Omelia S.Messa nella memoria di San Giovanni XXIII

28-10-2014
10 ottobre 2014, S. Messa nella memoria di San Giovanni XXIII

 Carissimi fratelli e sorelle, con grande commozione celebriamo oggi, per la prima volta dopo la sua canonizzazione, la Festa Liturgica di San Giovanni XXIII, con tutti voi rappresentanti dell’Esercito che saluto di vero cuore. Papa Giovanni è un Santo che tutti sentono vicino, soprattutto per sua la grande umanità. Ancor più, lo sentono vicino i militari, dei quali egli ha condiviso l’esperienza, da sottoufficiale dell’Esercito prima e poi da cappellano, nel tempo buio della prima Guerra Mondiale. Proprio quest’anno facciamo memoria del centenario dell’inizio di questo conflitto – anche se per l’Italia e per lo stesso Papa Giovanni l’entrata in guerra sarà nell’anno successivo – e proprio in quest’anno egli è stato canonizzato! Mi sembra una coincidenza significativa, che ci fa guardare a Papa Giovanni come a un Santo che potremmo quasi considerare un “Protettore della pace”. Come tutte le promesse di Dio, la santità non fa che portare a pienezza ciò che è già nell’umanità. E Papa Giovanni, forse proprio in quanto ha vissuto gli orrori della guerra, è stato un uomo di pace, un apostolo di pace, un innamorato della pace. Innamorato, sì. Al punto da credere con forza in una pace sempre possibile, in una pace che è dono di Dio ma che è anche impegno concreto, diuturno, faticoso e totalizzante per l’uomo. È questo amore, questo – direi – innamoramento per la pace che la Liturgia oggi sembra voler accendere nel nostro cuore. La pace come missione che, nel servizio militare, va presa sempre più sul serio e che, sempre più sul serio, va abbracciata come vocazione della Chiesa che è tra i militari. La pace che Dio ci dona e che sperimenta chi si lascia guidare da Lui: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla», canta il Salmista (Salmo 22 [23]), e con lui siamo consapevoli che Dio si mette accanto all’uomo per affrontare e superare ogni «valle oscura», anche la guerra. Credo risuonino ancora nel nostro cuore le accorate e chiare parole di Papa Francesco nell’omelia a Redipuglia, poco meno di un mese fa: «la guerra è follia» e «non guarda in faccia a nessuno»[1]! Dinanzi a questo grido, noi per primi sentiamo di dover fare qualcosa, qualcosa di più. Ci chiediamo, pertanto: –          Come la pace da Papa Giovanni? –          Come seguire le sue orme di santità? –          Come crescere in quella peculiare umanità che ha contraddistinto il suo essere e operare?   Umanità, santità, pace. Le Letture che abbiamo ascoltato sintetizzano queste tre parole in una figura e un verbo: il «pastore», chiamato a «pascere» le pecore. Nella nostra società industrializzata l’immagine appare forse desueta, poco eloquente, ma nella cultura ebraica essa aveva un’importanza centrale, vitale. Il pastore non è solo colui che aiuta le pecore a trovare i pascoli in cui prendere cibo ma è colui che si prende cura delle pecore al punto che espone la propria vita per custodirle, difenderle, salvarle. E mi piace pensare che si possa rileggere con questa chiave interpretativa anche la vita e la missione dei militari, in particolare dei militari cristiani, nella luce del loro servizio alla pace. La prima Lettura (Ez 34,11-16) ci mostra una serie di azioni tipiche del pastore, utilizzando, peraltro, verbi piuttosto comuni nel gergo militare: «cercare, passare in rassegna, radunare, condurre e ricondurre, fasciare e curare, pascere con giustizia…». Papa Giovanni è stato un pastore così. Papa Giovanni è stato un militare così! «In quattro anni di guerra, trascorsi in mezzo a un mondo in convulsioni, quante grazie del Signore per me, quanta esperienza, quante occasioni di fare del bene ai miei fratelli! Gesù mio ti ringrazio e ti benedico. Rammento le tante anime di giovani che ho avvicinate in questo tempo, delle quali molte accompagnate da me all’altra vita; e mi sento ancora commosso, e il pensiero che pregheranno per me mi dà conforto e incoraggiamento»[2]. Sono parole da lui scritte nel “Giornale dell’anima”, durante gli Esercizi Spirituali dopo il ritorno dalla guerra. Parole che ci commuovono e ci scuotono, perché se è vero che «la guerra non guarda in faccia a nessuno», è vero che, della guerra, il soldato e il prete Angelo Roncalli ricorda proprio le persone: le tante anime di giovani che ha incontrato e ha saputo guardare negli occhi, trasformando anche quel tempo di terrore in occasione per incontrare e far del bene ai fratelli, in un tempo per benedire Dio! Cari amici, l’umanità e la santità del Papa buono sono state una potente arma di pace, che egli ci insegna e che forse ha appreso specialmente durante il servizio militare; in un certo senso, proprio dai militari. In un Discorso tenuto ai cappellani in congedo, egli stesso lo confessa: «Mai come allora sentimmo quale sia il desiderio di pace dell’uomo, specialmente di chi, come il soldato, confida di preparane le basi per il futuro col suo personale sacrificio, e spesso con l’immolazione suprema della vita»[3]. Il sacrificio e l’immolazione della vita: sono queste le “armi” che Giovanni XXIII ha imparato da militare e che gli faranno guidare la Chiesa intera su sentieri di pace. Ma come giungere a questa capacità?   