Omelia Ordinazione diaconale di p. Rino Bernardini, ofm

28-10-2014
12.10.2014 – Basilica S. Sebastiano alle catacombe
Ordinazione diaconale di p. Rino Bernardini, ofm
 
 
Carissimi fratelli e sorelle,

l’immagine che questa domenica la Liturgia della Parola ci presenta è l’immagine della Festa: una festa di nozze. E siamo veramente in festa perché il nostro fratello Rino viene ordinato diacono, riceve il primo grado del sacerdozio. È un evento significativo, per la sua vita, per la vita della comunità dei francescani, per la Chiesa intera. C’è un dono che il Signore vuole fare e che Rino accoglie, all’interno di una vocazione religiosa nella quale egli da tempo camminava. Cosa accade, di preciso, nella Chiesa? Cosa cambia nella vita di Rino? Cosa significa, per un francescano, diventare diacono e, quindi sacerdote? Per capirlo bisogna entrare nella prospettiva della festa. Anzi, per essere precisi, di quella modalità di festa che si esprime nel banchetto. Certamente, la prospettiva escatologica ci fornisce una chiave interpretativa importante delle Letture di oggi; tuttavia, esse ci aiutano a penetrare in modo molto bello anche il senso della celebrazione odierna, offrendo una sorta di profilo del diacono. Si tratta, lo sappiamo, di un servizio che la Parola di Dio ci fa spiegare con tre parole: consolazione, annuncio, dedizione.   Consolazione. Il banchetto è l’immagine che nella prima Lettura (Is 25,6-10a) offre la profezia di Isaia: «grasse vivande, cibi succulenti, vini raffinati». Davvero un banchetto che sembra saziare la fame di ogni persona. Ma il centro di tutto il testo è racchiuso nelle parole: «Dio eliminerà la morte per sempre, asciugherà le lacrime su ogni volto». La festa che Dio prepara è la festa della vita, è il banchetto che riscatta dalle tante lacrime che rigano ogni volto sulla terra. È racchiuso qui il mistero della consolazione, quel mistero che è poi il cuore del ministero della carità. Sì, non basta sfamare, sembra dirci Isaia; e, se ci pensiamo bene, sembra quasi che non basti nepure liberare dalla morte. Come fa Dio, bisogna asciugare le lacrime! Penso che questo ministero della consolazione abbia segnato in modo speciale la storia della tua vita, caro Rino; penso sia stato davvero il cuore del tuo servizio ai malati, specie ai malati terminali dell’Hospice. Lì hai sperimentato che nulla conta se non si asciugano le lacrime; mi verrebbe da dire che non si comprenderebbe nemmeno la speranza della vita eterna. Lì hai imparato che la fragilità della nostra condizione umana ha sempre bisogno di una prossimità che, assieme al «vino della speranza», versi l’«olio della consolazione» sulle ferite dei fratelli. Ma lì tu hai anche compreso che, ad asciugare quelle lacrime, è Dio stesso; che è Lui il Buon Samaritano che si china sull’umanità dimenticata ai bordi della strada. Perciò, hai intuito che il tuo stesso servizio richiedeva un nuovo e più intenso rapporto con Lui, richiedeva una «consacrazione». È questo che oggi accade. Lo spirito di servizio apre sempre al «sì» a ogni nuovo servizio che il Signore ci chiede: lo spirito di servizio è davvero il senso di ogni consacrazione. “Vuoi essere consacrato al ministero nella Chiesa? Vuoi esercitare il ministero del diaconato a servizio del popolo cristiano?”, ti chiederò tra poco. Il tuo «sì» ricorderà a tutti noi che, nella Chiesa, consacrazione e servizio sono profondamente legate! E’ per il servizio, infatti, che si viene consacrati!   Annuncio. Nel Salmo responsoriale (Salmo 22[23]), il banchetto ci viene mostrato come una mensa particolare verso cui Gesù, Buon Pastore, ci conduce. È una mensa che coincide con i «pascoli erbosi» sui quali riposare; è una mensa che coincide con l’abitare nella stessa Sua casa; è una mensa nella quale l’olio e il vino non servono più alla guarigione ma all’«unzione», cioè alla stessa consacrazione. Si apre, lo comprendiamo, una relazione di intimità, nella quale l’ordinazione diaconale immette e che è il senso stesso del nutirmento che riceviamo da Dio. Secondo l’interpretazione dei Padri della Chiesa, infatti, i pascoli sono spesso identificati con