Omelia di Mons. Marcianò nella Festa di San Michele Arcangelo, patrono della Polizia di Stato

29-09-2016
Carissimi fratelli e sorelle,

con grande gioia vi accolgo in questa Chiesa Principale dell’Ordinariato Militare per la Festa del “vostro” San Michele che, in questa Celebrazione, si arricchisce della consegna della Pergamena con cui Pio XII lo ha dichiarato Patrono della Polizia di Stato. Nella Lettura tratta dal libro dell’Apocalisse (Ap 12,7-12a), l’Arcangelo Michele appare, potremmo dire, nel pieno della sua missione. È una missione molto significativa, che si rivolge a quelle situazioni nelle quali e contro le quali è davvero difficile lottare. Una lotta impari, contro il male e Satana, contro quel «drago» che, dice letteralmente il testo biblico, «seduce tutta la terra abitata». Un angelo, un solo angelo, contro un potere universale… Il quadro che ci viene offerto da un lato è consolante: ci spinge a guardare in Alto, a confidare davvero in una protezione forte, come quella dell’Arcangelo Michele, a invocarlo nella difficoltà. Dall’altra parte, però, ci potrebbe cogliere lo scoraggiamento, nella misura in cui sentiamo anche noi la solitudine, percepiamo quanto sia impari anche la lotta contro il male che voi, servi della sicurezza dei cittadini e del popolo, siete chiamati a svolgere. Un compito profondamente serio, votato alla custodia delle persone contro quelle forze di male che sembrano concretamente sconvolgere il mondo. Il nostro è, senza esagerare, un tempo nel quale una sorta di “globalizzazione del terrore” sembra avere la meglio, sembra dominare sulle nazioni e sui popoli, condizionando pesantemente le scelte politiche, sociali e personali, con la forza di un potere occulto e devastante. La «guerra» che l’Apocalisse descrive in cielo è la guerra che vi sembra di combattere sulla terra, nelle tante lotte quotidiane: dagli interventi nelle situazioni di microcriminalità e di criminalità organizzata all’illegalità, dal controllo dei cosiddetti “obiettivi sensibili” identificati nelle nostre città alla difesa della popolazione in particolari circostanze, dal soccorso nelle calamità naturali o nella terribile emergenza dell’immigrazione alla lotta contro ciò che mina l’equilibrio dell’ecosistema e la bellezza del creato… Una lotta impari ma destinata alla vittoria! Se, infatti, da una parte c’è il potere del male, dall’altra parte c’è un’altra «potenza», un’altra «forza»; addirittura un altro «regno», quello «del nostro Dio». Un regno che non tende ad affermare violenza o potere ma ha un solo obiettivo: «la salvezza». Sì, la salvezza! Una parola densa di significato per chi, come voi, mira quotidianamente alla sicurezza, degli altri, ispirato dalla nostra cultura e dalla forza della Costituzione Italiana, che, nella sua attenzione alla cura dell’uomo, ha scelto di mettere al centro la persona umana, ogni persona! Certo, la salvezza a cui Dio si riferisce, alla quale Egli ci vuole condurre, non è solo una salvezza da ciò che mette in pericolo la vita fisica: Dio ci salva dal peccato, dalla perdizione, dalla disperazione della solitudine e del non senso; salva la nostra vita anche in un senso profondo, spirituale, eterno… Ma, per chi è chiamato al Suo servizio con un compito come il vostro, la difesa della vita fisica diventa il presupposto di ogni altro cammino. Come portarla avanti questa difesa nella vostra opera per la sicurezza? Quale modello rappresenta, per voi, San Michele assieme agli altri «angeli», per una lotta vittoriosa? Tante volte, io stesso amo definire «angeli» gli uomini delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate, profondamente convinto del valore di cura e custodia che caratterizza la loro missione. Una missione che, come ricorda la Parola di Dio, conduce a vincere «grazie al sangue dell’Agnello» Sì. La forza per combattere il male è una forza che ci viene donata, non è un semplice prodotto della capacità umana, delle stesse abilità personali. Una giustizia autodeterminata, che esuli dal riferimento all’Assoluto, al