15-05-2014
27 marzo 2014 – Roma, Ospedale Militare del Celio Carissimi fratelli e sorelle, rivolgo a tutti un affettuoso saluto, accompagnato dalla gioia di poter celebrare una ricorrenza così significativa in un luogo così significativo. In questa Eucaristia celebriamo il 40° anniversario della proclamazione di San Camillo a Patrono della Sanità militare che, quest’anno, si arricchisce della ricorrenza dei 400 anni dalla morte di San Camillo, il 14 luglio prossimo. A ricordo di questi eventi, benediremo una immagine del Santo che rimarrà nella Cappella di questo Ospedale Militare del Celio. Soprattutto, potremo in questi giorni venerare il cuore di San Camillo, preziosa reliquia pellegrina, offerta alla devozione ma anche alla contemplazione dei fedeli. Ed è proprio dal «cuore», dalla «contemplazione del cuore» che la Parola di Dio, incarnata nella storia di Camillo de’ Lellis, ci invita a ripartire. «”Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima” e con tutta la tua mente… “Amerai il prossimo tuo come te stesso”»: è quanto, nel Vangelo, Gesù risponde al dottore della legge che lo interrogava su quale fosse il più grande dei comandamenti. La risposta di Gesù ci invita a operare un passaggio dalla «legge» al «cuore»: potremmo dire, il passaggio dal “fare” al “dare”. «Il Signore ama chi dona con gioia», abbiamo cantato nel ritornello al Salmo 111; «Cristo ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli», ha riecheggiato san Giovanni nella seconda Lettura (1Gv 3,14-18). E questo vale per il rapporto con Dio, per il rapporto con i fratelli; questo vale per noi, per ciascuno di noi, in particolare per voi operatori della sanità. San Camillo operò in se stesso questo passaggio, trovando nel proprio cuore il luogo per passare da una vita fondata sulla mondanità, sulla ricerca di una rivoluzione da combattere con le armi, a una rivoluzione interiore che lo condusse a una vera e propria conversione. Era un uomo immerso nella mondanità del suo tempo, fedele al servizio militare che tanto lo coinvolgeva. Ma, in questa vita organizzata, in questa vita di successo, una piaga inguaribile, che sembrava averlo bloccato nella chiusa amarezza di un ospedale, lo portò a correre verso la santità. Sperimentò così quanto Isaia, con parole poetiche, dice nella prima Lettura, quando parla di una «ferita» che si rimargina condividendo il pane con l’affamato, saziando chi è digiuno, accogliendo i senzatetto… in una parola, di una ferita che si rimargina accorgendosi delle ferite degli altri. Da ferito, Camillo intuì come le ferite umane hanno bisogno non solo di «cure» ma di «cura»; come l’uomo ferito, malato, addolorato, povero, ha bisogno di uomini che si prendano in carico lui come persona, dunque che si donino a lui. E, se è vero che è proprio dei santi non solo intuire quanto risponde alle esigenze del proprio tempo, ma anche anticipare i tempi, è vero che l’intuizione e il carisma di San Camillo conserva oggi un’attualità straordinaria, per rispondere a quella che, senza temere di esagerare, possiamo considerare come “emergenza”, pure nel campo della sanità. È l’«emergenza antropologica», è la domanda su cosa sia l’uomo. Una domanda a cui, non dimentichiamolo, non è chiamata a rispondere solo la filosofia, la teologia, l’antropologia, ma certamente anche la medicina, la sanità; non ultimo, il mondo militare. Quando si dimentica di rispondere a questa domanda, di porsi questa domanda; o quando la risposta porta a squalificare o classificare l’essere umano secondo criteri di perfezione, produttività, utilità, piuttosto che a guardarlo come mistero nel quale immergersi e dinanzi al quale inchinarsi in tutte le circostanze e situazioni della vita, allora la missione umana, qualunque essa sia, fallisce inesorabilmente. È proprio vero: tutte le nostre missioni falliscono se l’uomo, ogni uomo, perde la centralità! Dunque: «Che cosa è l’uomo?». La sapienza biblica ripropone questa domanda in molti passi; lo fa ricordandoci che l’unità di misura con cui tale valore si stima non è quella con cui si misurano le cose, le ricchezze materiali, quanto piuttosto è simile al criterio con cui si tenta di esprimere la realtà di Dio: «eppure lo hai fatto poco meno di un dio» dice letteralmente il Salmo 8, chiedendo al Signore cosa sia l’uomo. Sì, cari amici: la domanda sull’uomo è la domanda su Dio! È una domanda che sgorga da ogni cuore umano, particolarmente dal cuore dei malati, degli abbandonati, dei rifiutati. È una domanda che esige l’evangelizzazione del dolore umano, di ogni sofferenza, alla quale voi operatori sanitari in particolare, ma tutti noi militari, siamo chiamati. La domanda su chi sia Dio, che spesso così struggente sembra sgorgare dal cuore di ogni sofferente, ha dunque una sola risposta: chi è l’uomo, chi sei tu. Dal modo in cui è trattato e considerato, l’uomo può percepire la grandezza non misurabile del suo valore, cioè il suo essere non “simile alle cose”, che quando vecchie, imperfette, inutili si scartano, ma il suo essere «poco meno di Dio»! È la risposta della dignità, che combatte decisamente quella «cultura dello scarto» denunciata a chiare lettere da Papa Francesco[1]. È la risposta della cura che non si arrende e non si arresta, neppure dinanzi alla malattia inguaribile o terminale, ma che trova sempre modo di offrire sostegno e consolazione. È la risposta della prossimità, la risposta del servizio, che è sempre urgente perché, come ha scritto Benedetto XVI, «la carità sarà sempre necessaria, anche nella società più giusta»[2]. Questo intuì concretamente e profeticamente San Camillo, passando dal servizio militare al servizio ai malati. Ed è bello, per noi, pensare come forse sia stato proprio quel «servizio», svolto da militare, a educarlo, maturarlo, prepararlo ad accogliere la conversione che il Signore, attraverso la sofferenza, ha fatto poi esplodere in lui, trasformandola in cammino di santità. Cari amici, come ho scritto nel Messaggio inviato per la ricorrenza di oggi, «mi convinco sempre di più di quanta possibilità e capacità di reale “servizio” – dei poveri, degli ultimi, dei sofferenti – sia racchiusa nella vita dei nostri militari. E penso che, in esso, proprio il mondo della sanità possa testimoniare e indicare un ulteriore servizio, una maturazione nel servizio, una pienezza del servizio. Dunque, una conversione!» [3]. È la “conversione antropologica”, che si fa passaggio dalla “legge” al “cuore”, dal “fare” al “dare”: un passaggio che non si attua contro la legge ma nel compimento della legge; che non ci porta a rinnegare il nostro servizio di militari ma a viverlo pienamente, come autentico servizio, come servizio alla vita: «a tutta la vita e alla vita di tutti»[4]. Così, la conversione diventa rivoluzione interiore e, come per San Camillo, può rivoluzionare profondamente il nostro ambiente e il mondo, portando l’unica rivoluzione necessaria, che Gesù ci ha indicato e insegnato e per la quale anche noi militari dobbiamo sempre di più imparare a combattere: «”Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima” e con tutta la tua mente… “Amerai il prossimo tuo come te stesso”». È la rivoluzione dell’amore. Che San Camillo ci aiuti a vincerla! E così sia. X Santo Marcianò
[1] Cfr. Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, n. 53
[2] Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas Est, n. 28
[3] Santo Marcianò, San Camillo: un «servizio» che converte!, Roma 27 marzo 2014
[4] Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium Vitae, n. 87