Carissimi Luigi e Giovanni, cari fratelli e sorelle,
servire è vegliare! Servire è attendere vegliando! Potremmo riassumere con queste parole quanto avviene oggi, quando è finalmente giunto il momento dell’Ordinazione diaconale, da voi tanto atteso. L’attesa ha contrassegnato, più che in altre situazioni, il tempo che vi ha preparato a questa Celebrazione liturgica e la Liturgia di oggi, Prima domenica di Avvento, vi dona l’attesa in consegna.
Non è solo una coincidenza. Anche il mondo sembra vivere una speciale attesa, in un tempo drammatico, contrassegnato dal diffondersi del contagio da Covid. Si attende di sapere come ci si dovrà comportare nel prossimo futuro, si attendono le decisioni dei governi sul versante economico, si attende che vadano avanti la ricerca e le cure, si attende che finisca la pandemia… Il rischio, però, è di attendere senza vivere l’attesa; di immaginare chissà quale futuro ma rifiutare il presente.
Gesù, nel Vangelo che abbiamo ascoltato (Mc 13,33-37), rimprovera questo atteggiamento anche se, in realtà, il suo non è un discorso minaccioso, come a volte lo si legge. Siamo in un versante particolare della Sua vita e della storia; Egli ha da poco parlato della distruzione del Tempio e, subito dopo, inizierà il cammino della Passione. Ma, forse proprio per questo, le Sue parole vanno accolte come balsamo, incoraggiamento, invito a imparare a vegliare attendendo e ad attendere vegliando. D’altra parte, quel «tempo», quel «momento» che attendiamo e di cui non sappiamo nulla, non è un tempo qualsiasi. È, nell’espressione greca, il kairòs, il tempo di grazia.
Cari Luigi e Giovanni, quello di oggi, per voi e per la nostra Chiesa, è davvero un momento di grazia. E voglio ringraziare chi lo ha preparato, assieme a tutti coloro che si uniscono a noi in questa Liturgia. Saluto con affetto la comunità del Seminario, il rettore don Maurizio, il vicerettore don Rino, il padre spirituale don Saverio, i collaboratori, soprattutto voi seminaristi. Ringrazio i confratelli sacerdoti, presenti o vicini spiritualmente, e ringrazio, con speciale affetto, i genitori e le famiglie di Giovanni e Luigi, i loro cari e le comunità di origine, gli amici e i tanti militari collegati con noi attraverso i social media.
Oggi, dunque, inizia un nuovo tempo di grazia che, con il vostro ministero diaconale, il Signore vi chiama a vivere nella «veglia», nell’«attesa».
La veglia implica una dinamica attiva, come ben sperimentano i nostri militari con i turni di guardia nella notte; richiede energia per vincere il sonno e attenzione: «state attenti», è il verbo usato da Gesù. Ma l’attesa, d’altra parte, ha anche una dinamica passiva: si attende qualcosa che non dipende da noi, che deve venire, qualcosa che ci viene donato…
Come vivere tutto questo? Dalla Parola di Dio traggo alcuni inviti che vi rivolgo con cuore di padre, gioioso della vostra gioia e grato al Signore per il dono che ha voluto elargire a voi e alla nostra Chiesa.
Lasciatevi plasmare!
«Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma», riconosce il profeta Isaia (Is 63,16b-17.19b; 64,2-7).
Plasmare è un verbo bellissimo. Ci fa sentire raggiunti dalla mano di Dio, rimescolati dentro dalla Sua Parola che tocca, accarezza, smussa gli angoli, rimette in gioco, riattiva le forze, porta alla luce tratti nascosti… Una Parola che trasforma, lentamente ma inesorabilmente. Una Parola che solo così, solo lasciandovi plasmare, voi potrete portare ai nostri militari, alle vostre comunità, al mondo.
Il diaconato vi rende voce di questa Parola, nella proclamazione del Vangelo e nella predicazione; diventate strumenti della sua forza, eco della speranza serbata in Essa. E non è forse questa speranza la vera dimensione dell’attesa? Sia dunque la Parola a plasmare il vostro cuore, perché possiate annunciare che, come ha ricordato il Papa: «Per noi cristiani, il futuro ha un nome e questo nome è speranza»[1].
