S. Messa in preparazione alla S. Pasqua con le forze armate e di polizia

16-03-2021

Carissimi, ci ritroviamo per questa Celebrazione in preparazione alla Pasqua, mettendoci alla scuola del Vangelo. Cosa ci dice oggi la Parola di Dio? Gesù è a Gerusalemme, cuore della vita religiosa del tempo, se vogliamo anche del potere religioso, accanto al potere politico. Il racconto di oggi (Gv 5,1-16), però, mostra una scena diversa.

Siamo alla piscina in cui si radunavano infermi, poveri disperati. Dopo aver visitato il Tempio, ovvero quella che ha definito la «casa del Padre», la «casa della preghiera», Gesù va dagli ultimi, dai malati, dai poveri; Gesù li raggiunge là dove essi sono, così come oggi raggiunge tutti i sofferenti, i deboli, nelle periferie geografiche ed esistenziali del dolore umano.

È l’altro volto di Gerusalemme, della città capitale, centrale, punto di riferimento; è il volto di tante metropoli ricche e potenti, volto nel quale è impresso il divario enorme, crescente, tra i pochi ricchi sempre più ricchi e i molti poveri sempre più poveri. È il volto che sfigura il senso, il significato stesso della città; e non perché, come spesso si pensa, coloro che hanno bisogno e chiedono aiuto rovinano l’aspetto esteriore dei luoghi ma in quanto viene tradito il volto della città come comunità di cittadini, di persone, unite anzitutto da una relazione fraterna. I poveri – diciamolo pure – ci danno fastidio, per cui non li guardiamo, neppure li vediamo.

Gesù, al contrario, va proprio da loro; raggiunge il cuore del dolore umano che, se ci pensiamo bene, è il cuore della città, di ogni comunità. Gesù vede questo cuore con il Suo Cuore. E guarda!

La scena va immaginata, ma non è certo teorica. «Infermi», dice il testo evangelico. Infermi perché ciechi, incapaci di vedere una luce nella loro vita; storpi, incapaci di camminare; perché paralitici, senza vita. Tutti costoro hanno bisogno di aiuto per vivere, hanno perso la speranza di vivere e si trascinano in un’esistenza senza senso. Anzi, essi sperimentano una condizione ancora più triste: stanno dinanzi a una piscina nella quale sembra guarisca chi riesce ad entrare per primo. Vivono una sorta di competizione nel dolore, vinta, potremmo dire, da chi sta “meno peggio”. Così anche qui, anche tra i poveri, sembra venir meno il volto umano, fraterno della comunità!

L’uomo che il Vangelo ci presenta, malato da 38 anni, non è in grado di raggiungere la piscina da solo e non ha chi ve lo porti; così, sarebbe destinato a rimanere malato per sempre. Egli sa che c’è sempre qualcuno più abile di lui a immergersi nell’acqua e, anche se per il fatto stesso che stia lì sembra aspetti il miracolo, in fondo non ci spera, non lo capisce, non ci crede completamente. E la domanda di Gesù – «Vuoi guarire?» – smaschera questa paralisi, che non è solo fisica ma interiore, di tutta la sua umanità. Lo storpio sta lì ad aspettare che qualcuno si ricordi di lui ma, quando Qualcuno – Gesù – lo guarda, lo interpella, stranamente non risponde “Sì, voglio guarire”.

È la paralisi della speranza!

La scena, dicevamo, non è teorica, in particolare ai nostri giorni. Da un anno, ormai, viviamo alterne fasi di paralisi. Il mondo è cambiato, con la pandemia da Covid19, ed è cambiato nei termini di un blocco: blocco di movimenti, delle relazioni, dell’economia… blocchi causati dalle quarantene, dall’isolamento, dalla malattia, dalle morti… paralisi di speranza, che sembra peraltro aggravarsi in questi ultimi tempi.

E non si tratta di una condizione limitata ai singoli, è come se si fosse inceppato un meccanismo dal quale non riusciamo a tirarci fuori. Vorremmo forse anche noi una sorta di piscina nella quale immergerci per essere prodigiosamente liberati dal male; ma, come gli infermi al tempo di Gesù, sperimentiamo l’insufficienza di soluzioni che sembrano risolvere i problemi e poi li bloccano nuovamente, o addirittura finiscono per favorire gli uni a discapito degli altri…

Se però guardiamo agli eventi con onestà, dobbiamo ammettere che proprio il male della pandemia ha evidenziato la dimensione diffusa, globalizzata, di serie difficoltà della convivenza sociale e civile, mettendo un po’ tutti nella condizione di condividere qualcosa di quanto tanti poveri del mondo già sperimentavano, a motivo di fame, guerra, violenze, migrazioni, condizioni sanitarie precarie… non di rado a causa del nostro peccato di indifferenza, ingiustizia, discriminazione, esclusione.

