Omelia dell’Ordinario Militare nella Festa di Santa Barbara

04-12-2018
Basilica S. Giovanni in Laterano (Roma), 4 dicembre 2018

 Carissimi fratelli e sorelle, la festa di Santa Barbara, vergine e martire, vede riuniti i Vigili del Fuoco e i Militari della Marina, assieme a genieri e artiglieri. Sono lieto di presiedere questa Eucaristia e vi saluto tutti di cuore, con un particolare benvenuto ai Ministri della Difesa e dell’Interno: con la loro presenza, essi esprimono la gratitudine e l’attenzione del nostro Paese al delicato compito di difesa e sicurezza che voi svolgete. Sull’esempio di Santa Barbara, e grazie alla sua intercessione, vogliamo oggi consegnare al Signore questo impegno, per il quale anche la Chiesa vi è profondamente grata, cogliendo l’occasione per un momento di riflessione che ci aiuti a maturare sempre meglio nel servizio alla persona e al bene comune. Come vivere questo servizio? Come fare in modo che il vostro importante compito sia svolto – pur con la necessaria competenza e le gravose responsabilità di uomini delle Istituzioni – con il giusto spirito di servizio? È la stessa Parola di Dio a indicarlo; a suggerire, per così dire, l’economia del servire, peraltro caratteristica del mondo militare. Per certi versi, sappiamo come sia proprio l’economia a guidare il mondo, a costituire il sottofondo di politiche sociali, leggi, decisioni di Organismi Internazionali… Un’economia che, sempre più spesso, influenza anche lo stile di vita e i rapporti umani; ma quando l’economia non si fonda sulla dignità dell’uomo spesso degrada o inquina tali rapporti, introducendo in essi – e di conseguenza nei comportamenti pubblici – il germe pericoloso della «corruzione», che deteriora dal di dentro e giunge a far perdere il senso incalcolabile dell’umano, tanto nelle relazioni interpersonali quanto nelle relazioni fraterne che dovrebbero animare la famiglia dei popoli. In questa ottica, vince la logica del possesso a tutti i costi, che è – e non può non essere – contro la logica del servizio. Il Vangelo di oggi (Lc 9,23-26), invece, ribalta questa economia ritenuta “vincente”, della quale siamo ormai vittime, e lo fa proponendoci la logica paradossale della «perdita». Come afferma Gesù, il mondo non è fatto per essere «guadagnato», cioè posseduto, perché il possesso implica la strumentalizzazione, sfociando con facilità – lo accennavamo prima – nella cultura della corruzione, ma anche nella cultura della raccomandazione e nella perdita del senso del dovere. La perdita cui si riferisce Gesù, invece, è la «perdita della vita». Si tratta di un “guadagno in perdita”, potremmo dire, e la perdita è imponente: non si perde qualcosa ma si paga di persona, con la propria persona. E si paga liberamente, dunque nel servizio. È un contrasto: perdere la vita significa salvare la vita: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, chi perderà la propria vita per me la salverà».   Ma a quale vita si riferisce il Vangelo? Il termine qui usato da Matteo non allude certamente solo alla vita fisica: non è il bìos – vale a dire la vita che viviamo nella sua dimensione temporale – ma la psyché dei greci, che rappresenta il principio, il soffio vitale, termine che la Bibbia usa solo per l’uomo; è l’io della persona, unità integrata di corpo e spirito, nella sua originale unicità. Giovanni, per tradurre questo stesso insegnamento di Gesù, userà un altro termine greco, zoè, che significa vitalità e, nel linguaggio spirituale, ha un più chiaro riferimento alla vita eterna. Solo l’uomo, tra tutti gli esseri viventi, ha il potere di «dare» la propria «vita», perché la vita umana è sostanzialmente diversa, in virtù del «soffio vitale» che lo rende simile a Dio. La persona può donare, offrire, restituire questo soffio eterno e vivere nell’eternità, per un puro motivo d’amore, sull’esempio di Cristo e per Lui. Gesù, infatti – ed è importante -, dice «chi vorrà perdere la propria vita “per me”». Sì. L’amore e l’esempio di Gesù offrono un senso al nostro dare la vita, al nostro perdere la vita per salvare la vita altrui.   Carissimi Militari della Marina, carissimi Vigili del Fuoco, in questo paradosso si inserisce la vostra missione. C’è un «dare» che è la cifra dell’economia in perdita ma che rappresenta il “capitale” dell’economia della salvezza. C’è un dare che si collega, anche concretamente, all’esperienza del salvare la vita altrui, che quotidianamente voi fate. C’è un dare, il vostro “dare” e il vostro “darvi”, che rende possibile comporre ogni contrasto, anche quello difficile che oggi viviamo nel nostro Paese, tra l’esigenza di tutela della sicurezza nazionale, di cui siete a servizio, e la responsabilità di salvaguardare il soffio vitale presente nell’uomo – in ogni creatura umana, senza distinzione e scarto, senza discriminazioni di razza, lingua e religione -, di cui siete a difesa. Voi lo fate e diventate, così, riferimento e stimolo anche per la comunità internazionale, che si deve sentire chiamata in causa di fronte a problematiche nuove nella storia dell’umanità, non ultimo il delicato problema delle migrazioni, per tentare di risolverle con la strategia della collaborazione e della giusta politica, mai con l’indifferenza, la repressione, la violenza. Voi ne siete esempio eloquente e il quotidiano compito e il quotidiano rischio che vi vedono operativi nei nostri mari e nelle zone di tante calamità naturali, nella protezione delle coste e del nostro meraviglioso ambiente, nel supporto alla pace in altri Paesi, vi vedono pure capaci di comporre la giustizia e l’amore che, se autentici, non sono mai in contrasto. La via per comporre, per armonizzare tutto ciò, per noi cristiani, è la sequela di Gesù, che Egli riassume in una sola parola: prendere la «croce». Non solo sopportare la croce ma «prenderla», con un gesto di determinazione e libertà che solo chi voglia donare la vita può compiere. Lo ha fatto Gesù, lo ha fatto la vostra martire santa Barbara, lo hanno fatto i vostri colleghi caduti nel corso del dovere quotidiano, che oggi ricordiamo; essi non hanno «guadagnato il mondo», ma hanno «perso la vita», hanno donato la vita, hanno salvato la vita. «Molte volte le ambizioni del potere e gli interessi mondani giocano contro di noi»[1], scrive il Papa nella Lettera sulla santità, la Gaudete et Exultate. Ma «la croce, soprattutto le stanchezze e i patimenti che sopportiamo per vivere il comandamento dell’amore e il cammino della giustizia, è fonte di maturazione e di santificazione»[2]. Il vostro servizio alla giustizia è autentico servizio d’amore perché è servizio alla persona, a ogni persona; che, per intercessione di Santa Barbara, sia anche un cammino semplice e concreto di santità. Eroi della vita! Grazie di cuore! X Santo Marcianò


[1] Francesco, Esortazione Apostolica Gaudete et Exultate, 91
[2]Francesco, Esortazione Apostolica Gaudete et Exultate, 92