I cappellani del Veneto incontrano padre Ermes Ronchi

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(13-12-2021) Il Santuario di Santa Maria del Cengio (poco sopra Vicenza) è un centro di spiritualità che, sorto come chiesa verso la fine del XII secolo, è divenuto convento nella metà del 1400 e, nonostante le alterne vicende della storia, continua ancora oggi ad accogliere tanti “cercatori di Dio”. Da oltre un secolo, a tener viva questa lampada, provvede l’Ordine dei Servi di Maria.

Dal 2016, nella piccola comunità religiosa, vive anche un padre che, con il suo stile caldo, acutissimo e a tratti poetico, accompagna da decenni tutti coloro che, come lui, affrontano la Vita cercando di coglierne ogni giorno l’essenza ed il mistero. Stiamo parlando di padre Ermes Ronchi, profondissimo teologo, eccellente comunicatore del Vangelo, allievo di Giovanni Vannucci e David Maria Turoldo, un curriculum infinito eppure, al tempo stesso, uomo rimasto genuino come solo i veri uomini di Dio riescono ad essere; chissà, magari un po’ aiutato anche dalle sue schiette origini friulane…

Pioveva forte la mattina del 9 Dicembre, ma con padre Ronchi i cappellani militari del Veneto han percepito un calore spirituale che è stato un autentico abbraccio, dono prezioso per il Tempo dell’Avvento. Un incontro di zona pastorale che, per una volta, ha tralasciato le pur necessarie programmazioni per far posto esclusivamente alla preghiera, alla meditazione, all’incoraggiamento e, non di meno, alla cristiana provocazione che padre Ronchi ha saputo suscitare con le sue parole.

Parole che hanno condotto noi cappellani in un articolato percorso che, partendo dalla Scrittura, ci ha esortato a porci con schiettezza la domanda se la distinzione fra ruolo e compito sia ben chiara nella nostra vita e, in particolare, nel nostro ministero.

Per quanto possano sembrare sinonimi – ha sottolineato padre Ermes – ruolo e compito restano aspetti assai diversi. Certo coesistono e sono complementari, ma che gran peccato sarebbe se il sacerdozio fosse vissuto soltanto come un ruolo. Perché il ruolo è in qualche modo la lista delle “cose” che facciamo o celebriamo, ma è il compito che a questo “fare” offre un’anima ed un senso.

Se ruolo deriva infatti da rotulus (rotolo, elenco, lista), compito deriva invece da complēre (portare a compimento). Il sacerdote non può esaurirsi nel mero esercizio di un ruolo, ma si realizza pienamente, si compie appunto, solo nell’essere «trasparenza di Dio, incarnazione di Vangelo, accenditore di vite».  Se manca questo, egli diventa inesorabilmente afono, insipido e dunque sterile.

Non c’è modo di salvarsi da questo rischio se non quello di custodire la capacità e il desiderio dell’ascolto, che non è solo ascolto del prossimo, ma innanzitutto ascolto di Dio, di cui peraltro il prossimo è presenza. Qual è il primo compito del sacerdote, allora, se non quello dello Shemà (Ascolta, Israele…)? Ascoltare, credere e quindi trasformarsi…

Perchè, sullo sfondo, resta sempre in agguato l’eterna tentazione di vivere più la religione che la Fede. La sola religione porta con sé il rischio di «fare Dio a tua misura», mentre è la Fede che ti spinge a «fare te stesso a misura di Dio, ad elevarti verso il Cielo». E a farlo davvero.