Trascendente, espone al rischio dell’individualismo e del tornaconto personale le scelte dei singoli e degli Stati, anche di quelli considerati “democratici”. Occorre cercare in Dio i parametri della giustizia e dell’inclusione, della libertà e dell’uguaglianza, della pace e della misericordia: siamo il frutto di una volontà di salvezza e amore che ci precede e che è per ogni persona e ogni popolo. È per tutti, senza distinzione di razza o lingua, cultura o credo religioso, che l’Agnello, cioè Cristo, ha versato il Suo sangue. Ed è con questo sguardo universale che voi, uomini delle Istituzioni, siete chiamati a servire il «bene comune» che, come osserva il Compendio di Dottrina sociale della Chiesa, «essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché è indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro»[1]. In realtà, proprio in quanto unico e indivisibile, il bene comune è in grado di vincere il male, diffuso ma frammentato, perché asservito ai potenti o ai violenti di turno.  La vostra missione, poi, si fa forte della «parola della testimonianza… fino alla morte», che è più efficace di tante parole. Una testimonianza che vince perché penetra tra le pieghe del vissuto, perché raggiunge i veri bisogni delle persone, perché raggiunge i cuori di ciascuno. La testimonianza è quella parola che noi diciamo non tanto “per” gli altri quanto “con” gli altri. Che dono, per voi, che le realtà alle quali siete inviati – sul territorio o in speciali unità – vi guardino con fiducia e gratitudine e vi considerino persone “di famiglia”. Cittadini, prima di tutto; e perciò a servizio dei cittadini! La «lotta per la giustizia sociale […] deve essere vista come un normale adoperarsi per il giusto bene […], non è una lotta “contro” gli altri», scriveva Giovanni Paolo II. Essa «avviene in considerazione del bene della giustizia sociale, e non […] per eliminare l’avversario»[2]. Tante volte, per voi, l’avversario diventa il colpevole, colui che deve essere sì punito ma, nonostante tutto, rispettato. La lotta al male, non lo dimentichiamo, non è lotta contro la persona: è un punto di estrema delicatezza, questo, ed è una verità per affermare la quale, certamente, la vostra testimonianza assume valore prezioso. Il «bene comune» va perseguito ma anzitutto scelto personalmente: non può servirlo chi non lo viva! E viverlo, tante volte – voi lo sapete bene –, significa dare la vita: è qui che la testimonianza conduce. L’espressione dell’Apocalisse è forte; parla di coloro che «non hanno amato la loro vita» perché, potremmo dire, amano di più la vita altrui, si sentono responsabili dei fratelli al punto da sacrificarsi per essi. Quanta solidarietà e fratellanza nelle storie di tanti vostri colleghi che si sono donati totalmente! E quanta dedizione talora eroica nascosta nella quotidianità e fedeltà di tanti vostri gesti! Carissimi fratelli e sorelle della Polizia di Stato, grazie! Grazie di cuore per come portate avanti il vostro compito, gravoso e prezioso; un compito che va accompagnato, per questo avete scelto San Michele come Patrono. Egli vi ricorda, ci ricorda, che il male non ha l’ultima parola e che, come diceva San Giovanni Paolo II, il limite imposto al male è la misericordia. In questo Giubileo, la Misericordia si ripropone a voi come dono e come compito. Soprattutto, come Persona che incrocia il nostro sguardo, allo stesso modo in cui, nel Vangelo (Gv 1,47-51), Natanaele si sente «guardato» e «conosciuto» – cioè amato – da Gesù. È il senso della Celebrazione così significativa di oggi, è il contenuto della Pergamena che solennemente vi consegno; ed è il mio augurio e la mia preghiera: che sappiate «guardare» ogni creatura con amore, come fa Gesù, per riuscire a difenderla dal male, come fa San Michele. Che Egli vi custodisca, per rendervi capaci di custodire! † Santo Marcianò


[1] PONTIFICIO CONSIGLIO GIUSTIZIA E PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, n. 164
[2] GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Laborem Exercens, n. 20.