Festa della Mamma, contributo del Generale Ricciardi

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(14-05-2023) “Di mamma ce n’è una sola”, si dice e non tanto per dire, e“Mater semper certa est” già affermavano gli antichi proprio per sottolineare, se ce ne fosse stato bisogno, quel legame primigenio, unico e indissolubile che ci lega a chi ci ha donato la vita. Quel legame è eterno, oltre il fisico cordone ombelicale che in un certo senso non si recide mai, prolungandosi dalla sottana cui si aggrappa fiduciosa la manina del bimbo, alle confidenze rincoranti nei delicati momenti adolescenziali, ai colloqui da adulti per superare le incertezze della vita, al ricordo straziante e confortante allo stesso momento di quando viene meno la sua presenza fisica.

“Mamma” è la prima parola che si pronuncia, non a caso, e la mamma è la protagonista delle prime filastrocche e canzoncine, ma è anche l’invocazione più istintiva quando si vuole esprimere una sensazione forte, forse è anche l’ultima parola ancorché non pronunciata prima del termine della nostra esperienza terrena.

“Mamma son tanto felice, perché ritorno da te…” cantava Beniamino Gigli, al culmine del suo successo, in una dichiarazione d’amore con cui annunciava al mondo il suo abbandono delle scene per tornare all’affetto più caro, e non poteva essere diversamente, per godere infine della vicinanza della madre per troppo tempo lontana. Una canzone che fu un trionfo, cantata con pari commozione ancora ai giorni nostri, perché in fondo solleva quel velo che si stende quando cerchiamo, con l’emergere della nostra personalità, di renderci autonomi da quella figura incombente che Freud pone alla base del nostro stesso modo di essere e di agire, nel bene e nel male.

Ma è un dato di fatto che nelle difficoltà, specie quelle estreme, il pensiero corre sempre alla mamma, a invocare il suo manto protettivo come quando con il bacio della buonanotte ci rimboccava le coperte per proteggerci dal freddo e dai sogni cattivi.

E’ “mamma” tutto quel che è di sacro e importante per la nostra stessa esistenza, come la Madre Patria, da amare e difendere sino all’estremo, la Madre Terra, che ci origina e ci sostiene nonostante le nostre continue offese, e nel corso della mia formazione militare ho incontrato anche Mamma Accademia, “che tutti ci unisce e ci affratella” come recitava una lirica scritta dal nostro Comandante dell’epoca, animato da sincera vena poetica.

Ma la figura della mamma si idealizza con gli anni che trascorrono inesorabili e si sovrappone all’immagine della mamma di Gesù bambino, conosciuta ancor prima dell’insegnamento della catechista, dallo sguardo sempre benevolo e rassicurante con cui è ritratta tra i pastori del presepe, nei dipinti e nelle tante statue che ci hanno accompagnato sin dai primi anni di vita, alla quale ci hanno insegnato a rivolgerci fiduciosi con la preghiera, ma che invochiamo soprattutto nei momenti di sconforto.

Mi sono affezionato al volto della Madonna in quel giardino tiepido di maggio, mentre Suor Imelda (solo tantissimi anni dopo, da adulto, ho incrociato nel corridoio di un monastero domenicano la statua di Santa Imelda… finalmente!) spiegava a noi candidati alla ormai prossima prima Comunione che esiste l’inferno e quanto fosse rovente, che Dio ci ama ma è anche intransigente con chi disubbidisce, come sperimentò Eva dando origine alla stirpe delle mamme (in quegli splendidi anni ’60 Papa Bergoglio era appena seminarista e il catechismo ancora troppo lontano dal Giubileo della Misericordia). La Madonnina mi sorrideva, con lo sguardo comprensivo di mamma, indulgente quando il pallone finisce nel vetro di casa, addirittura protettivo quando la finestra è quella del vicino (“non preoccuparti che a papà glielo dico io stasera”), dandomi la certezza che qualcuno, vicino alla stanza dei bottoni decisivi per la mia salvezza o la dannazione eterna, avrebbe intercesso anche per i miei peccati… che in verità ancora non sapevo quali sarebbero stati.

Noi Carabinieri abbiamo incontrato la nostra Mamma celeste il primo giorno di scuola quando, nella caserma che ci ha accolto ragazzi, il volto della Vergine fedele ci ha sorriso dalla parete ove troneggiava, indicandoci la via: “Sii fedele sino alla morte”.

Un messaggio difficile, forse sorprendente per chi si avviava alla vita delle armi prima ancora di scoprirne l’intrinseca spiritualità, senza la quale non sarebbe stato possibile comprendere la grandezza dell’impegno di servizio che ci si apprestava ad assumere.

La preghiera recitata nelle celebrazioni (“Dolcissima e gloriosissima Madre di Dio e nostra… confortatrice e protettrice…  accogli ogni nostro proposito di bene e fanne vigore e luce…”) e l’Inno cantato con voce ferma (“Al tuo trono corrusco o dolce mamma,
sale il palpito del figlio tuo fedel… Tu sei Regina dell’eterna corte, perché salisti il monte del dolor…”)
anche nei lunghi addestramenti all’aria aperta, hanno reso sempre più palpabile la presenza della nostra nuova Mamma, sempre lì accanto a noi, solerte e premurosa, che non ci ha mai più abbandonato, nei momenti lieti e tristi ma, soprattutto, nella tensione e nel rischio del servizio.

L’abbiamo invocata a messa e nelle cerimonie ricorrenti, nel momento del distacco terreno dagli amici che ci hanno lasciato, come protettrice della famiglia e dei nostri affetti, a infonderci coraggio nei momenti più difficili per la nostra persona e per la responsabilità verso chi ci era stato affidato, l’abbiamo sentita sempre al nostro fianco quasi aleggiante sopra di noi per non perderci di vista, proprio come la madre premurosa verso le sue creature.

Del resto, credenti più o meno fervidi, tutti abbiamo avuto e abbiamo bisogno della mamma perché “la parola ‘Madre’ è nascosta nel cuore e sale alle labbra nei momenti di dolore e di felicità, come il profumo sale dal cuore della rosa e si mescola all’aria chiara” (Kahlil Gibram), e la Madonna la celebriamo proprio nel mese delle rose, con quei tiepidi pomeriggi che mi riportano anche oggi in quel remoto giardino con Suor Imelda.