Omelia alla Messa del Crisma

31-03-2021

Roma, Chiesa S. Caterina a Magnanapoli, 31 marzo 2021

 

Cari confratelli nel sacerdozio, cari fratelli e sorelle, «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Sono le parole di Gesù nella Sinagoga di Nazareth (Lc 4,16-21), parole che Egli ripete qui, in mezzo a noi. Parole riferite all’«oggi» e a un «oggi» che è epifania di compimento.

Celebriamo la Solenne Messa Crismale; siamo pochi “in presenza”, come ormai si usa dire; e forse non erano tanti neppure coloro che, quel giorno, ascoltavano da Gesù parole che avrebbero poi raggiunto il mondo. Qui c’è la parte “visibile” del nostro presbiterio, dei tanti confratelli uniti da quei mezzi di comunicazione che favoriscono la vicinanza, particolarmente in tempo di pandemia. Siete collegati da tutta Italia, dalle missioni estere per la pace, dalle navi, assieme a tanti militari. Saluto tutti con infinito affetto, con riconoscenza per quanto fate e siete nel vostro prezioso ministero. E questo noi desideriamo insieme celebrare: il grande dono del sacerdozio, cogliendone, «oggi», l’epifania di compimento.

È un «oggi» complesso, per la storia dell’umanità e perché, ve lo scrivevo nel Messaggio di Quaresima, «per certi versi, la pandemia ci ha raggiunto in un momento storico in cui la figura stessa del sacerdote viveva un momento di crisi. La ferita degli scandali e degli abusi, in particolare, ha toccato al cuore la Chiesa, con una virulenza, direi, maggiore del Covid 19. Se è dunque vero che, da questa crisi, verrà certamente fuori un mondo nuovo, è vero che anche la figura del sacerdote uscirà inevitabilmente rinnovata dalle diverse crisi che l’hanno toccata».

Nel rinnovare le nostre promesse sacerdotali, apriamo il cuore a tale rinnovamento, consapevoli, assieme alla difficoltà, di poter contare su tante quotidiane grazie che il Signore elargisce, nella Sua fedeltà.

Tra tutte, non posso non evidenziarne una che parla con particolare forza al nostro cuore di pastori: questo anno così drammatico, per volere di Papa Francesco, è dedicato a San Giuseppe, colui che, «con cuore di padre», ha amato Gesù e ci insegna ad amare così il Signore e i fratelli. Le norme sanitarie impediscono alcune iniziative, ma ciascuno potrà dare il giusto risalto a questo evento di Chiesa. Noi vogliamo lasciarci aiutare da Giuseppe a rinnovare oggi le promesse sacerdotali, contemplando alcuni suoi “volti” attraverso le parole del Papa.

 

Volete rinnovare le promesse, che al momento dell’ordinazione avete fatto davanti al vostro vescovo e al popolo santo di Dio?

Rinnovare il «sì» significa anzitutto fare memoria del giorno benedetto dell’Ordinazione e dell’intera storia d’amore che Dio ha tessuto con ciascuno.

In fondo, anche Gesù, a Nazareth, fa un’esperienza di memoria. Ricorda. Riporta al cuore la Parola di Isaia e, nel cuore, sente che Lo riguarda, comprende che «oggi si è compiuta questa Scrittura».

Ogni compimento parte da una memoria, radice preziosa che mai dovrebbe andare smarrita. Il nostro sacerdozio non deve smettere di aggrapparsi a questa radice, di credere nella sua robustezza, nella sua potenzialità di aiutare l’albero a non inaridirsi, a non intristire, se rimane distesa verso i corsi d’acqua e si abbevera alla sorgente della Parola di Dio. Rinnovare le promesse del sacerdozio significa essere disposti a lasciarsi rinnovare dal ricordo di una Parola, Presenza che irrora la nostra terra, altrimenti destinata alla tristezza del non senso e alla sgretolante mondanità.

