Omelia nella celebrazione in preparazione alla S. Pasqua con la Legione Carabinieri del Lazio

20-07-2016
Roma, Chiesa S. Maria del Popolo – 17 marzo 2016

 Carissimi fratelli e sorelle, è sempre una grande gioia, per me, potervi incontrare, in particolare in questo Giubileo della Misericordia. In questi momenti ci sentiamo in modo più intenso Chiesa, famiglia che opera insieme a servizio della grande famiglia umana. Sì, l’Arma dei Carabinieri è famiglia e questo è un valore aggiunto al vostro servizio, una sfumatura che vi caratterizza e che la gente apprezza in modo particolare. È quasi come a persone di famiglia che i cittadini si affidano a voi quando afflitti da problemi sociali, politici, economici; quando si trovano ad affrontare criminalità e violenza o quando paura e sfiducia paralizzino i rapporti civili o, purtroppo, anche le relazioni con le Istituzioni. E noi, Chiesa, impariamo anche da voi ad accogliere e proteggere, ad intercettare paure e bisogni concreti della gente, a lottare per la giustizia, la libertà, la legalità, la pace. Allo stesso tempo, sentiamo che la vostra missione di carabinieri cristiani si svolge “dentro” il grembo della Chiesa, si innesta nella missione della Chiesa. Quella Chiesa che, Papa Francesco lo ricorda continuamente con spirito di profezia, non si identifica con una porzione di “ministri del sacro”, non si circoscrive dentro edifici di culto, ma è «Chiesa in uscita», «famiglia in uscita». L’Arma è famiglia, la Chiesa è famiglia! E ciascuno di voi “è” Chiesa, “è” famiglia della Chiesa! È anche grazie a voi che la Chiesa raggiunge i suoi figli fin nelle più estreme periferie, verso cui il Papa continuamente ci spinge, esercitando la sua maternità, la sua fecondità.   La prima Lettura (Gen 17,3-9) ci mette dinanzi al mistero della fecondità, della paternità di Abramo. Sappiamo che egli, assieme alla moglie Sara, non riusciva ad avere figli ma Dio, paradossalmente, proprio nel tempo della vecchiaia gli promette una «discendenza», come segno concreto dell’«alleanza». La discendenza e l’alleanza sono categorie bibliche di estrema importanza: l’alleanza è con una persona ma è a nome di tutto un popolo; allo stesso tempo, un figlio è una singola persona ma Dio si esprime dicendo che renderà Abramo «padre di una moltitudine di nazioni». Si tratta della consapevolezza della risonanza sociale, quasi universale dell’agire umano. Anche se i gesti partono da una sola persona c’è, potremmo dire, una “universalità del bene”, così come c’è una “eternità del bene” che è feconda: «Se uno osserva la mia parola non sperimenterà la morte in eterno», dice Gesù nel Vangelo di oggi (Gv 8,51-59). Purtroppo, però, c’è anche una “universalità del male”. La lotta tra bene e male pone sempre una domanda decisiva: secondo quale via impostare la vita? Dalla risposta non dipende solo la nostra esistenza ma il futuro della nostra famiglia, della società, della fraternità umana. La risposta, infatti, tocca le radici della giustizia, della pace nel mondo; raggiunge quella terribile piaga del nostro tempo che, come Papa Francesco spesso denuncia, ha il nome di indifferenza. Siamo dinanzi a una «globalizzazione dell’indifferenza», egli grida, quasi riprendendo il grido di una grande donna della quale, da poco, è stata annunziata la data di canonizzazione il prossimo 4 settembre: Madre Teresa di Calcutta. «Il più grande male è l’indifferenza!», ella ripeteva, non solo a parole ma con una vita attenta ai più poveri, agli ultimi; e non riteneva sprecato nessun gesto di amore, anche i servizi più umilianti resi a un morente, pur di non far sentire nessuno “non amato”. È celebre la sua risposta a chi affermava che non avrebbe fatto quello che lei faceva neppure per un’ingente somma di denaro: «Neppure io!», rispose Madre Teresa. Non per denaro, dunque, solo per amore: per amore di Dio!   