Ordinazione diaconale di Cosmo Binetti e Marco Falcone

26-10-2019

Roma, Basilica S. Croce in Gerusalemme, 26 ottobre 2019

Carissimi, è un grande dono essere qui, in questa Basilica ricca di arte e di storia, che ospita le Reliquie della Santa Croce: il simbolo più prezioso per la vita cristiana, simbolo di un amore che arriva fino alle profondità dell’essere e vince la morte.

È la vittoria dell’amore, è la vittoria della vita! La vittoria di una vita il cui senso unico è l’amore.

La Croce ci dice proprio questo: che è possibile amare fino a dare la propria vita. E ciò accade quando nulla di noi stessi si sottrae all’amore, quando amiamo con l’anima, con la ragione e la volontà, con i sentimenti e il corpo… Tutto di noi entra nell’amore perché in tutto siamo fatti per amore. E quando amiamo così, accade che questo amore dona vita all’altro: al fratello, all’amico, allo sconosciuto e perfino al nemico. Diamo vita, diamo vita a coloro che ci sono affidati, a coloro che siamo chiamati a servire, a coloro che ci odiano, a coloro che fanno della violenza il loro modo di vivere, perché non hanno conosciuto l’amore. Doniamo vita, perché doniamo amore!

Lo sapete per esperienza voi, carissimi militari, come solo l’amore, con il quale si svolge il proprio servizio di difesa e custodia della vita umana, sia capace di vincere sulla violenza che semina odio e terrore, sull’incuria dell’ambiente e sull’illegalità, sulla logica dello sfruttamento e dell’indifferenza che scarta e uccide le persone…

Lo sapete tutti voi che cercate di vivere il quotidiano dono di voi stessi in famiglia, negli ambienti di lavoro e di svago, nella comunità ecclesiale.

E lo sapete bene voi, carissimi Cosmo e Marco, ai quali va l’abbraccio più speciale di tutti noi, assieme alle vostra famiglie, alle vostre comunità di origine, ai tanti parenti a amici che vi sono vicini in questa Celebrazione nella quale sarete ordinati Diaconi per la nostra Chiesa dell’Ordinariato Militare, dopo un cammino lungo e intenso ma anche entusiasmante e gioioso di preparazione presso la Scuola Allievi Cappellani Militari, il nostro Seminario. Un cammino nel quale siete cresciuti giorno dopo giorno, come testimoniano i vostri superiori e formatori e come io stesso ho potuto constatare, nella logica della Croce: cresciuti nella fede, nella speranza, nell’amore; nella capacità di stare con gli altri e di vivere per gli altri; nell’apertura del cuore alla proposta formativa e, soprattutto, all’amore infinito di Dio.

È questo amore il segreto della Croce, il mistero della Croce; la bellezza attraente della Croce, della quale siamo chiamati a testimoniare la potenza salvifica di Risurrezione. È questo amore il segreto della vostra vocazione, della chiamata di Dio, al quale avete risposto e rispondete oggi in modo particolare. Sì, è Lui che si è rivolto a voi, che vi ha guardati con misericordia e predilezione, e ha fatto udire la Sua voce nel cammino della vostra vita.

Si è rivolto a te, Cosmo, nel pieno del tuo impegno di militare in Marina: una vita che amavi e vivevi con coinvolgimento e dedizione; e proprio quella dedizione, che sembrava coinvolgerti completamente, ti preparava a un altro «Sì», quello della donazione totale a Cristo per amore dei fratelli. E Dio si è rivolto a te, Marco, che conducevi un’esistenza diversa, di giovane che si interrogava sul proprio futuro in un contesto di fede, in particolare attraverso il cammino e il servizio svolto in parrocchia.

Due storie diverse ma unite dall’amore di Dio e per Dio; un amore che vi ha spinto a guardare i nostri militari come Lui li guarda. Sì, voi, che siete stati anzitutto guardati da Gesù, vi siete accorti di come Gesù guarda l’uomo e avete desiderato che questo diventasse anche il vostro sguardo d’amore. Tu, Cosmo, te ne sei accorto dal di dentro della vita militare; hai sentito che proprio il grande amore che portavi a questa realtà sarebbe potuto crescere in modo straordinario, arrivando a imitare l’amore di Cristo, anzi a far posto in te all’amore con cui Gesù amava i tuoi colleghi, i tuoi superiori, tutte le persone che il servizio ti poneva davanti. E tu, Marco, ti sei fatto attrarre dalla realtà dei militari perché hai sentito che la tua esistenza avrebbe trovato senso nel condividere la loro vita, nel sostenere il loro cammino umano e spirituale, nel servirli, con la forza e la luce del Vangelo che già stavi imparando ad amare.

Servire! Ecco la parola chiave del ministero del Diaconato, ecco la parola chiave della Croce!

