Omelia dell’Ordinario Militare nella Festa di Santa Barbara

04-12-2019

Omelia dell’Ordinario Militare nella Festa di Santa Barbara Basilica S. Giovanni in Laterano (Roma), 4 dicembre 2019

«Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?»

Carissimi, il Vangelo, oggi, sembra offrire un ragionamento di carattere socio economico (Lc 9:23- 26). C’è di mezzo un guadagno. Ma un guadagno che Gesù non ha paura di definire inutile, anzi dannoso. Un guadagno reale, grande, che, se ci pensiamo bene, renderebbe non solo ricchi ma potenti. Guadagnare il mondo intero!
Tutto inutile, dice Gesù. Ciò che conta non è guadagnare il mondo ma non perdere se stessi. Tuttavia, quando vuole suggerirci l’unico autentico modo di salvare la propria vita, è sempre Gesù a dire che bisogna perdere se stessi. Inoltre, chi voglia salvare la propria vita – avverte – finisce per perderla.
Sembra un gioco di parole, un enigma. E può restare nel fondo una domanda: dobbiamo perdere o non perdere la vita? Dobbiamo salvarla o non salvarla?
Tanti potenti della terra, dicevamo, poggiano tutto sulla logica del guadagno. E l’istinto del possesso si rivela ben presto come destinato a non estinguersi, anzi ad innalzarsi creando bisogni sempre nuovi, sempre nuove smanie: «Quanto opprime e incatena l’anima l’affanno di credere che tutto possa essere prodotto, tutto conquistato e tutto controllato!»1, ha recentemente ricordato il Papa in Giappone
Nella nostra cultura del “tutto e subito”, la logica del guadagno miete sempre nuove vittime: dai poveri di mezzi e di risorse, macinati dentro il torchio di politiche di esclusione o di prevaricazione da parte dei ricchi o degli stessi Paesi ricchi, ai poveri perché soli, dimenticati da un mondo povero di relazioni. Un mondo liquido, come qualcuno lo definisce.
Di tale cultura, tuttavia, anche colui che guadagna appare vittima, perché chi si offre a questa spirale di dominio e possesso, finisce per considerare se stesso e gli altri come “oggetti”: da dominare e manipolare o da riempire con l’illusione del potere economico, politico, sociale, personale… Vittima perché oggetto, l’uomo.
Dentro questa logica che tutto giustifica e controlla, germoglia il seme della prevaricazione, della violenza, della guerra. «La pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale – ha affermato Papa Francesco nel Discorso sulle Armi Nucleari a Nagasaki -; sono possibili solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità dell’intera famiglia umana di oggi e di domani»2.
Un’etica che voi, carissimi, cercate di seguire e costruire. Eppure tanti, troppi ancora, identificano la “guerra” con il mondo militare, con il vostro mondo, misconoscendo l’opera reale di pace a voi affidata; non solo sul piano, potremmo dire, delle strategie politico organizzative ma proprio nella dimensione antropologica, educativa.
Alla radice della guerra, coltivata laddove si cerchi di salvare se stessi e di guadagnare tutto, persino il mondo, si contrappone la pace, frutto di vite radicate in un “perdersi” che significa “ritrovarsi”.

