(23-01-2020) Di seguito la meditazione dell’Arcivescovo all’incontro ecumenico di stamattina a Napoli.
Carissimi fratelli e sorelle,
la Celebrazione di oggi è un grande dono per cui ringraziare con forza lo Spirito Santo e, come ogni dono, è compito che ci rende responsabili. È il compito dell’unità dei cristiani, dell’ecumenismo che si realizza, anzitutto, nella preghiera e nelle opere. Non solo nei grandi momenti di preghiera e nelle opere di pubblica rilevanza, ma in ogni preghiera e in ogni opera compiuta nella comunione. È bello pensare come quel cammino ecumenico, che Papa Francesco ha definito «irreversibile»[1], faccia un passo avanti ogni volta che una singola comunità o una singola persona compiano un piccolo passo; ogni volta che «due o più» siano riuniti nel nome di Cristo!
Oggi siamo riuniti per un momento di intensa preghiera, con il cuore teso a Cristo e alle opere che Egli ci chiede di compiere. Siamo qui come Cappellani Militari, consapevoli che il nostro ministero ci pone in un contesto come quello militare dove il dialogo ecumenico è una esigenza quotidiana. Siamo qui, cappellani e militari di tante confessioni cristiane che lavorano assieme per il sostegno alla pace, annunciando l’unico Signore Gesù Cristo.
La Parola di Dio, che esprime il tema di questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, richiama la nostra attenzione su una parola non più tanto di moda: la «gentilezza».
Viviamo nel tempo della fretta e dell’aggressività e la gentilezza, anche nel quotidiano, finisce per essere qualcosa di dimenticato o addirittura frainteso, soprattutto quando l’altro sembri un ostacolo all’autorealizzazione personale. «Ci trattarono con gentilezza» (At 28,2). Gentilezza è un tratto esteriore nato, tuttavia, da un atteggiamento del cuore. Il termine greco, filantropia, indica una sorta di “piena di umanità” che, con le letture ascoltate, potremmo rileggere da quattro angolature.
Primo, la conoscenza. «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi», dice il Vangelo (Gv 8,31-36). La verità va conosciuta ed è proprio l’atteggiamento del conoscere che apre l’esperienza interiore della verità.
La gentilezza di cui parlano gli Atti degli Apostoli è riservata dagli abitanti di Malta ai naufraghi di una nave diretta a Roma, piena di stranieri, poveri e carcerati, tra i quali era Paolo. È interessante che, nel passo biblico, l’atto del conoscere sia successivo all’atto dell’accogliere.
La gentilezza dell’accogliere apre le porte a una conoscenza che fa superare la paura. Paolo, infatti, verrà ritenuto dapprima un assassino, per aver ricevuto il morso di una vipera, in seguito un dio, per essere rimasto illeso; successivamente, egli potrà pregare e operare guarigioni, svolgendo un autentico servizio alla verità del Vangelo. D’altra parte, nel linguaggio biblico, il verbo “conoscere” indica quella “intimità” che non può non includere l’accoglienza.
La verità, dunque, non teme l’accoglienza del nuovo, che può venire anche da altre esperienze culturali o religiose. «La verità è sinfonica», scriveva Von Balthasar, e «sinfonia vuol dire accordo» di «diversi strumenti» che «suonano insieme»; non le tante verità del relativismo ma le diverse sfumature dell’unica Verità, perché «l’unità organica della composizione è di Dio»[2]. Ed è «lo Spirito Santo – dice quasi a commento Papa Francesco – colui che suscita con creatività la molteplicità dei doni e che armonizza, riconduce all’unità, un’unità autentica perché non è uniformità, ma sinfonia di più voci nella carità»[3].
La seconda prospettiva della gentilezza è la giustizia: «Presentate voi stessi a Dio come strumenti di giustizia», abbiamo ascoltato dalla seconda Lettura (Rm 6,1-14). E la parola «strumenti» traduce il greco “opla” che significa «armi». Siamo, nelle mani di Dio, armi che Egli usa per ristabilire la giustizia nel mondo. Una giustizia non meramente distributiva ma attenta alla difesa dei diritti fondamentali di ogni essere umano, primo fra tutti il diritto alla vita e al rispetto della dignità umana. E quanto spesso tali diritti vengono oggi calpestati! Lo specifico dell’impegno dei militari si pone proprio qui, nel dovere di porsi al servizio della giustizia e della libertà di un popolo, nella difesa della sicurezza e della dignità della vita. L’annuncio del Vangelo richiede per noi cappellani il sapere richiamare a questa vocazione specifica i nostri militari.