Lasciatevi visitare!
«Visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato», canta il Salmista (Salmo 79).
Luigi e Gianni, se siete qui, è perché nella vostra vita avete sperimentato la letizia della visita di Dio; una visita che sempre ritorna e sempre ci lascia diversi. Il verbo visitare, infatti, è l’azione della misericordia divina che ci converte, ci perdona, ci fa sentire la nostra preziosità, unica ai Suoi occhi.
Sì. Dio ci visita con un Cuore colmo di compassione, e riversa nel nostro cuore l’urgenza della carità: Caritas Christi urget nos, dice Paolo (2Cor 5,14).
Sì, il diaconato è «servizio» nella misura in cui è servizio di carità. Una carità che significa, anche per voi, «visitare» concretamente i fratelli.
I poveri, anzitutto. Quei poveri che non scegliamo, che non avevamo previsto, che ci sono “vicini” e spesso spoetizzano l’idea di carità, facendocela vivere come ha fatto Gesù per noi: come Croce, dalla quale, però, emana una gioia che nessuno può togliere.
I poveri nascosti tra i nostri militari; tra i malati – tu, Gianni, li segui da vicino nel servizio al Celio -, tra le tante situazioni di indigenza economica o valoriale, come le famiglie e i giovani che tu, Luigi, hai incontrato nel tuo servizio e poi in parrocchia.
I poveri di “relazioni”, che oggi il mondo virtuale e la pandemia moltiplicano, nuovi mendicanti d’amore.
Lasciatevi arricchire!
«Non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo», abbiamo ascoltato nella seconda Lettura (1Cor 1,3-9). E i carismi non sono doni strabilianti ma semplici ed essenziali doni di charis, di grazia.
C’è la grazia che oggi vi viene elargita, che vi inonda, per rendervi fedeli al ministero; e, in essa, c’è la grazia, la ricchezza speciale del servizio liturgico.
Sì, la Liturgia è ricchezza! Ricchezza da riscoprire, rivelazione e grembo della Presenza di Dio nella storia. La sospensione delle Liturgie e le restrizioni che, in parte, stiamo ancora vivendo a motivo della pandemia, confermano l’autenticità di tale ricchezza e ne ridestano la nostalgia. Conservate il senso del sacro, fatelo vivere con gioia e sobrietà nella Liturgia, vero tesoro della Chiesa.
Infine, lasciatevi sorprendere!
L’attesa apre sempre il cuore alla sorpresa e la sorpresa, se ci pensiamo bene, è dono da parte di chi ci conosce, è frutto di un’intimità di amicizia e amore.
L’ordine del diaconato è la tappa scelta dalla Chiesa per la promessa del celibato, dono dell’amore esclusivo e sponsale che Dio vi ha fatto.
Lasciatevi sorprendere da questo amore: custoditelo, consapevoli di aver ricevuto un dono immeritato, gratuito e fonte di tutte le sorprese; ricambiatelo con la cura dell’interiorità e la gioia, pur se a tratti può costare fatica, ma sorprendendo anche voi Gesù con il vostro amore e la vostra attesa. E l’attesa di chi ama così il Suo Signore si chiama preghiera!
Cari Luigi e Giovanni, carissimi fratelli e sorelle, «Vegliate e pregate», dirà Gesù nel Getsèmani (Mc 14,38). Sappiamo che i discepoli si addormenteranno per la paura e la debolezza; e pure noi, come loro, ci sentiamo deboli e vorremmo rifugiarci nel sonno, alle soglie di questo Avvento che ci coglie ancora in preda alle paure e incapaci di sperare nella sorpresa di Dio.
Ma la vera sorpresa è che Lui verrà: noi attendiamo la «manifestazione» di Gesù. La vera sorpresa è che è Lui che veglia per noi, nei nostri sonni e nei nostri Getsèmani. La vera sorpresa è che il Signore è vicino: che Lui, in realtà, non se ne è mai andato!
Il vostro ministero diaconale, cari Giovanni e Luigi, possa risvegliare a questa certezza coloro che sarete chiamati a servire. Il Signore vi benedica.
Santo Marcianò
[1]Francesco, Videomessaggio al festival della DSC, 26 novembre 2020