Omelia S. Messa presso la Chiesa S. Maria in Ara Coeli – Festa San Giovanni XXIII, 10.10.2019

10-10-2019

Carissimi fratelli e sorelle,

il giorno dedicato a San Giovanni XXIII è una festa per tutti i militari dell’Esercito Italiano, che saluto con affetto grande.

La nostra è una Festa che, come militari e come Chiesa, abbiamo sempre celebrato, anno dopo anno con sempre maggiore intensità. Lui è stato nominato vostro Patrono. A lui è stata intitolata la Scuola Allievi Cappellani Militari, dove si formano i nostri sacerdoti. A lui, lo scorso anno, abbiamo avuto la gioia di dedicare una Chiesa in Libano.

Sì, Papa Giovanni è proprio “uno dei nostri”; è un amico, fin da quando, militare e poi cappellano, ha servito questa Chiesa.

C’è stata dunque una maturazione della nostra relazione con lui: allo stesso modo in cui accade con gli amici o le persone care, che rappresentano punti di riferimento per la nostra vita, il tempo rafforza il legame, approfondisce la confidenza, accresce la gioia di stare insieme. E non ci fa paura parlare di amicizia: nella logica della comunione ecclesiale, i santi – tanto più i santi Patroni – sono compagni di cammino, assicurando la presenza e l’aiuto. Così, egli vi aiuta a leggere le situazioni concrete, per poter rispondere in modo coerente alla vostra vocazione di servitori dello Stato, dell’uomo, della pace.

Sappiamo quanto non sia semplice questa vostra missione. Non è semplice il servizio che voi uomini e donne dell’Esercito Italiano siete chiamati a svolgere, nelle diverse circostante storiche, politiche, sociali, che vi impegnano in grandi città o piccoli centri, in teatri operativi come in incarichi di alta precisione scientifica, nelle emergenze e catastrofi naturali e in posti di comando. Non è semplice affrontare tutto ciò, considerate pure le situazioni personali e familiari di ciascuno; e non è semplice, al contempo, mantenere uno sguardo lucido sulle grandi sfide che la società pone e sui bisogni autentici della gente.

Con un gesto di profonda amicizia e confidenza, vorremmo quasi provare a interrogare Giovanni XXIII, per farci illuminare e consigliare, su come vivere con coerenza e serenità la vostra vocazione di militari. Da pastore e da padre, egli ci consegnerebbe senz’altro la Parola di Dio, che risponde con sorprendente contemporaneità. Nella prima Lettura (Ez 34,11-16), infatti, il profeta Ezechiele mostra i disagi che il popolo di Israele sta vivendo e che rispecchiano tante storie del nostro tempo. A questo popolo, dunque anche a noi, Dio risponde con una promessa, nella quale occorre credere.

 

Siamo anzitutto davanti a un popolo esiliato, che vive fuori dalla propria Patria, in mezzo ad altri popoli.

Tante sono ancora oggi le storie dell’esilio di persone e popoli costretti a fuggire dalla Patria; e tante sono le situazioni in cui la Patria non sembra più Patria, la casa non è più casa. Penso a popoli oppressi dalla violenza e dalle guerre, soprattutto quelle dimenticate; a popoli poveri ricattati da Paesi ricchi, a Nazioni avvelenate da violenze intestine e guerre fratricide; a popoli che non hanno conosciuto la libertà di pensiero, di parole, di scelte, e si trovano a subire il potere di vecchi e nuovi totalitarismi… Penso alle tante situazioni, a noi più vicine, in cui la Patria non si interessa dei cittadini e del loro sostentamento, della difesa di diritti primari come la vita, la cura o la dignità del lavoro, a Stati in cui viene meno l’equità e il bene comune, la giustizia e la pace.

A questo popolo Dio promette una casa e promette un «pascolo», una «mensa», lo abbiamo cantato anche nel Salmo 22 (23). Dio promette di mandare uomini che difendano la giustizia, la legalità, i diritti dei popoli, che sfamino gli affamati promuovendo il bene comune, la difesa della vita e della dignità umana.

Dio promette un pastore, come fu Papa Giovanni. Egli ha conosciuto la guerra, l’ha vissuta in prima persona da soldato e da cappellano militare. Egli ha accettato di iniziare il suo ministero di vescovo lontano dalla Patria, tra popoli di diversa cultura e religione – in Bulgaria e Turchia, dove fu Nunzio Apostolico, i cristiani erano una minoranza – e ha saputo capire e accompagnare anche popoli che per lui sembravano stranieri.

È anche il vostro compito, cercare di rispondere alla promessa di Dio per il popolo, difendendolo e promuovendo la giustizia e la legalità, anche in contesti in cui siete lontani dalla Patria e vi trovate in condizioni di minoranza incompresa, talora anche minacciata. Non dimenticate di essere sempre per la gente, per il popolo: questa è la vostra forza, come fu per Giovanni XXIII.

