Omelia nella Celebrazione per la Festa di S. Agata con le Forze Armate

14-05-2014
30 gennaio – Catania
 
 
Carissimi fratelli e sorelle,
saluto con affetto tutti voi, venuti a ricordare S. Agata, una splendida figura di vergine e martire dei primi secoli della Chiesa, che in Sicilia, in particolare nella città di Catania, è venerata con tanta devozione. Saluto e ringrazio per l’invito l’Arcivescovo di Catania Mons. Gristina, slauto le autorità civili e militari, saluto i sacerdoti cappellani militari e tutti i militari presenti abbracciando ciascuno con affetto di fratello e di Padre..
La Liturgia della Parola oggi ci aiuta a contemplare S. Agata, meditando sul tema della fedeltà. La prima Lettura ci presenta Davide (2 Sam 7,18-19.24-29) il quale, nel Salmo responsoriale (Salmo 131[132]) cerca, in un certo senso, di attirare l’attenzione di Dio sulla sua fedeltà, provata da un giuramento: «Ricordati Signore di Davide… quando giurò». Davide è una figura biblica famosa e significativa. È un grande re, o meglio un re che diventa grande gradatamente, affrontando vari momenti di crescita e superando difficili prove. Egli, infatti, sperimenta la difficoltà concreta ad essere fedele ma sperimenta anche l’aiuto di Dio: è il più giovane della sua famiglia e diventa re; è il più piccolo e vince contro il gigante Golia; è fragilissimo, tanto da compiere un grave peccato di adulterio e conseguente omicidio, eppure tocca con mano la misericordia e il perdono del Signore.
Nel suo cammino, Davide impara che il segreto della sua non facile fedeltà sta nella fedeltà di Dio, come canta ancora il Salmo: «Il Signore ha giurato a Davide, promessa da cui non torna indietro». Davide ha giurato ma, prima ancora, Dio ha giurato: e il giuramento è un atto solenne, in cui ci si impegna in qualcosa, accada quel che accada, costi quel che costi. Così, Davide impara a mettere la sua fedeltà nelle mani della fedeltà di Dio.
 
Celebriamo, in questa Eucaristia, la Giornata delle Forze Armate e il tema della fedeltà è caro al mondo militare. Senza la fedeltà, una vita militare sarebbe non solo incompatibile ma dannosa. Sarebbe un contraddire quello scopo per cui esiste: pensando a un militare che non fosse fedele alla Patria, alla propria Arma, al proprio compito tocchiamo con mano la gravità del tradimento, le sue conseguenze pericolose e devastanti non solo per la persona che lo compie ma per molti altri, a volte per un’intera comunità o per una nazione…
La fedeltà diventa dono per gli altri e si concretizza col mettere in opera, nel dovere quotidiano così come nelle imprese eroiche, parole che sono state pronunciate in quell’atto solenne che è il giuramento e che traducono, se ci pensiamo bene, non solo cosa il militare deve fare ma chi deve essere: accada quel che accada, costi quel che costi.
La nostra esperienza, però, ci dice come sia necessario tanto lavoro personale e comunitario, tanta motivazione e tanta disciplina per accettare e vivere la fedeltà come valore, non semplicemente come forma, non in modo puramente esteriore. E questo, ovviamente, è vero per i militari ma è vero per tutti. In ogni lavoro, in ogni compito, in ogni vocazione, in ogni missione, scopriamo una fedeltà che ci interpella, ricordandoci il valore di impegni che abbiamo liberamente preso, di promesse che abbiamo fatto, di giuramenti che abbiamo pronunciato. La fedeltà, in un certo qual modo, si radica sempre su una parola data ma trasforma quella parola in “vita”!
Se si “è fedeli”, si è fedeli in tutto e si entra in una logica completamente diversa da quella che, nella nostra cultura utilitarista, pone il guadagno, il piacere, gli interessi personali, al di sopra della fedeltà alla parola data, ai rapporti di lavoro, alla politica, all’amicizia, al matrimonio, a Dio… E non possiamo negare che tutti, in fondo, sperimentiamo le devastanti conseguenze di questa cultura, soprattutto quando il tradimento della fedeltà ci tocca personalmente!
Come Davide, percepiamo che la fedeltà è cammino non facile ma necessario: come percorrerlo? Il Vangelo (Mc 4,21-25) offre due suggerimenti che riassumerei così: “lasciarsi illuminare” e “essere smisurati”.
 
