Omelia dell’Ordinario Militare alla S. Messa nella notte di Natale Erbil (Iraq)

24-12-2019

Carissimi fratelli e sorelle, è Natale! Nasce un Bambino, che tutti sorregge. È la logica di Dio, narrata dal Vangelo (Lc 2,1-14), che sconvolge i criteri umani di grandezza, ricchezza e potere, e da cui tutti dovremmo imparare, soprattutto i capi delle Nazioni. Sono i piccoli a reggere le sorti del mondo, a salvarlo dalla disumanizzazione, origine di ogni violenza, discriminazione, guerra.

Voi, cari militari italiani, questo lo avete capito.

Come i pastori, vegliate nella notte. Perché è nella notte che nasce Gesù ed è nella notte dell’ingiustizia, della violenza, dell’assenza di pace che la missione di sostegno alla pace in Iraq vi è stata affidata. A ciascuno un compito specifico, dentro un impegno di formazione e addestramento delle forze armate e di polizia locali, di trasporto e rifornimento in volo, di intelligence e sorveglianza. È un cammino nella notte, il vostro; perché, secondo la profezia di Isaia (Is 9,1-6), «il popolo che cammina nelle tenebre», questo popolo iracheno, veda la luce di una protezione, nel rifiuto che sperimenta, come Maria e Giuseppe a Betlemme. La guerra è ovunque ci sia un rifiuto, un uomo sia rifiutato tra le case degli uomini.

Betlemme non è lontana da qui e bisogna attraversare tante case per andare verso la grotta. Nel Presepe, ha scritto Papa Francesco, «le rovine di case e palazzi antichi», che «in alcuni casi sostituiscono la grotta di Betlemme… sono soprattutto il segno visibile dell’umanità decaduta, di tutto ciò che va in rovina, che è corrotto e intristito» ma mostrano che «Gesù… è venuto a guarire e ricostruire, a riportare la nostra vita e il mondo al loro splendore originario»[1].

L’Iraq è pieno di rovine di case, di Chiese; stanotte la Chiesa irachena non celebrerà neppure la Messa di Natale! Ma noi siamo qui a celebrare: un dono ancora più prezioso, per il quale ringraziare Dio. Siamo Chiesa che prega per i fratelli, cristiani e non, dell’Iraq, celebra con loro, incarnando la comunione profonda con le diocesi nelle quali i militari operano. Ma siamo anche Nazione, Patria; i rappresentanti del Governo e delle Istituzioni presenti, che ringrazio del profondo del cuore – primo fra tutti il Signor Ministro della Difesa -, lo confermano, esprimendo il «concorde sostegno del popolo italiano» su cui «donne e uomini presenti nelle diverse aree di conflitto sanno di poter contare», come ha affermato il Presidente Mattarella ricordando i caduti nelle missioni internazionali, il cui esempio «rappresenta un vincolo morale per la continuità del contributo del nostro Paese nei diversi ambiti»[2]. Essi hanno offerto la vita, come fate voi, come hanno fatto i militari feriti qui in Iraq nel novembre scorso, che oggi ricordiamo assieme a tutti i feriti e mutilati.

Questo contributo, da voi dato a nome del nostro Paese, vi pone lontani dal calore delle case e delle famiglie; ma stanotte, qui, noi siamo famiglia: Chiesa che prega in comunione di fede sulle rovine e le vittime delle persecuzioni; Nazione che aiuta un’altra Nazione a rinascere; famiglia delle Forze Armate che intesse vincoli di collaborazione, dialogo, rispetto con altri colleghi della Coalizione Internazionale e con i popoli del luogo, fratelli di diverse culture e religioni.

È il messaggio potente che la Notte di Natale ci consegna, con l’annuncio di «una grande gioia, che sarà di tutto il popolo», e con il canto della «pace agli uomini che Dio ama», ovvero tutti gli uomini. Ed è necessario questo sguardo universale per entrare nel Natale. Per superare particolarismi personali, sociali, politici, come pure pacifismi sterili e polemici, che finiscono per generare indifferenza, anche nei confronti di una terra in cui la complessa situazione socio-politica e il diffuso terrorismo fondamentalista invocano soccorso e aiuti, difesa e protezione.

Ma questa terra, nella Bibbia, è segno di una pace possibile, pur nelle contraddizioni. È la terra del regno di Babilonia, simbolo della guerra, della distruzione di tutto e del tempio, della deportazione e dell’esilio; ma è anche la terra di Ur dei Caldei, dove Abramo – padre per tutte le religioni monoteiste – riceve la promessa di Dio e parte verso la terra promessa. È la terra in cui la tradizione del libro della Genesi permette di collocare il Giardino dell’Eden, segno della bellezza della creazione di Dio, della fioritura del deserto, della gioia della Risurrezione.

Cari amici, questa bellezza e questa gioia diventano la speranza che voi militari italiani portate, qui e in altre missioni, con un servizio di competenza e vicinanza. Come afferma Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, «molte volte nel buio delle guerre e dei conflitti, il ricordo anche di un piccolo gesto di solidarietà ricevuta può ispirare scelte coraggiose e persino eroiche, può rimettere in moto nuove energie e riaccendere nuova speranza nei singoli e nelle comunità»; la speranza di una pace che, ricorda il Papa, richiede «dialogo, riconciliazione e conversione ecologica»[3]. Sono i vostri gesti, è lo stile con cui, anche nella quotidianità, vi rivolgete ai più piccoli, nei quali vedete e servite il Bambino di Betlemme, che sorregge il mondo.

Con tutta la nostra commossa gratitudine, chiedo a Lui di benedire voi, i vostri cari e la vostra missione.

Buon Natale. E così sia!

Santo Marcianò

[1] Sergio Mattarella, Messaggio per la Giornata in ricordo dei caduti nelle missioni internazionali, 12 novembre 2019

[2] Francesco, Lettera Admirabile Signum, 5

[3] Francesco, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1 gennaio 2020