 

Il profeta parla poi di un popolo disperso, frammentato, che soffre la solitudine e la paura.

Quanta divisone, quanti conflitti, quanta difficoltà di comunicare, in questo nostro mondo ricco di connessioni ma povero di autentiche relazioni!

Un mondo in cui non ci si riconosce popolo perché non si riconosce il volto del fratello, perché l’altro è la causa della paura e rappresenta una minaccia: minaccia al benessere, all’ambizione della carriera, alla tranquillità della vita; l’altro è il padre che invecchia, il figlio che non si desidera, il collega che disturba… l’altro, per l’organizzazione socio politica, può essere il malato, il portatore di handicap, ogni persona che si ritenga non “produttiva”… Un popolo frammentato, che non si riconosce più come popolo e che dunque non può comprendere il senso dello Stato, delle Istituzioni, del bene comune, della fraternità.

A questo popolo Dio promette che sarà radunato, riunito. Che sarà «un solo corpo», dice Paolo nella seconda Lettura (Ef 4,1-7.11-13). È un’immagine bella, che la Chiesa utilizza per descrivere la comunione tra persone diverse, tra diversi compiti e vocazioni; un’unità vitale, come un corpo i cui tutte le membra sono necessarie e per il cui benessere è necessario il benessere di ciascun membro.

Anche il mondo militare utilizza questa immagine significativa: essere un “corpo”, una “famiglia”. E Papa Giovanni ve ne insegna l’arte.

Egli ha saputo essere fratello, amico, padre, anche per i non cristiani, per i carcerati e per i malati, per i poveri e per i potenti. Ha saputo vincere i conflitti grandi della storia con l’immediatezza semplice del dialogo nel quale si comprometteva personalmente, diventando così una vera e propria icona di pace. Scegliendolo come Patrono, voi avete confermato quanto l’impegno dei militari italiani sia a servizio della pace, con la promozione del dialogo e la custodia di ogni persona, ma anche con l’attenzione e la cura a mantenere il clima di corpo, di famiglia, nei luoghi della vostra quotidianità: nelle scuole, nelle caserme, nelle unità operative…. Un clima nel quale, certamente, è essenziale l’impegno dei superiori ma è importante l’apporto dei cappellani militari, posti a servizio non solo delle vostre persone e delle vostre famiglie ma anche di quella comunione d’amore che sta al cuore della Chiesa.

 

Infine, Israele è un popolo in cui tante pecore si smarriscono, si perdono; in cui il male lavora, inquinando il cuore umano. Questo ci fa pensare a tante storie di violenza, agli uomini più difficili che incontrate sul vostro cammino, ai criminali più incalliti e pericolosi. Ma questo ci fa pensare pure a come ciascuno di noi possa smarrire il cammino, può fare l’esperienza del peccato e del rifiuto di Dio.

La risposta di Dio è la misericordia, è il “prendersi cura”, il “farsi carico” delle situazioni, come fa il pastore con il gregge. So che non è facile, ma talvolta le persone più violente, più difficili, sono quelle che necessitano di maggiore aiuto, di qualcosa in più della norma punitiva, pur indispensabile e giusta. E mi piace ricordare come Papa Francesco, incontrando i carcerati, riconosca spesso che, se egli non si trova nella stessa situazione, è forse perché ha avuto una vita più facile, una famiglia più armoniosa, perché ha ricevuto amore…

La risposta di Dio sta nella vicinanza, nel recupero delle relazioni personali e della nostra relazione con Cristo: «Tu sei con me», dice il Salmista; «Tu sei il Cristo» grida Pietro nel Vangelo (Mt 16,13-19).

Facendo l’esperienza del peccato e della misericordia di Dio, diventiamo capaci di quel di più che, senza assolutamente giustificare o depenalizzare il male, non perde l’umanità e la capacità di sperare che ogni persona possa essere toccata dalla Grazia del Signore.

Cari amici, il colloquio tra Gesù e Pietro, colui che poi lo rinnegherà, è commovente: «Tu» sei il Cristo, «tu» sei Pietro. Si danno del “tu”: è la radice della santità!

Sì. Nei tempi più bui della storia, Dio suscita i santi, suscita pastori che accompagnano il gregge. E la figura del pastore non è casuale o bucolica; nella cultura rabbinica, il pastore è colui che vive per la salvezza del gregge e, proprio per questo, affronta pericoli enormi, tanto da poterci rimettere la vita.

È il dono che tanti militari hanno elargito al mondo, rendendo la vostra storia sempre più ricca di amore, di dedizione, di santità. Quella santità sulla quale Papa Giovanni ci precede e ci accompagna, come Patrono e padre, fratello e amico.

Lui ci benedica. E così sia!

Santo Marcianò