Papa Francesco, ricevendo qualche giorno fa i carabinieri della Compagnia Roma San Pietro, ha ricordato il Vangelo: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”, chiedendo che “questo insegnamento di Gesù sia di guida anche a voi, responsabili della tutela dell’ordine pubblico, e vi aiuti ad essere in ogni circostanza promotori di solidarietà, specialmente verso i più deboli e indifesi; ad essere custodi del diritto alla vita, attraverso l’impegno per la sicurezza e per l’incolumità delle persone”[1]. Bisogna, dunque, passare dall’indifferenza alla misericordia, con il concreto impegno nel servizio. Carissimi carabinieri, voi lo fate, con quello che il Papa stesso ha definito un “servizio impegnativo e indispensabile” anche per aiutare le persone “a rispettare le leggi che regolano la serena e armoniosa convivenza”, nonché per servire, quelle “svantaggiate”, a “trovare un prezioso aiuto nelle loro difficoltà”[2]! Penso al vostro servizio quotidiano nelle strade di questa splendida città di Roma e delle altre città della regione, alla vostra presenza nelle stazioni e nelle caserme dove siete, come dicevamo, parte della comunità civile; ma penso anche al vostro difendere le tante vittime della violenza, della tratta di esseri umani, soprattutto donne e bambini, come pure le vittime dei mercanti di morte che, per gli ingenti guadagni che il narcotraffico assicura, bruciano le menti e le volontà dei più giovani. Penso alla lotta sociale per vincere le cause remote dell’inequità, lottando contro l’ingiustizia, la frode fiscale, la criminalità organizzata, la corruzione. Penso al vostro proteggere l’ambiente, alla custodia della «casa comune», contro la quale l’uomo ha scatenato una guerra; e penso anche al vostro impegno in focolai di guerra che ancora, purtroppo, non si spengono. Penso, infine, al grande contributo che tutto il mondo militare ha offerto nell’accoglienza degli stranieri, sfida inattesa che assume sfumature di vera drammaticità. Non lo dimentichiamo: dove non c’è accoglienza non c’è misericordia, non c’è pace! Dove non c’è accoglienza c’è ingiustizia, discriminazione, violenza, morte! Ed è proprio la morte l’estremo a cui, presto o tardi, conduce la cultura del rifiuto e dello scarto. Lo continuano a testimoniare le vittime della guerra che, ormai – Papa Francesco lo ha recentemente spiegato -, non è più tanto «a pezzi» ma sta diventando unificata; e vittime di questa guerra sono anche quei migranti, profughi e poveri che fuggono da terre usurpate, violate, tinte di sangue, i quali spesso trovano ad attenderli il sangue che macchia le mani di chi li rifiuta, dei fratelli in umanità. Lo stesso Papa, nella preghiera dell’Angelus in queste domeniche, sta tornando a lanciare un grido in loro difesa, chiedendo che l’accoglienza dei profughi sia, una volta per tutte, condivisa dalla comunità internazionale[3] e sta incoraggiando iniziative concrete in loro favore, quali ad esempio i “corridoi umanitari”[4]. Tutto questo mentre, purtroppo, molti Paesi cosiddetti “civili” continuano ad organizzare difese concepite come muri da ergere, confini da chiudere, ruspe per “ripulire”…   Cari amici, civiltà, giustizia, difesa, accoglienza… sono, invece, termini indissociabili e voi lo testimoniate! “Possa la grazia del Giubileo straordinario della Misericordia rinnovare lo spirito con cui vi dedicate alla vostra professione, inducendovi a viverla con un supplemento di attenzione, di dedizione e di generosità”, vi ha augurato Papa Francesco; e io vi dico grazie di cuore per il vostro grande servizio che aiuta anche la Chiesa a essere, come Gesù, «Volto della Misericordia del Padre»[5].  X Santo Marcianò

Arcivescovo 

       


[1] Francesco, Discorso ai carabinieri della Compagnia San Pietro, 29 febbraio 2016
[2] Ibidem
[3] Cfr. Francesco, Angelus, 28 febbraio 2016
[4] Cfr. Francesco, Angelus, 6 marzo 2016
[5] Francesco, Misericordiae Vultus. Bolla di indizione del Giubileo della Misericordia, 1