Per questo, è davvero un grande dono che la vostra Ordinazione si celebri in questa Basilica, che vi consegna la Croce come via del vostro cammino, come immagine del vostro servizio,come sostegno nella “fatica” del dono di se. Un servizio che anche il Vangelo (Lc 18,9-14) di questa domenica spiega in un modo indimenticabile. La Parabola che Gesù racconta sembra porre una domanda riguardo la qualità della nostra preghiera: la mia è la preghiera del fariseo o è la preghiera del pubblicano?

Ma questo interrogativo ne cela un altro: la qualità della loro, della mia preghiera è, in realtà, la vita. Dire “come preghi?” significa dire “come vivi?”, significa dire “come servi?”

Il fariseo parla a Dio ma, in realtà, “si parla addosso” e guarda se stesso. Ha la «presunzione intima di essere giusto», dice Luca; e questo è terribile perché significa, se ci pensiamo bene, che egli non coglie in sé la possibilità del peccato neppure scendendo nella propria interiorità, esaminando a fondo la propria coscienza. In un certo senso, egli si crede “Dio” ma, in realtà, non si percepisce in relazione con Dio. E dove non c’è relazione con Dio non c’è preghiera; dove non c’è relazione con Dio non c’è servizio!

Il fariseo guarda gli altri, guarda al pubblicano ma, in realtà, non li vede. Mette le distanze, prende le misure, autocelebrando la propria superiorità. Non si relaziona con loro, non coglie i loro veri bisogni ma li classifica dietro proprie definizioni e convinzioni. Non lo dimenticate: da una preghiera egoista, presuntuosa, autocentrata, scaturisce una relazionalità povera, un’incapacità di comunione, un vuoto di carità; scaturisce la paralisi del servizio.

La preghiera del pubblicano, al contrario, è tutta relazione. Egli, potremmo dire, tende a scomparire, e non per falsa modestia o per disprezzo di sé, ma per amore; proprio per l’amore con cui è rapito dalla contemplazione di Dio, che è poi la radice di quell’umiltà necessaria al servizio.

Vedete, l’umiltà profonda e vera nasce dalla contemplazione e alimenta la contemplazione: «La preghiera del povero attraversa le nubi», dice il Libro del Siracide (Sir 35,15b-17.20-22); il vero mistico non è mai superbo. L’umiltà vera è un cadere in ginocchio davanti a Dio, consapevoli certamente dei propri limiti ma, prima ancora, della sua misericordia, della sua pietà, del Suo Amore. Consapevoli del proprio essere “terra” – humus è la radice della parola umiltà – ma quella terra nella quale, al momento della Creazione, Dio ha soffiato il Suo Spirito donandoci la vita e, con essa, tutti gli altri doni: prima di tutto il dono di essere a Sua immagine e somiglianza.

Il fariseo non si accorge dei doni e non chiede doni da Dio: egli crede di avere tutto, di essere tutto. Il pubblicano, al contrario, chiede. La sua preghiera, commenta ancora il Siracide, non «si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto». Il pubblicano chiede e continua a chiedere perché sa che Dio è l’origine di ogni dono. Egli chiede la «pietà»: chiede il perdono dei propri peccati ma, ancor più in profondità, chiede per sé quello che Dio prova, quello che Dio sente. Chiede che al suo sguardo e al suo cuore vengano concessi «gli stessi sentimenti di Cristo Gesù».

 

Cari Cosmo e Marco, chiedetelo anche voi, oggi, e con umile tenacia; chiedete in dono i sentimenti del Cuore di Cristo.

È il cuore del sacerdozio, verso il quale il Diaconato vi conduce. Ma è anche il cuore del ministero del servire che oggi la Chiesa vi elargisce.

Quello del Diacono, infatti, non è un servizio fatto semplicemente di opere. Certamente, è un servizio di carità concreta, di attenzione ai poveri, di cura dei bisogni primari delle persone, dei vostri amati militari e delle loro famiglie. Ma è un servizio che, come dice Paolo nella seconda Lettura (2 Tm 4,6-8.16-18), deve «portare a compimento l’annuncio del Vangelo», affinché tutti possano ascoltarlo. E vivere il Vangelo significa vivere per Cristo, come Cristo, in Cristo.

A questo vi abilita il Suo stesso amore, al quale oggi rispondete in modo più totale anche con la castità del celibato, segno di un cuore innamorato, di un amore che vi ha conquistato totalmente, fino a coinvolgere la dolcezza dei sentimenti e il dono del corpo.

A questo vi abilita la

Grazia che il Signore vi dona nell’Ordinazione, che sarà la vostra forza, il sostegno nelle difficoltà, la fecondità gioiosa del ministero.

A questo vi abilita la preghiera umile, continua e fiduciosa, come quella del pubblicano. Rimanetevi fedeli ogni giorno, con dedizione, e sperimenterete che da essa nasce ogni dedizione. Nasce la capacità gioiosa di servire i vostri amati militari con le mani di Cristo, di guardarli con gli occhi di Dio, di amarli con il Cuore stesso di Gesù che, sulla Croce, ha dato la vita per loro, per noi, per voi.

Il Signore vi benedica. Buon cammino!

Santo Marcianò