Guardie Svizzere: ieri la Messa per l’anniversario di fondazione

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(23-01-2020) Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata ieri pomeriggio dall’Arcivescovo nella Messa in occasione dell’anniversario di fondazione della Guardia Svizzera Pontificia, che ha avuto luogo in Vaticano nella Chiesa di Santa Maria della Pietà presso il Camposanto Teutonico.

 

Carissimi, la Celebrazione di oggi è, per me, un dono grande, per il quale desidero ringraziare il vostro comandante Christoph Graf; a lui e alla sua bella famiglia mi lega ormai un’amicizia spirituale, rafforzata nei Pellegrinaggi Militari Internazionali a Lourdes, ai piedi di Maria, dove peraltro partecipa sempre una significativa rappresentanza della Guardia Svizzera Pontificia.

Oggi, dunque, è un momento per ringraziare, per pregare per i martiri, per rinsaldare le radici della vocazione. Sì, perché quella delle Guardie Svizzere è una vera e propria vocazione, che mette insieme la formazione militare, la crescita spirituale e la dimensione ecclesiale, nel servizio al Santo Padre. Una storia ricca e bellissima che, in più di 500 anni, ha attraversato varie fasi che voi ben conoscete.

Una vocazione, dunque. E la vocazione è sempre della persona concreta, alla quale Dio rivolge una chiamata, un appello che esige una risposta. La vocazione riguarda l’uomo, in dialogo con il suo Creatore.

La Parola di Dio, oggi, ci fa entrare nel mistero dell’uomo, concentrando la nostra attenzione su tre proprietà: la mano, il cuore, lo sguardo.

Il Vangelo (Mc 3,1-6) narra la storia dell’uomo con la mano inaridita. È una condizione terribile: una mano secca, morta, che non può esercitare il suo compito.

La mano permette di prendere e accogliere, di lasciare e donare; permette di entrare in relazione con i fratelli, stringendo le mani altrui nei momenti della gioia e della paura, nel bisogno di sostegno e nella forza dello stare insieme. La mano accarezza e tutti ricordiamo le carezze ricevute da bambini che dovremmo saper restituire da adulti, prima di tutto ai nostri figli; la mano accompagna, aiutandoci a svolgere il compito importante dell’educazione. Lo dico pensando, in particolare, a quanti, tra voi, vivono la realtà della famiglia; la famiglia di una Guardia Svizzera ha anch’essa una sua vocazione, esige un senso profondo dell’obbedienza, tutt’altro che scontato ai nostri giorni, una disponibilità a lasciare il proprio ambiente, per vivere nella Città del Vaticano, testimoniando un alto senso di fede e di servizio.

E la mano permette di svolgere un servizio: permette di conoscere la realtà, grazie al senso del tatto, e di intervenire sulla realtà. La mano è l’organo del “fare”, del potere creativo; guardando all’uomo che, invitato dal Gesù, «stende la mano», possiamo ripensare al meraviglioso affresco della Cappella Sistina, dove la mano tesa di Dio sta creando l’essere umano.

Ogni vocazione, in fondo, è partecipazione all’azione creatrice e redentrice di Dio. Ogni vocazione incarna l’amore con cui Dio dona la vita e salva la vita: ed è di questo amore che le nostre mani sono a servizio.

Penso alle vostre mani, chiamate a proteggere con l’esercizio della difesa, che i militari conoscono bene; mani che si avvalgono non tanto dell’uso delle armi quanto di abilità e competenze acquisite con impegno, affinché sia donata la sicurezza a Pietro, roccia sulla quale tutta la comunità ecclesiale si appoggia.

Più che la forza fisica, mi sembra sia la virtù della fortezza quella che vi contraddistingue, vi deve contraddistinguere, e che dovete invocare come dono da Dio stesso, dono dello Spirito. Per questo è necessario il cammino di fede, l’esperienza della preghiera, la vita sacramentale. Non lo dimenticate: Giovanni XXIII diceva: “l’uomo non è mai tanto grande, mai tanto forte come quando sta in ginocchio davanti a Dio”; e aggiungeva: “La preghiera è il mio respiro”. Pensate alla forza dalla Grazia dei Sacramenti, quello della Confessione che ci dona il perdono dei peccati liberandoci dal peso del male; quello dell’Eucarestia che opera addirittura la nostra trasformazione in Lui. Diventiamo il Suo corpo! San Giovanni Bosco indicava la strada ai suoi giovani: “Volete essere felici? Fate la comunione, nutritevi di Gesù”, e S. Teresina diceva: “Se la gente conoscesse il valore dell’Eucarestia domenicale, l’accesso alla Chiese dovrebbe essere regolato dalla forza pubblica”. Papa Francesco insiste tanto sulla comunione come rimedio per i peccatori e il Santo Curato d’Ars ripeteva: “Non dire che non ne sei degno, ma che ne hai bisogno”.

