Omelia dell’Ordinario nella Messa di commemorazione del Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa – Palermo, 03 settembre 2019

03-09-2019

Palermo, 03 settembre 2019 – Chiesa San Giacomo dei Militari

 

«Povera Palermo»! Gridava così il cardinale Salvatore Pappalardo 37 anni fa, nell’omelia per i funerali del Generale Dalla Chiesa, della moglie Emanuela, dell’agente di scorta Russo. Un grido preceduto dalla citazione che scosse l’Italia, già stravolta dalla crudeltà dell’ennesima esecuzione mafiosa: «Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici! E questa volta non è Sagunto ma Palermo»[1].

Ricordare oggi Caro Alberto Dalla Chiesa qui a Palermo ha un profondo significato: questo militare del Nord, che ha servito l’Italia in diversi luoghi e situazioni e ha vissuto l’esperienza devastante della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza; questo stratega, capace di infliggere colpi decisivi nella lotta al terrorismo nell’Italia degli anni 70; questo uomo di Stato, ideatore di metodologie e strutture importanti per la difesa e la pace, ha avuto con la Sicilia e con Palermo un legame particolare.

Saluto le autorità civili e militari, i rappresentati locali, la cara Famiglia dell’Arma dei Carabinieri, assieme a tutti gli uomini e donne delle Forze Armate e Forze dell’Ordine che, anche se con diversi ruoli e compiti, continuano a offrire le proprie competenze e la propria vita nella lotta contro il male che affligge questa città, il nostro Sud, il nostro Paese.

 

Il cardinal Pappalardo dava un nome a queste «forze del male che operano nella nostra società, per tutelare e difendere i loschi interessi di potenti fazioni, variamente denominate, terrorismo, camorra, mafia… che possono permettersi di affrontare apertamente lo Stato, offendere ed umiliare le sue istituzioni, colpire i suoi uomini migliori. Forze del male che non sono realtà astratte… – egli diceva – non fantastici organismi ma persone vive e reali, possedute internamente dal Demone dell’odio, quasi incarnazione di quel Satana, nemico di Dio e dell’uomo, che nella Scrittura è detto “Omicida fin dall’inizio” (Gv., 8, 44) ed ispiratore di tutti gli omi­cidi che si sono effettuati sulla faccia della terra, da quel primo di Caino sino ai tanti dei nostri giorni»[2].

È terribile: «non fantastici organismi ma persone vive e reali possedute dal Demone dell’odio»: è la stessa immagine che oggi offre il Vangelo (Lc 4,31-37): l’uomo posseduto da un demonio impuro, il quale lancia un grido quando si scontra con il bene, con Cristo, con Colui che vuole «liberare» l’uomo.

I mali contro cui il Generale Dalla Chiesa operò imprigionano la persona umana. Affascinano con il mito di una liberazione illusoria da un supposto potere dello Stato, della morale, delle strutture educative e religiose, ma poi non fanno che rivendicare per sé un altro tipo di potere, perseguito con ogni mezzo, specie quelli più violenti, a danno della legalità, del senso delle Istituzioni, della pace e della concordia. Era questo il clima di rivendicazione nell’Italia del terrorismo degli anni di piombo; era questo il potere diverso, ma ugualmente devastante, della mafia che Dalla Chiesa affrontò in Sicilia in tre diversi periodi della storia e della sua vita e missione.

Capitano a Corleone quando, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, le cosche operavano con la logica del banditismo e della lotta tra famiglie, per l’egemonia sul territorio.

In seguito – dopo altre missioni a Firenze, Milano e Roma – colonnello a Palermo dal 1966, quando capì che un’apparente “pax mafiosa” segnava, in realtà, l’affermarsi di una nuova generazione di uomini della criminalità organizzata, connessi con la finanza e pronti all’esecuzione di rappresentanti dello Stato. Fu di quel tempo la collaborazione con il commissario di polizia Boris Giuliano e l’impegno per il soccorso alle popolazioni nel terremoto in Belice che valse a Dalla Chiesa la cittadinanza onoraria di quei luoghi.

Infine, Prefetto di Palermo: un incarico iniziato nel giorno dell’omicidio di Pio La Torre, il 30 aprile 1982, e affrontato, senza i poteri da lui ritenuti necessari, in un momento in cui egli stesso constatava, dentro la Sicilia e a livello internazionale, il «policentrismo della mafia», sempre più rafforzata da potenti interessi economici e infiltrata in organi di governo e nella “cosa pubblica”.