Anche Giuseppe vive di memoria. E ricordare, per lui, significa sognare! Il sogno è la via attraverso cui Dio gli sussurra la Sua Parola e lo rende, scrive il Papa, «Padre nell’obbedienza» e «Padre nelle tenerezza»[1].

Rinnovare le promesse significa rinnovare se stessi, in una continua conversione, metànoia, trasformazione, in obbedienza alla Parola e al sogno di Dio. Ma tale cammino esige «la tenerezza», necessaria per «credere che Dio può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza», senza «temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca»[2].

Con tenerezza, Giuseppe ci insegna la fiducia!

In questo tempo, la nostra gente sperimenta una grave perdita di fiducia, spesso accompagnata dall’angoscia di aver perso per sempre la vita vissuta prima della pandemia e altresì aggravata da sofferenza, da morti in solitudine, dalla seria crisi economica; non da ultimo, dalle pressioni a cui sono sottoposti i nostri militari, per fronteggiare l’emergenza sanitaria e, ora, l’ordinato svolgimento della campagna vaccinale.

Non possiamo, tuttavia, lasciarci avvincere da questo laccio di buio! Non possiamo non vedere nell’attuale crisi una possibilità di trasformazione del nostro sacerdozio, affinché sia canale della tenerezza di Dio che rinvigorisce i sogni degli uomini, soprattutto dei giovani. Solo se gli anziani «sognano», ricorda spesso Papa Francesco riprendendo la profezia di Gioele, i giovani possono avere «visioni» (Gl 3,1), ovvero guardare avanti, immaginare il futuro, impegnarsi con speranza. Sì. La speranza di futuro è affidata alla nostra memoria sacerdotale, ai nostri sogni, al rinnovamento del «sì», dell’«Amen».

«A lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen», (Ap 1,5-8).

L’«Amen» custodisce la nostra vita, nella misura in cui noi custodiamo l’adorazione della gloria di Cristo.

 

Volete unirvi intimamente al Signore Gesù, modello del nostro sacerdozio, rinunziando a voi stessi e confermando i sacri impegni che, spinti dall’amore di Cristo, avete assunto liberamente verso la sua Chiesa?

Rinunziare a se stessi è il segreto dell’unione umile e adorante con il Signore, che ci consegna alla solitudine dell’intimità e, al contempo, ci spinge con audacia verso la comunione fraterna, pastorale, presbiterale. Come è importante questa comunione!

È ancora Giuseppe a farsene testimone, additando la «logica del dono di sé» nella quale è racchiusa tutta la sua «felicità», vissuta in un amore «casto», ovvero «libero dal possesso» e capace di «decentrarsi, di mettere al centro Maria e Gesù»[3], come scrive il Papa, spiegando come questo lo renda «padre nell’ombra».

È bellissimo contemplare sotto questo profilo la nostra paternità presbiterale! È bello sentire crescere, nel nostro intimo, l’oblatività carica di stupore nel veder crescere i figli che ci sono donati, come pure i cari confratelli; è bello passare dalla tentazione del possesso che intristisce alla felicità del dono di sé, alla quale ogni amore è destinato. E Giuseppe insegna a noi presbiteri, a voi consacrate e consacrati, a voi coniugi, la bellezza e la pienezza di un tale amore.

Sarà proprio il patrocinio di San Giuseppe a conferire una particolare sfumatura a quest’anno in cui il Papa ha chiesto di ricordare pure la famiglia, a cinque anni dall’Amoris Laetitia. Un cammino che la nostra Chiesa, in certo senso, aveva già “profeticamente” percorso, a partire dai convegni annuali del clero, arrivando a pubblicare un sussidio che consiglio a tutti di riprendere nell’attività pastorale.

La modalità di cura della famiglia è una peculiarità del ministero di voi cappellani e sono consapevole di quanta attenzione ponete a questo compito: penso alla formazione dei nubendi, in questo tempo spesso svolta “da remoto”, come pure alla vicinanza umana, spirituale, economica da voi dimostrata nei confronti di tante famiglie, talora rimanendo nell’“ombra”.