In questo contesto penso alla difesa della vita prima di nascere o nel tempo della sofferenza e all’avvicinarsi della morte; penso alla vita e alla dignità dei poveri, delle donne, dei bambini; penso ai profughi e ai migranti, ai quali questa Settimana di preghiera è particolarmente dedicata. E mi rendo conto di quanto sia necessario offrire a Dio noi stessi proprio come militari, offrire insieme lo sforzo dell’ecumenismo e della comunione, perché Egli usi tutto come arma per affermare la giustizia nel mondo. È indicativo e significativo che, nel cammino di unità tra Chiese sorelle, Papa Francesco veda come «un bel segno» la loro collaborazione su «questioni attuali, come la lotta contro le forme moderne di schiavitù, l’accoglienza e l’integrazione di migranti, profughi e rifugiati e la promozione della pace a vari livelli»[4].
La terza prospettiva è l’amore. A questo conduce la verità, dice Giovanni: alla libertà donata «dal Figlio» e da noi ricevuta in quanto «figli di Dio»; dunque, alla libertà della fratellanza, dell’amore.
Nel percorso ecumenico e del dialogo interreligioso, il “Documento sulla fratellanza umana”, firmato nel 2019 da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar ad Abu Dabi, rappresenta una storica tappa di crescita per l’umanità. La prospettiva dell’amore, infatti, ci aiuta a contemplare il cammino dell’unità come una maturazione relazionale, una crescita nella figliolanza divina e nella pienezza umana.
L’uomo è un essere “in relazione”, in ogni espressione della vita; chiave di tale relazionalità è proprio il dialogo, fondamento dello sforzo ecumenico e della ricerca dell’unità. E l’Enciclica Ut Unum Sint, della quale ricorre quest’anno il XXV anniversario, ci offre una sorta di splendida antropologia del dialogo; «il dialogo – spiega infatti Giovanni Paolo II – non si articola esclusivamente attorno alla dottrina, ma coinvolge tutta la persona: esso è anche un dialogo d’amore»[5]. E l’amore, non lo dimentichiamo, è essenzialmente dono, dono di sé! E il militare trova proprio nel dono di sé il gesto eroico quotidiano ma anche quello più estremo.
«Non lo rimanderai a mani vuote», esorta il Libro del Deuteronomio nella prima Lettura (Dt 15.13-15). È un’ultima prospettiva da cui interpretare la gentilezza: il dono. Donare, a chi accogliamo, qualcosa di noi che rimanga pure quando egli parte, quale segno di gentilezza e fratellanza; donare sempre, consapevoli che tutto abbiamo ricevuto.
Cari amici, mi piace pensare a un dono che potrebbe rappresentare una tentazione di staticità ma che invece va valorizzato come dinamismo straordinario, come spinta nel cammino ecumenico: la tradizione.
«La Tradizione non è un dilemma, ma un dono»[6]! Lo dice il Papa, ricordandoci come la parola rimandi «al verbo latino tradere, che significa consegnare. La Tradizione non è infatti qualcosa di cui appropriarci per distinguerci, ma una consegna che ci è stata affidata per arricchirci vicendevolmente», attingendo alla «sorgente da cui sgorga il fiume della Tradizione» ovvero al «costato aperto di Cristo sulla croce. Lì Egli ci ha dato tutto sé stesso, consegnandoci anche il suo Spirito (cfr Gv 19,30.34). Da lì – continua Francesco – è scaturita la nostra vita di credenti, lì c’è la nostra perenne rigenerazione. Lì troviamo la forza di portare i pesi e le croci gli uni degli altri». Il Signore ci conceda di farlo, con un amore ricco di fratellanza e gentilezza, e di «non stancarci mai nel cammino»[7].
I militari insegnano a noi questa fraternità con il loro vivere quotidiano; a nostra volta abbiamo la responsabilità di saperla annunciare in nome di Cristo nostro Unico Signore e Salvatore.
E così sia!
Santo Marcianò
[1] Cfr Francesco, Discorso alla Delegazione Ecumenica della Chiesa Luterana di Finlandia, 19 gennaio 2019
[2] Cfr. Hans Hurs Von Balthasar, La verità è sinfonica, Jaca Book, Milano 1979, pp. 13-15
[3] Francesco, Udienza alla Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, 28 giugno 2019
[4] Ibdem
[5] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Ut Unum Sint, 47
[6] Francesco, Discorso alla Delegazione Ecumenica della Chiesa Luterana di Finlandia, 19 gennaio 2019
[7] Francesco, Discorso alla Delegazione Ecumenica della Chiesa Luterana di Finlandia, 19 gennaio 2019