Una lotta contro il male, dunque. Contro il demonio che “possiede” uomini chi se ne lasciano imbrigliare o che, semplicemente, sono stati a questo avviati, dentro strutture familiari e sociali che ne hanno indirizzato la crescita. Una lotta contro il demonio della cultura mafiosa, lotta ancora in atto oggi.

Da una parte, un demonio che «grida», dicevamo commentando il brano evangelico; che compie gesti eclatanti, appoggiandosi alla cultura della violenza, del pizzo, dell’intimidazione, delle vessazioni, della prepotenza, dell’illegalità…

Dall’altra parte, un demonio che potremmo definire silenzioso, come sembra di scorgere tra le parole della prima Lettura (1Ts 5,1-6.9-11): «Quando la gente dirà: “C’è pace e sicurezza!”, allora d’improvviso la rovina li colpirà». È la cultura dell’omertà, che tanto ferisce questo territorio, e della corruzione che distrugge in segreto, nella calma apparente. «La corruzione rivela una condotta anti-sociale tanto forte da sciogliere la validità dei rapporti e quindi, poi, i pilastri sui quali si fonda una società: la coesistenza fra persone e la vocazione a svilupparla», dice Papa Francesco, e la parola «corrotto… ricorda il cuore rotto, il cuore infranto, macchiato da qualcosa, rovinato come un corpo che in natura entra in un processo di decomposizione e manda cattivo odore»[3].

 

Sì. Un demonio che entra nel cuore e lo corrode! E da lì, dal cuore, può partire e lì deve arrivare la risposta, anche da parte degli uomini dello Stato. Carlo Alberto Dalla Chiesa ha combattuto con il cuore e da lì è partita la risposta della quale anche la Parola di Dio indica i contenuti: la verità e la carità.

«Taci! Esci da lui!», ordina Gesù al demonio. La risposta è, da una parte, il grido della denuncia, l’esercizio responsabile del potere. «L’unico potere deve essere quello dello Stato», affermava il generale, lamentando, di fronte alla forza di “Cosa Nostra”, la debolezza istituzionale che non gli consentiva un pieno potere, come contro il terrorismo, ma gli aveva ugualmente permesso di iniziare a imporre alle sue indagini una spinta e una visibilità troppo pericolose per gli equilibri criminali.

«Voi siete figli della luce… Perciò confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri», abbiamo ascoltato da San Paolo nella prima Lettura; contro il male c’è anche una risposta silenziosa, una cura caritativa e educativa mirante alla costruzione e alla ricostruzione del senso dello Stato e alla promozione di una cultura della legalità. Dalla Chiesa lo sapeva e, accanto a grandi imprese, egli tese a recuperare la fiducia dei cittadini per sbriciolare il muro dell’omertà, cercò di curare la prevenzione della delinquenza minorile, riservò grande attenzione ai propri collaboratori, dai quali sapeva anche imparare.

La sua è stata ed è una lezione straordinaria, che rivive oggi nella straordinaria missione dell’Arma dei Carabinieri e di tanti uomini e donne delle Forze Armate e Forze dell’Ordine italiani. Una lezione che Palermo non solo ha imparato dal suo Prefetto Dalla Chiesa ma nella quale la Palermo bella, pulita, onesta e ricca di creatività, lo ha appoggiato e lo ha pianto, quasi come un figlio della sua terra.

«Povera Palermo!», dunque; ma anche: «Grazie, Palermo!». Grazie agli uomini e donne di questa città, del nostro Sud, della nostra Italia, i quali, oggi come ieri, sanno accogliere questa lezione di coraggio e dedizione e sanno riproporla con perseveranza e impegno, consapevoli che il demone del male grida e muore solo dinanzi al bene creduto e vissuto.

Una lezione che accogliamo con nostalgia e speranza, chiedendo al Signore che la memoria viva del servitore dello Stato Carlo Alberto Dalla Chiesa sia per tutti monito di verità e di carità. Porti chiarezza ai punti ancora oscuri di questa come di altre vicende che hanno sporcato e insanguinato l’Italia e infonda trasparenza, dedizione disinteressata e spirito di servizio nei cuori dei cittadini e degli uomini delle Istituzioni, affinché la dignità di ogni persona umana e il senso del bene comune ispirino le decisioni, le scelte e i gesti importanti di cui, oggi come ieri, ha bisogno il nostro Paese, l’Europa, il mondo intero.

Santo Marcianò

 

[1] Salvatore Pappalardo, Omelia alle Esequie del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Palermo, 4 settembre 1982

[2] Ibidem

[3] Francesco, Prefazione in Peter Turkson, “Corrosione”, Roma 2017