Ospedale Militare del Celio, 16 febbraio 2021
Carissimi, la Festa della Madonna di Lourdes è una celebrazione significativa per chi, come il personale sanitario, spende la sua vita nel donare vita agli altri. Ogni anno, in realtà, il giorno 11 febbraio la Chiesa celebra la Giornata Mondiale del Malato: ed è proprio questo che rende la festa significativa per voi. Quando si vive per qualcosa, per qualcuno, questo diventa il “centro” della propria vita e missione.
Il malato, anzi la persona malata, è al centro delle cure, degli studi e – direi – della carità che si respira in questo Policlinico Militare. Io stesso ho potuto constatarlo, nel tempo difficile della malattia, e porterò sempre in cuore la gratitudine e il ricordo della professionalità e dedizione che vi rendono capaci di fare cose grandi, per i malati e i sofferenti.
Da sempre, la vocazione medica – nella quale possiamo includere anche quella degli infermieri e degli operatori sanitari – è stata annoverata nell’alveo di quei “saperi” per i quali non bastano le nozioni, sia pur necessarie. C’è un che di “sacro” nella vostra professione che “tocca” la vita! C’è una sfumatura di coraggio, applicazione, tenacia e intuizione che anima chi, mettendo davvero il malato al centro, non trova pace finché non ha fatto per lui tutto quanto è in suo potere ma, al contempo, percepisce come sia indispensabile che una qualche “luce” lo illumini!
È ispirato, in tal senso, il titolo che Papa Francesco ha voluto dare al suo Messaggio per questa Giornata Mondiale del Malato, tratto dal Vangelo che abbiamo ascoltato (Mt 23,1-12): «Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli».
Mettere al centro il malato significa, specifica il Papa, instaurare con lui una relazione «di fiducia», che scaturisce dal sapersi in mani esperte, in mano di maestri della medicina, come voi siete. Come non pensare, con un filo di orgoglio, all’apporto che il personale del Celio ha dato – per parlare solo dell’ultima emergenza di pandemia – all’assistenza sanitaria, alla ricerca e all’innovazione?
Ma «uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli», specifica Gesù. È Lui che ci e vi illumina, ed è alla Sua scuola che oggi ci mettiamo, ricavando, dal Messaggio del Papa e dalla Parola di Dio, alcune Parole che possono guidarci in questo apprendimento.
- La coerenza.
Nel Vangelo, Gesù critica duramente l’ipocrisia di scribi e farisei i quali, «seduti sulla cattedra di Mosè», «dicono e non fanno».
Non basta una cattedra a conferire un ruolo di maestro! Tutti noi, in fondo, potremmo affermarlo, anche semplicemente ricordando coloro che ci hanno trasmesso il vero sapere. La sfida di fare “scuola” è sempre una grande provocazione.
Penso a quanti, tra voi, ricoprono un ruolo di maestri, da ufficiali del mondo militare; penso a quanti insegnano l’arte della medicina, non solo nelle aule accademiche ma ancor più al letto del paziente, attraverso l’impegno della diagnosi, le decisioni terapeutiche, la relazione impostata con lui.
«Davanti alla condizione di bisogno del fratello o della sorella – scrive il Papa -, Gesù offre un modello di comportamento del tutto opposto all’ipocrisia. Propone di fermarsi, di stabilire una relazione diretta e personale con l’altro, sentire empatia e commozione per lui o per lei, lasciarsi coinvolgere dalla sua sofferenza, fino a farsene carico nel servizio»[1].
È quanto ha saputo testimoniare San Riccardo Pampuri, militare, medico e religioso. Il filo conduttore della santità della sua breve vita sta tutto nella coerenza evangelica, vissuta in un servizio che lo ha fatto maestro alla maniera di Gesù, rendendolo capace di «cose grandi», come anche a voi è chiesto. Fare cose grandi e essere grandi: e «chi tra voi è più grande – spiega Gesù nel Vangelo – sarà vostro servo».
- Il volto
Ma chi è davvero il servo? Colui il quale, potremmo dire, è in grado di vedere «il volto».