Lo stesso Vangelo pone l’accento sulla dimensione comunitaria della sofferenza e del peccato. Gli infermi che la piscina raccoglie sono una moltitudine, un popolo; tutti hanno un problema apparentemente irrisolvibile; tutti anelano a un’acqua che, tuttavia, non sanerà definitivamente le cose.

Anche lo storpio rappresenta il male di tutto il popolo; secondo gli esegeti, infatti, i 38 anni della sua malattia richiamano il tempo del cammino di liberazione dall’Egitto compiuto dal popolo di Israele nel deserto. Ma a lui, impedito a muoversi verso la piscina, è dato di incontrare Gesù ed essere liberato veramente dal male, è destinato un cammino diverso.

E il punto è proprio questo: la liberazione, la guarigione, l’uscita dalla logica dell’ingiustizia, della guerra, della discriminazione sociale… l’uscita stessa dalla pandemia è un cammino!

«Vuoi guarire?» Senza aspettare la risposta, Gesù dice: «Alzati, prendi la tua barella e cammina». Gesù fa capire allo storpio – e oggi a noi – che non dobbiamo essere guariti per alzarci ma alzarci per essere guariti e iniziare un nuovo cammino, a livello personale e comunitario, come Chiesa e società.

C’è, nell’essere umano, una libertà profonda, cifra della sua dignità, che nessuno mai potrà togliere o paralizzare. C’è una capacità di fare il bene, di rialzarsi, di prendere in mano – ovvero di dominare – quegli ostacoli che sembrano bloccare per sempre la sua vita e la vita di coloro che gli stanno attorno; quei peccati che non lo fanno accorgere di un Dio che vuole liberarci completamente dalla paralisi della malattia e dell’ingiustizia, dalla paralisi della rivalità tra fratelli e della speranza. E vuole farlo per tutti, a partire dagli ultimi, nell’orizzonte della fraternità.

Ma affinché tutto questo diventi stile di vita personale, sociale e, direi, politico, bisogna alzarsi in piedi, compiere scelte concrete, essere capaci di vedere anzitutto coloro che più hanno bisogno.

Carissimi militari e forze dell’Ordine, parlando a voi so di parlare a persone che hanno intrapreso un tale cammino e non smettono di alzarsi in piedi, per rimuovere gli ostacoli a favore di tutta la comunità, accorgendosi delle croci degli altri. E mi piace ringraziarvi proprio in questa Chiesa dedicata a S. Elena, madre dell’imperatore Costantino, cultrice della Croce di Cristo, che seppe educare il figlio alla sensibilità alla Croce, dunque a governare esercitando la giustizia e ricercando la pace.

Continuate anche voi lo straordinario servizio alla pace e della sicurezza, che vi vede impegnati a stare accanto alle tante croci dei fratelli, particolarmente nel dramma di questa pandemia, in cui giocate un ruolo decisivo su tanti fronti, non ultimo proprio quello sanitario; un servizio che vi vede impegnati a difendere l’ambiente, l’armonia di quella casa comune la cui manipolazione è proprio una delle cause degli squilibri di cui soffre oggi il nostro pianeta. È particolarmente bello ricordarlo nella splendida terra di Sardegna che con il colore bianco si pone come esempio e speranza per il Paese intero.

Non smettete, dunque, ma rispondete al Signore che vi invita ad alzarvi compiendo un gesto pasquale, di resurrezione e speranza, nella certezza che, come ha gridato Papa Francesco in Iraq, «la fraternità è più forte del fratricidio, la speranza è più forte della morte, la pace è più forte della guerra»[1].

Non dimenticatelo: Gesù viene per guarirci e renderci capaci di alzarci, vincere il male e diventare strumenti di fraternità, speranza e pace. Lui ci è necessario e neppure le “acque”, i rimedi che doverose scelte politiche e sociali devono assicurare sono sufficienti a guarire il male dell’uomo e del mondo.

Per questo siamo qui, oggi, a celebrare l’Eucaristia, chiedendo a Dio perdono, forza e aiuto; nel desiderio gioioso di uscire da ogni paralisi della fraternità e della speranza. E di aiutare tutti a farlo.

Il Signore vi benedica. E così sia!

 

Santo Marcianò

[1] Francesco, Preghiera di suffragio per le vittime della guerra, Mosul, Iraq, 7 marzo 2021