Carissimi, la Memoria della Beata Vergine di Lourdes ci offre, ogni anno, la possibilità e la grazia di celebrare la Giornata Mondiale del Malato. È una ricorrenza importante nella vita della Chiesa, iniziata esattamente 30 anni. Nata dall’intuizione spirituale di San Giovanni Paolo II il quale, nella malattia e nella sofferenza, ha avuto quasi un filo conduttore della sua vita. E mi piace, in questo giorno, chiedere la sua intercessione affinché, come operatori sanitari, siate aiutati a cercare e trasmettere il “senso” della sofferenza; a essere, come lui, persone di speranza, nella sofferenza e grazie alla sofferenza.
La parola “senso” non va travisata, spiritualizzata. Non è facile soffrire, non è facile veder soffrire: accompagnare, curare, sopportare le sofferenze altrui, quelle che, come medici e operatori della salute, vi provocano nella pratica clinica e nell’intelligenza della ricerca, nella pazienza dell’azione quotidiana, nella fatica a volte spropositata, non di rado anche nel rischio. La storia di tutte le culture e religioni ha sempre trovato, nella vocazione del medico, quel “di più” che, alla fine, rimanda “oltre”, assumendo valenza “trascendente”.
Tutto ciò, dicevo, non ha nulla di spiritualistico. Lo ricorda proprio il Messaggio di Papa Francesco per questa XXX Giornata Mondiale del Malato, ispirato alla misericordia – «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36) – ma con al centro un verbo che vorrei oggi coniugare con voi: «Toccare». «Le vostre mani che toccano la carne sofferente di Cristo possono essere segno delle mani misericordiose del Padre». E il Papa rivolgendosi «ai medici, agli infermieri, ai tecnici di laboratorio, agli addetti all’assistenza e alla cura dei malati, come pure ai numerosi volontari che donano tempo prezioso a chi soffre»; e aggiunge: «Siate consapevoli della grande dignità della vostra professione, come pure della responsabilità che essa comporta»[1].
Toccare è per voi un verbo importante. Senza toccare il malato, ad esempio, il clinico non potrebbe fare diagnosi, il chirurgo non potrebbe operare, il fisioterapista non aiuterebbe … ma la Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci aiuta ad approfondire ulteriormente il senso del toccare, secondo tre significati: sentire; accarezzare; esporsi.
«Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo».
Nel Vangelo (Lc 1,41b-55), Elisabetta, incontrando Maria che porta Gesù, sente esultare il piccolo Giovanni nel suo grembo. A pensarci bene, mi sembra si tratti di un sentire mediato da qualcosa che tocca: un bimbo, nel grembo, scalcia o «sussulta», come dice il testo greco, utilizzando un verbo che significa quasi “saltare” di gioia.
Elisabetta sente toccando e tocca sentendo. Tocca e sente il figlio nel grembo, tocca e sente la vita vivere in lei.
Ecco, toccando i malati, i sofferenti, voi siete chiamati a sentire la vita: non semplicemente un organo, una patologia, un difetto… ma la vita di quella singola persona. Quella vita di cui siete a servizio, conservando il compito altissimo di custodirla, curarla, prendervene cura. Questo è il vostro compito.
Ed è paradossale parlare di vita come “problema”, come tema oggi scottante, specie nel nostro Paese; tema sul quale il Papa è ritornato due giorni fa nella catechesi su San Giuseppe, spingendo a evitare «l’accanimento terapeutico» e incoraggiando le «cure palliative», senza tuttavia «confondere questo aiuto con derive anch’esse inaccettabili che portano a uccidere. Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio», ha esortato, chiedendo di privilegiare «il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati. La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico – ha concluso Francesco – riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti»[2].
Sentire la vita, dunque. Sentire che quella che noi tocchiamo, che voi medici toccate, è la vita unica e irripetibile di un essere umano ed è la carne di Cristo.
Non lo dimenticate: dare la morte, anche qualora fosse possibile per legge, andrebbe contro il senso del vostro operare e del vostro essere! Continuate a difendere la vita, dall’inizio e fino alla fine; continuate a insegnarlo, a un mondo che ne ha smarrito il valore e a noi tutti.
Nella prima lettura Isaia ha usato immagini profonde: «I suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati. Come una madre consola un figlio così io vi consolerò».
Nella prima Lettura (Is 66,10-14c), il profeta Isaia spiega come la misericordia passi attraverso le nostre mani quando «toccare» diventa «accarezzare». Scrive il Papa nel messaggio per questa giornata: «Anche quando non è possibile guarire, sempre è possibile curare, sempre è possibile consolare, sempre è possibile far sentire una vicinanza che mostra interesse alla persona prima che alla sua patologia», e si auspica «che i percorsi formativi degli operatori della salute siano capaci di abilitare all’ascolto e alla dimensione relazionale»[3].
È proprio vero: toccare è anche entrare in relazione; e il modo in cui tocchiamo un malato, la sua carne e il suo dolore, mette in luce quella relazione che, da sanitari, sappiamo instaurare con il paziente. Consolare, in fondo, non significa trovare le parole adatte, magari le frasi a effetto; significa esserci, nella solitudine di chi soffre, e farlo come una madre, con viscere di misericordia.
A questo bisogna «formare» i giovani; bisogna, cioè, aggiungere alla trasmissione di competenze, potremmo dire, il senso di un “tatto” legato all’ascolto. Giovanni ha esultato quando, dice Elisabetta a Maria, «la voce del tuo saluto è giunta ai mei orecchi». Sentire è anche ascoltare il malato con la sua storia, il suo dolore, le sue richieste, le sue paure… una capacità che solo l’amore assicura.
Nel salmo abbiamo cantato: «Con prontezza hai esposto la vita per sollevare il tuo popolo»
E l’amore arriva a tutto, fino ad esporsi, fino ad esporre la propria vita,
Nel tempo in cui la pandemia ha obbligato a ridurre i contatti, questo modo di toccare la vita e la carne delle persone, non di rado ha invece esposto medici e operatori sanitari a pericoli e contagi, anche mortali. Vogliamo ricordare con gratitudine e commozione le vittime del Covid 19 ma anche i tanti medici e operatori sanitari – specie i membri della sanità militare – che con prontezza si espongono in situazioni di guerra, calamità, condizioni difficili… e si espongono fino al rischio della vita, per salvare, sollevare, toccare la vita altrui.
Cari amici del Policlinico Militare del Celio, consentitemi di dire che da questo toccare nasce non solo la professione ma il suo stesso senso, racchiuso nella «gioia» che Giovanni testimonia con il suo esultare nel grembo e voi testimoniate con il coraggio che vi sorregge, la dedizione che vi muove, il sorriso che vi precede, con il quale consolate e curate ogni sofferenza. Il Signore vi benedica e renda il vostro “toccare” sempre più pieno di amore.
E così sia!
Santo Marcianò
[1] Francesco, Messaggio per la XXX Giornata Mondiale del Malato, 11 febbraio 2022
[2] Francesco, Udienza Generale, 9 febbraio 2022
[3] Francesco, Messaggio per la XXX Giornata Mondiale del Malato, 11 febbraio 2022