«Il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”, e cerca la promozione del fratello»[2].
La pandemia ha creato una situazione inedita, coprendo anzitutto e soprattutto i nostri volti. I vostri volti resi irriconoscibili dai presidi di protezione, così complessi e pesanti persino da indossare, ma necessari nelle corsie di questo ospedale. I volti dei pazienti più gravi, ingabbiati nei respiratori o nascosti dalle posizioni che devono assumere, la cui sofferenza non riesce neppure a esprimersi. I volti di tutti noi, nascosti da mascherine che cambiano la fisionomia e richiedono di parlare con gli occhi…
Credo che una sfida, direi meglio una chiamata, che Dio ci fa in questo tempo doloroso e misterioso sia proprio quella di essere capaci di riconoscere il volto di chi sembra non avere più volto.
Sì, cari amici: se è vero che dietro ogni volto c’è sempre una persona, è altrettanto vero che dietro ogni persona c’è sempre un volto. Ed è interessante notare come il termine persona derivi dal greco pròsopo, che indicava il volto, e dal latino persona con cui si designava la maschera degli attori di teatro, ovvero il personaggio da interpretare, con il quale la persona finiva per essere identificata.
In fondo, ciascuno di noi ha un volto nel quale è scritta, in un certo senso, la parte che dobbiamo interpretare nella storia umana, di cui Dio è Signore e Autore; un volto, una parte unica e irripetibile, alla quale occorre essere fedeli, entrando sempre meglio nella mente e nel cuore di Lui che l’affidata a ciascuno secondo la propria specificità e creatività.
- La domanda di senso
In questa storia, tutto ha un senso, e «la malattia impone una domanda di senso che nella fede si rivolge a Dio», aggiunge il Papa, anche se «a volte può non trovare subito una risposta».
Il senso della sofferenza umana è un abisso che non può essere mai completamente conosciuto e spiegato: è e rimane mistero, così come rimane mistero quel volto che esprime la persona ma non la esaurisce, ancor più quando è straziato e trasformato dal dolore.
Dinanzi a questo mistero voi, cari medici e operatori sanitari, ci insegnate ad accostarci con la coraggiosa vicinanza e la delicata riverenza che si addice a una dignità che non è mai persa; perché nessun essere umano, mai, potrà perdere il proprio volto, neppure se sfigurato, occultato, invisibile… e la dignità traluce sempre, nella vita sofferente, disabile, prenatale, morente; nella vita di chi rifiuta la sua stessa vita, forse perché ne ha smarrito il senso!
Cari amici, il senso della sofferenza, così come il senso della vita, è sempre scritto nel volto e nella maschera che non lo copre ma ne conferma la vocazione di personaggio e interprete di una storia, scritta e da scrivere assieme, in una relazione di fiducia che è tale solo se fraterna. È proprio vero: è nella malattia che, sentiamo «il bisogno dell’altro»; ma nella malattia – conclude Papa Francesco – anche «la condizione di creaturalità diventa ancora più nitida e sperimentiamo in maniera evidente la nostra dipendenza da Dio»[3].
Sì, cari amici, dipendiamo da Lui! È il segreto intuito dai Santi: da San Riccardo Pampuri, che completò la sua missione medica con la vocazione religiosa; dalla piccola Bernadette che si affidò a Dio attraverso le mani di Maria; dalla Vergine Maria che, nel Magnificat, dice come le «grandi cose» che siamo chiamati a fare sono fatte in realtà da Dio stesso.
È il segreto che genera inspiegabile pace in chi vive la sofferenza e in chi, come voi, si sforza di curarla e accompagnarla, accarezzandone il “volto”, certo di partecipare, così, all’opera di Colui che è il solo Maestro e Medico, il Creatore e il Padre della Vita.
Vi dico grazie a Suo nome e, in Lui, vi benedico.
E così sia!
Santo Marcianò
[1] Francesco, Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato, 11 febbraio 2021
[2] Ibidem
[3] Ibidem