Sì, cari confratelli: l’“ombra” è il luogo dell’amore disinteressato, dell’amore casto e silenzioso; del passaggio dalle frustrazioni del sacrificio alla gioia feconda del dono. L’ombra è il luogo di Giuseppe, il luogo del sacerdote: l’ombra è il luogo del padre!

 

Volete essere fedeli dispensatori dei misteri di Dio…, lasciandovi guidare non da interessi umani, ma dall’amore per i vostri fratelli?

Occorre lasciarsi guidare dall’amore per essere padri e dispensatori dei Misteri dell’amore di Dio, primo fra tutti l’Eucaristia. «Il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio», canta con stupore Isaia (Is 61,1-3.6.8b-9).

L’Amore che ci ha consacrato è lo stesso Amore che ci invia e, grazie alla nostra unzione, raggiunge il popolo come olio di letizia, di consolazione, di fraternità, riversandosi in ogni opera pastorale, a cominciare dall’opus Dei, l’“opera” che è la preghiera dei pastori.

Sono tante le esperienze pastorali “diverse” vissute in questo anno, risvegliate proprio dalla sofferenza e dal bisogno e aiutate dalla vicinanza ai fedeli mostrata da voi cappellani, chiamati a condividere la quotidianità di vita dei militari. Non interrompete mai tale vicinanza, dono e responsabilità del vostro ministero!

Tra le esperienze peculiari, penso alla Peregrinatio Mariae, da poco conclusa, che ha segnato il Giubileo Lauretano dell’Aereonautica Militare in modo imprevisto ma provvidenziale, quasi accompagnando e sostenendo la grande mobilità e disponibilità attualmente richiesta alle nostre Forze Armate.

Adattarsi continuamente a difficoltà impreviste, talora drammatiche, rende Giuseppe «padre del coraggio creativo». «Egli – spiega il Papa – è il vero “miracolo” con cui Dio salva il bambino e sua madre»[4].

Con quanta creatività, nella sofferenza di questo tempo, tanti presbiteri, come voi, hanno operato piccoli miracoli d’amore, hanno circondato il popolo loro affidato di una preghiera silenziosa e perseverante – forse riscoperta nel confinamento – che ha impedito al mondo di cadere nella disperazione! E quanti sacerdoti hanno perso la vita per salvare gli altri, con fedeltà e carità! Oggi vogliamo ricordarli tutti e ricordare tutti i nostri confratelli defunti, assieme ai militari defunti, pregando in particolare per coloro che soffrono nel corpo, nello spirito o per le difficoltà del ministero.

Lo facciamo nel grazie dell’Eucaristia, lo facciamo dicendo grazie per il dono del sacerdozio.

 

Carissimi confratelli, cari amici, con tutti i nostri limiti, la bellezza del sacerdozio è un dono per cui ringraziare sempre, per cui pregare; e la Liturgia crismale lo raccomanda con forza pure al popolo di Dio! Un dono del quale accogliere, «oggi» come ogni giorno, il compimento che Dio vuole elargire.

Chiudo pensando ancora a Giuseppe, che è «padre nell’accoglienza» per la sua apertura a tutti, specie ai deboli, e per la «vita spirituale» con cui traccia un cammino, in particolare per noi presbiteri: non «una via che spiega, ma una via che accoglie».

Potrebbe non essere così dinanzi al mistero del Sacerdozio? E forse, «oggi», l’epifania di compimento sta proprio qui: nell’accogliere questo mistero come «Giuseppe accoglie Maria», senza «mettere condizioni preventive»[5]. Semplicemente rinnovando, con stupore e gratitudine, l’«Amen» che ci rinnova. Grazie di cuore ad ognuno di voi, dono per la Chiesa e per me.

Auguri e così sia!

Santo Marcianò

 

[1] Francesco, Lettera Apostolica Patris Corde, 3, 2

[2] Ivi, 2

[3] Ivi, 7

[4] Ivi, 5

[5] Ivi, 4