Lo svela il Vangelo (Gv 21,15-17): in una scena ambientata sulle rive dolcissime del Lago di Galilea, che possono diventare terribili quando agitate dalla tempesta, sulla bocca di Gesù risuona un interrogativo e un imperativo, rivolto a Pietro: «Mi ami? Pasci». I due si sono ritrovati dopo la passione, morte e risurrezione di Gesù, dopo il tradimento di Pietro. Certamente l’apostolo si aspettava un rimprovero del Maestro, forse non desiderava altro che chiedere perdono, certo voleva capire qualcosa in più di ciò che era accaduto… Invece, Gesù parla semplicemente d’amore, con un’espressione così intensa – «Mi ami?» – che lo stesso Pietro riesce a rispondere solo: «Ti voglio bene». Che bello poter fare la medesima esperienza quando, affranti dal peccato, dall’errore, dall’egoismo che ci allontanano da Lui, comprendiamo che Dio non aspetta altro che il nostro amore! Ma questo amore, così forte e intimo, non rimane tra Gesù e Pietro. «Pasci le mie pecore»: è la declinazione, la concretizzazione dell’amore. E là dove ci sono delle pecore da pascere, da cercare, da radunare, da seguire… bisogna ricordare che queste pecore sono di Cristo. È Lui, cari amici, che pianta il germe della pace nel cuore dell’uomo. «Pasci» significa anche: aiuta l’uomo a trarre fuori dal suo cuore il desiderio della pace che in esso è nascosto. Un desiderio che è germe da coltivare, da nutrire e che ti accomuna a lui nell’umanità. È questo il segreto di Papa Giovanni, che trasforma dal di dentro la logica della guerra, sempre arroccata su una mentalità dello scarto dell’uomo, e riporta alla luce il vero fondamento della pace: «il principio che ogni essere umano è persona»[4]. Mi piace pensare che «i ricordi» che Papa Giovanni riferiva delle «esperienze di vita militare» fossero, come egli stesso diceva, «incancellabili e profondamente umani» e rappresentassero una via per «penetrare sempre più a fondo nell’animo umano»[5]. Ciascuno di noi dovrebbe poter dire così! Lo stesso uomo che voleva vincere i difetti della sua personalità per educarsi alla pace, lo stesso militare che sapeva avvicinare le anime di altri giovani come lui, lo stesso cappellano che era riuscito a percepire i sentimenti di pace egli altri militari… diventerà il pastore buono, capace di mettere gli occhi negli occhi degli assassini nel carcere di Regina Coeli, ma anche capace di imporre la sua voce mite e forte dinanzi ai potenti della terra, risolvendo con un radiomessaggio la terribile minaccia della crisi di Cuba. Diventerà il “Santo della Pace”!   Cari fratelli e sorelle, La pace nasce dal cuore umano, lì si vince la guerra. Sono certo che ciascuno di noi sente risuonare nel proprio cuore questa verità che interpella concretamente anche le potenzialità educative e le scelte del mondo militare.  Mi piace chiamarvi angeli e custodi di pace. Lo sento in modo forte anch’io, che proprio oggi celebro il primo anniversario della mia Nomina a Ordinario Militare, ringraziando con tutto il cuore Dio e rinnovandogli con umile amore il desiderio di servire questa Chiesa, di pascere le pecore che amo con amore di padre. Come un anno fa, sento con chiarezza che questo mio ministero è una particolare missione di pace, che il Signore affida a me e a tutti voi, per compiere la quale possiamo contare sull’aiuto e l’intercessione di Papa Giovanni, del nostro San Giovanni XXIII! A San Giovanni XXIII, affido oggi me stesso, l’Esercito Italiano, le Forze Armate, chiedendo che insegni anche a noi a saper tirar fuori dall’uomo la pace, «futuro della guerra»[6]! Che come militari, come uomini, come santi, siamo capaci di credere in essa, sacrificando e, se necessario, immolando la vita per difenderla e costruirla. Grazie per il vostro coraggio, grazie per il vostro impegno, grazie per il vostro amore per l’uomo-fratello. E così sia!         X Santo Marcianò


[1] Francesco, Omelia al Sacrario Militare di Redipuglia, 13 settembre 2014
[2] Giovanni XXIII, Il Giornale dell’Anima, 28 aprile – 3 maggio 1919
[3] Giovanni XXIII, Discorso ai cappellani in congedo, Grotta di Lourdes, Giardini Vaticani, 11 giugno 1959
[4] Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, n. 5
[5] Giovanni XXIII, Discorso ai cappellani in congedo, Grotta di Lourdes, Giardini Vaticani, 11 giugno 1959
[6] Santo Marcianò, Lettera “Il Dio che stronca le guerre”, settembre 2014