1 Francesco, Omelia al Tokyo Dome, 25 novembre 2019
2Francesco, Discorso sulle Armi Nucleari, Nagasaki, 24 novembre 2019

L’uomo «il quale è la sola creatura in terra che Dio ha creato per se stessa» non si realizza se non «attraverso il dono sincero di sé»3, afferma il Concilio.
E cosa sia un tale dono sincero di se stessi io lo chiedo a voi, cari amici della Marina Militare, che oggi celebrate Santa Barbara. Una Santa Martire, quindi capace di capire e testimoniare cosa significhi perdere la vita e non perdere la vita.
Sì, è il martirio la cifra che oggi ci viene posta dinanzi; e non in termini teorici o semplicemente rievocativi. Il martirio che si identifica con le parole stesse di Gesù: «Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».
Lo esprime in altre parole il libro della Sapienza (Sap 3:1-9), parlando dei «giusti»: «Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé: li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto».
Questo è lo sforzo necessario a prendere la croce, la propria croce così come la croce altrui: rinnegare se stessi, perdere se stessi; perdere la propria vita perché la si è offerta, consegnata, sacrificata.
Non è una dinamica teorica e tantomeno rievocativa, dicevamo. È la concretezza della vostra vita.
Non bisogna forse imparare a rinnegare se stessi per accorgersi degli altri, delle loro emergenze, dei loro bisogni primari? Per portare avanti un impegno come quello della Marina Militare Italiana, oggi sempre più chiamata a dimostrare come la difesa, dei nostri mari e nei nostri mari, sia davvero una difesa di vite umane?
Rinnegare se stessi per non perdere, per non sprecare la propria vita e nessuna vita, per salvare ogni vita e la propria vita.
Penso alle operazioni di salvataggio in mare che continuano, compito al quale tenete fede superando paure e difficoltà, limitazioni di tipo disciplinare e le non facili relazioni internazionali. Penso alla dedizione e alla competenza che vi fanno trovare nel mare un ambiente vitale da proteggere e valorizzare.
È un modo ampio e bello di salvare la vita. Salvare dalla morte possibile gli uomini, le donne, i bambini che annegano; salvare in emergenze climatiche e in calamità, con ogni tipo di soccorso in mare; ma anche salvare quella bellezza che il mare rappresenta e racchiude.
Dunque, salvare la vita altrui, dice Gesù, per salvare la propria vita. Ma non si tratta di un “do ut des”; non si tratta di un «salvare» nel senso di mettersi al sicuro da contrattempi o di attendersi un compenso, ora e per l’eternità.
Non è questo il senso della salvezza, quella che Gesù porta, offre e propone a chi lo segue. Si tratta di salvare la propria vita dal non senso, dal perdere il tempo prezioso dell’esistenza, dall’affannarsi nel rincorrere un guadagno che uccide.
Si tratta di percepire la propria e l’altrui preziosità, certi che valga la pena di offrirsi a questo nobile scopo. Si tratta di salvare il senso dell’esistenza umana, che è per il dono non per il guadagno!
Si tratta di salvare e proteggere valori grandi, principi di umanità di cui è ricca la nostra amata Patria, per la quale voi operate. Si tratta di salvare non solo gli uomini ma di salvare l’umano che c’è in noi e, sempre più, oggi rischia di essere dimenticato.

3 Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Gaudium et Spes, 24

Si tratta infine, oserei dire, di “salvare” quell’immagine divina che risplende in ogni uomo. Ecco, questo voi fate, portando la legge dello Spirito nella legge del mare.
Cari amici, il mare, nella tradizione biblica, è spesso sinonimo del mondo del peccato, della paura, della destabilizzazione rispetto a correnti avverse, che agitano la vita dei singoli e dei popoli dall’interno e la minacciano dall’esterno.
Il mare è poi un ostacolo che bisogna attraversare: passare dall’altra parte del mare, infatti, significa spesso cambiare vita, superare blocchi che sembravano insormontabili.
Tuttavia, il mare è un luogo dove, proprio per tutte questa agitazioni e contraddizioni, più concretamente si sente la presenza di Gesù: è Lui che compare in alto mare quando le tempesta sembra invincibile, quando la pesca di una notte è stata inutile; è Lui che, sulla riva, sfama con il pane della Sua Parola, della Sua Vita donata, della Sua e nostra condivisione.
Vi auguro, con l’esempio e l’intercessione di Santa Barbara, di essere, nel mare della vita di molti, presenza che condivide i momenti di difficoltà, protegge nelle notti della paura, aiuta nella pesca di ogni giorno. Segno della vicinanza ad ogni uomo di quel Gesù che, donando se stesso, ci ha insegnato il vero guadagno ovvero il dono totale di sé, per amore.

Santo Marcianò