia e umanità. L’odio per il nemico non prevalse sulla pietà»[3].   Carissimi, nel tempo dell’indifferenza globalizzata, dei rigurgiti di intolleranza e discriminazione, delle tante guerre che ancora costellano il pianeta, oggi, da queste tombe, si leva il grido della pietà, con cui i nostri caduti hanno risposto al gemito dell’umanità. La loro memoria lancia un messaggio ai nostri cuori, alle Forze Armate, al mondo delle Istituzioni: non ci sarà «primavera» civile, sociale o politica, non ci sarà «mondo nuovo» di benessere economico, non ci sarà pace e neppure autentica difesa, fintantoché la giustizia e la carità non raggiungerà «uno solo», volto di Gesù e autentica misura del bene comune. «Chi si prende cura del fratello, entra nella gioia del Signore – concludeva il Papa a Redipuglia; – chi invece non lo fa, chi con le sue omissioni dice: “A me che importa?”, rimane fuori. Qui in questo cimitero ci sono tante vittime. Oggi noi le ricordiamo. C’è il pianto, c’è il dolore. E da qui ricordiamo tutte le vittime di tutte le guerre.»[4]. Lo facciamo anche noi: nel pianto, con gratitudine e nella preghiera raccolta per i caduti, per le Forze Armate Italiane, per i nostri cari e per tutto il mondo, attraversato dal gemito del male e dell’odio ma anche dalla silenziosa fecondità dell’amore fraterno e del servizio generoso, fino al dono della vita, che già ci apre alla speranza della vera ed eterna primavera.  X Santo Marcianò


[1] Francesco, Omelia nella Messa dei defunti, Cimitero Americano Nettuno 2 novembre 2017
[2] Francesco, Omelia, Sacrario Militare di Redipuglia, settembre 2014
[3] Sergio Mattarella Intervento in occasione del 100° anniversario dell’entrata dell’Italia nella Grande Guerra, Monte San Michele – Sagrado (GO), 24/05/2015
[4] Francesco, Omelia, Sacrario Militare di Redipuglia, settembre 2014