Gesù, nel suo discorso, fa riferimento a una «luce» che non lascia nulla nascosto. Ma quale luce è in grado di illuminare così? È la luce della fede: la stessa parola «fedeltà» deriva dalla parola «fede».
Sì, la fede è una luce! È una luce che “si vede”: lo attesta, ad esempio, l’esperienza di San Paolo, il quale, mentre camminava verso Damasco per continuare le sue stragi di cristiani, vede una grande luce che lo fa crollare dalle sue certezze e arrendersi a Cristo, donandoGli la propria vita.
Ma la fede è anche luce che “ci fa vedere”, che illumina tutto di noi: il cuore e la mente, il corpo e lo spirito, la volontà e la libertà; è Luce che, se glielo permettiamo, ci tocca, ci invade al punto da far risplendere la nostra vera bellezza e da fare in modo che proprio le zone di maggiore debolezza, fragilità, peccato siano abbracciate, guarite… trasformate in fedeltà. S. Agostino colse questa Luce «rientrando in se stesso»; egli, scrive Papa Francesco nella sua prima Enciclica Lumen Fidei al n. 33, ci indica che la fede è, «per così dire, la luce di una parola, perché è la luce di un Volto personale, una luce che, illuminandoci, ci chiama e vuole riflettersi nel nostro volto per risplendere dentro di noi».
Cari amici, c’è un Volto all’origine della luce, c’è un Volto all’origine della fede e c’è un Volto all’origine della fedeltà. Come Davide, sperimentiamo che è perché Dio è fedele che noi possiamo essere fedeli; è perché Dio è fedele che noi dobbiamo essere fedeli.
La fedeltà è sempre rivolta a una persona: è una risposta a Dio che si fa responsabilità verso i fratelli.
 
È questa risposta che ci aiuta a concretizzare il secondo suggerimento del Vangelo: essere smisurati.
Gesù ci fa riflettere, potremmo dire, sull’«unità di misura» che siamo abituati ad usare nella nostra vita, nei rapporti umani, nel modo di vivere la fedeltà. E – attenzione, questo ci deve interrogare e sconvolgere – ci fa chiedere se è la stessa unità di misura con la quale noi vorremmo essere valutati!
Quante volte queste unità di misura ci condizionano o ci pongono sul piedistallo, ci bloccano nell’ira o nel giudizio, nell’invidia o gelosia, nell’odio che si trasforma in conflitti e guerre…
La fedeltà, invece, non sopporta unità di misura, non sopporta condizioni: neppure quella della fedeltà dell’altro. Di questo, però, è capace solo l’amore. Per vivere la fedeltà, dunque, è necessario unire la fede alla carità, trasformare la fede in carità. La carità è fede che si fa opera, azione, testimonianza. La vera fede, illuminandoci, diventa «luce» che illumina i fratelli attraverso la nostra carità. Ma questa carità – ecco il Vangelo – deve essere «smisurata».
Da una parte, cioè, deve metterci in gioco completamente, deve coinvolgere tutto di noi: la carità è donarsi completamente, senza egoismi o riserve, disposti a perdersi, anche a morire per l’altro. D’altra parte, questa carità non seleziona, non cede a quella che Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium (n. 53) chiama la «cultura dello scarto» che «esclude» gli altri, in particolare coloro che la nostra società individualista considera «avanzi»; ma oppone a questa la cultura della «fraternità». Se la fraternità invade la politica, la società, l’economia, come pure la famiglia, le relazioni umane, la Chiesa, diventa il «fondamento e la via della pace», come ha ricordato lo stesso Pontefice nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace.
Amare in modo smisurato significa dunque considerare tutti fratelli, anche i nemici. È una testimonianza eroica, affidata in modo forte a tutti i cristiani e in modo molto peculiare a voi militari che, operando dentro la cultura della guerra, cercate di trasformarla in cultura di pace, usando l’arma potente e disarmante della fraternità.
 
Sì, cari amici: fedeli a Dio, fedeli ai fratelli!
È quello che ha sperimentato la grande Santa che oggi celebriamo, Agata, la cui fedeltà all’Amore è arrivata fino al martirio. E mi piace pensare che il velo qui custodito, come preziosa reliquia, sia il segno trasparente e luminoso di questa sua fedeltà. Una fedeltà che, per sua intercessione, oggi vogliamo chiedere a Dio in dono: per i militari che ringrazio di cuore per il loro servizio, per questa splendida città di Catania e questa terra di Sicilia, per tutti noi.
E così sia!
 
 
X Santo Marcianò