Sì, Gesù dona fortezza alle vostre mani, così come dona vita alla mano inaridita dell’uomo, così come dona una forza inaspettata alla mano del piccolo Davide, lo abbiamo ascoltato dalla prima Lettura (1Sam 17,32-33.37.40-51). È un miracolo, un segno della Sua presenza ma anche una testimonianza del Suo amore, che giunge a offrire la propria vita, come fate voi e come hanno fatto i vostri martiri, che ricordiamo in questo Camposanto: il Vangelo, infatti, dice che, a motivo del miracolo fatto, viene presa la decisione di mettere a morte Gesù.

Questa donazione di sé esige l’amore di un cuore grande, un cuore diverso da quello indurito che mostrano i farisei. Anche questa è una condizione patologica: il verbo greco parla della «durezza» di qualcosa che dovrebbe essere morbido, una malattia della quale, però, i farisei non si rendono conto; essi, anzi, si sentono sani e tale presunzione li rende ancor più insensibili alla sofferenza, alla povertà, ai veri bisogni dell’uomo. È la condizione spirituale detta “sclerocardia”: un cuore incapace di battere e commuoversi, provare compassione e misericordia, generare perdono e pace. Incapace di amare!

Il vostro lavoro, invece, non è solo un lavoro di mani, è un lavoro di cuore. Esige uno speciale legame di affetto con Pietro e la Chiesa, pertanto richiede una formazione umana e spirituale seria e integrale; una formazione del cuore a una dedizione straordinaria, che tutti riconoscono e ammirano in voi, e che si consegue non solo attraverso la preparazione personale ma anche con la crescita interiore e l’esperienza comunitaria. Lo suggeriva il Papa nel Discorso tenuto per il Giuramento delle nuove Reclute nel 2019: «La realtà della caserma insegna alcuni principi etici e spirituali, che riflettono molti dei valori che vanno perseguiti anche nella vita: il dialogo, la lealtà, l’equilibrio nei rapporti, la comprensione. Vi è data la possibilità di sperimentare momenti di gioia e inevitabili momenti di difficoltà, tipici di una esperienza collettiva. Ma soprattutto avete l’opportunità di costruire sane amicizie e allenarvi al rispetto delle peculiarità e delle idee altrui, imparando a riconoscere nell’altro un fratello un compagno con cui condividere serenamente un tratto di strada»[1]. Sì, cari amici, l’amore fa la differenza. L’amore per i colleghi che sono fratelli; l’amore per Cristo, il Papa e la Chiesa, soprattutto in questa delicata fase storica.

È la testimonianza che vi è affidata, il dono che tutti si aspettano da voi: lo chiamerei così, uno sguardo d’amore. E l’ultimo punto che il Vangelo suggerisce è proprio lo sguardo.

Da una parte c’è lo sguardo dei farisei, prevenuto, giudicante; ha già il suo obiettivo distruttivo e vede tutto sotto questa luce. Dall’altra parte, c’è lo sguardo di Gesù che, dice ancora il verbo greco, guarda “tutto intorno”, di tutto si accorge, tutto considera: ha una visione integrale, autentica, profonda, al contrario delle nostre prospettive parziali che rischiano di condurci all’errore.

Il vostro è sguardo profondamente vigile, che guarda intorno con attenzione, ma con l’attenzione che viene dal cuore, perché custodisce con una cura che supera ciò che è semplicemente visibile agli occhi. È sguardo attento a coglierei particolari, i pericoli, come pure ad accogliere gli altri: il Papa, i cardinali, i cittadini vaticani e tutti coloro che incrociano i vostri occhi nelle cerimonie pubbliche, alle quali spesso arrivano come a un momento decisivo della loro vita. E il vostro sguardo, potremo dire, accoglie lo sguardo di chi vi guarda e lo fa sentire accolto dal grembo della Chiesa, Madre che conduce all’incontro con Gesù. Attraverso di voi condotti nella Chiesa a Gesù: che responsabilità!

Cari amici, è Gesù il dono che ciascuno cerca da voi. Sappiate essere mano che accompagna a Lui, sguardo che Lo indica, cuore che Lo ama e fa sentire agli altri il Suo amore. Così, risponderete alla bellissima vocazione della Guardia Svizzera: custodire la Chiesa e Pietro, il «dolce Cristo in terra», lo chiamava Santa Caterina; per questo, custodire Gesù, Colui al quale è orientato ogni sguardo e ogni mano, ogni cuore e ogni vita.

Grazie dal profondo del cuore. Il Signore vi benedica. E così sia!

Santo Marcianò

[1] Francesco, Discorso alle Guardie Svizzere Pontificie, in occasione del Giuramento delle Nuove Reclute, 4 Maggio 2019