la Parola di Dio, con la conoscenza, “ruminazione”, contemplazione delle Scritture. Ecco, Rino, questa intimità che il Signore oggi ti chiede e ti dona, questa pastoralità alla quale ti consacra è racchiusa nel dono centrale che ricevi – il Vangelo – ed è esplicitata dalle altre due domande: «Vuoi custodire lo spirito di orazione? Vuoi custodire il mistero della fede?». Sì. Nel Vangelo, Parola in cui è presente, Cristo stesso si consegna a te, per essere oggetto di una preghiera instancabile, di un ascolto obbediente, di un annuncio fedele. Non lo dimeticare mai: la fede esige la fedeltà e la fedeltà esige l’obbedienza. Questo è vero per la fedeltà ai tempi della preghiera, ma anche per la fedeltà alla Chiesa di Cristo, ai suoi insegnamenti, alla verità che essa ci insegna. «Custodendo» lo spirito di preghiera e «custodendo» il mistero della fede, tu in realtà, custodici Lui. Così, oggi diventi ministro della Parola, come il Buon Pastore, che non conduce le pecore a se stesso ma ai pascoli della verità. Ed è di questo, è della verità, è della Verità che è Cristo, che i fratelli hanno bisogno!   Dedizione Nel Vangelo (Mt 22,1-14), il banchetto è la festa di nozze, alla quale siamo invitati. E l’immagine delle nozze, inevitabilmente, richiama il senso della donazione totale che tu oggi esprimi con l’impegno del celibato. Se da religioso vivevi già il voto di castità, oggi questo tuo essere acquista una sfumatura più caratterizzante: è parte di una consacrazione, di un “ordine” attraverso cui il Signore ti fa vivere la dedizione a Lui e lo stesso servizio. Sì, il servizio. La parabola di oggi, in cui Gesù spiega il Regno dei cieli come un banchetto al quale siamo chiamati come «invitati», si potrebbe leggere in parallelo con la parabola della «vigna» a cui siamo mandati come «servi». Quello che Gesù vuole dirci è che essere servi e essere invitati è la stessa cosa! E, se ci pensiamo bene, anche quando Egli chiama i servi non li obbliga, li invita. Servi e invitati, dunque! Ma queste due verità apparentemente così lontane, questi due ruoli inconciliabili nella nostra cultura del successo e del potere, si possono identificare solo per chi capisce che il Signore non è solo il Padrone della vigna, non è solo Colui che invita alla festa: è lo Sposo! Sì, lo Sposo! Questo è il senso della castità, del celibato che viene concesso come dono, come carisma ai ministri ordinati e oggi anche a te, caro Rino. A te che stai accogliendo quell’invito a lavorare nella sua vigna che in troppi rifiutano. A te che stai indossando il vestito della festa, che molti ritengono superfluo e che è invece il segno gioioso dell’appartenenza a Dio con tutto il tuo cuore, il tuo corpo, i tuoi affetti; della dedizione totale a Lui che è anche dedizione incondizionata e universale ai fratelli, soprattutto a coloro che sono poveri, dimenticati, scartati dal mondo ma che diventano gli invitati alla festa di Dio.     Carissimi fratelli e sorelle, carissimo Rino, come vivere il mistero grande di questa consacrazione? Mi verrebbe di dire: fai come il “tuo” San Francesco. Chi, meglio di lui, ha saputo incarnare le parole di Paolo nella seconda Lettura (Fil. 4,12-14.19-20))? «Tutto posso in Colui che mi da la forza». Non lo dimenticare: il messaggio più forte di tutta la Parola oggi ascoltata si riassume nella parola più piccola: «in». Non devi vivere solo con Cristo e per Cristo ma «in» Lui. È quello che ha fatto S. Francesco per imitare Gesù. In Lui troverai la forza e il senso. In Lui, soprattutto, avrai da oggi una nuova esistenza. È il mistero della conformazione ed è questo che il diaconato e poi il sacerdozio permette. Tu hai sempre servito ma, da oggi, servi “in” Lui. «In»: questa parola, caro Rino, sia la Parola della tua vita! Una vita che tutti siamo chiamati a radicare in Cristo, amato sopra ogni cosa. In quel Gesù che oggi è Colui che ci invita a Nozze; è lo Sposo che ci avvolge con il Suo amore; è il festeggiato che ci chiama a servirLo. Ma è anche il Servo. Perché è Lui che prepara il banchetto ed è Lui che, un giorno, tutti passerà a servirci. E così sia!   X Santo Marcianò 2.      3.