Relazione al Casd, Roma – Palazzo Salviati, 14 dicembre 2013
Saluto tutti e ringrazio per questo invito che mi onora e responsabilizza: so quanto seria e stimata sia l’opera che il Centro di Alti Studi della Difesa svolge; e so quanto vasto sia il suo raggio di azione, se pensiamo quanto il tema della formazione sia determinante per tutti noi, dunque anche per coloro che qui vivono come allievi o anche come docenti.
Ci incontriamo per riflettere su un tema che ci sta particolarmente a cuore: la pace. Sta a cuore alla Chiesa, perché è il cuore della sua missione evangelizzatrice; sta a cuore a tutti noi perché la pace è il cuore della nostra missione di militari.
Da vescovo, vado sempre più riflettendo come la Chiesa Militare sia particolarmente interpellata, direi provocata, a infondere in modo speciale, in tutta la comunità ecclesiale e nella comunità civile, la bellezza, il bene, il senso della pace, impegnata com’è nel servizio alle Forze Armate il cui compito trova senso proprio nella difesa della pace. Come si esprime infatti il Concilio, i militari sono «ministri della sicurezza e della libertà dei popoli che, se rettamente compiono il proprio dovere, concorrono veramente alla stabilità della pace» .
Questa Chiesa, dunque, si sente mandata da Cristo, che è «la nostra pace» (Ef 2,14), ad annunciare la pace a voi, a sostenere la missione dei militari a servizio della pace, a educare alla pace assicurando a ciascun militare, dai più giovani a coloro cui sono affidate alte responsabilità di guida, la formazione umana e spirituale, la proposta evangelica delle virtù e delle beatitudini. Ma la nostra Chiesa sente pure che può imparare da voi la sfida della pace: può imparare a leggere meglio il mondo nella sua concretezza, a decifrare e condividere le difficoltà di chi opera per la pace; e può far giungere, attraverso voi, il suo grido di pace fino a confini lontani, fino a tante periferie umane ed esistenziali. Se mi consentite un breve riferimento personale, io stesso sento come particolarmente significativo il fatto che la chiamata di Dio a servire la Chiesa militare – un servizio di cui in questi primi tempi sto toccando la complessità ma anche la serietà, l’ampiezza e la profondità – sia provvidenzialmente avvenuta nel 50° anniversario della Pacem in Terris, l’Enciclica della pace.
Questo incontro di oggi conferma, dunque, che la pace è patrimonio che unisce: è un punto di incontro tra mondi diversi, diverse culture e religioni, uomini diversi. Quella della pace è una “cultura” – la propongo così nel titolo di questo mio intervento – che ha la potenzialità, se così si può dire, di pervadere trasversalmente tutte le culture e unificarle, in quanto non è solo un elemento del vivere ma ne è lo stesso contenuto. Ma qual è il cuore della cultura della pace?
Cultura della pace e cultura dell’umano
Ho citato la Pacem in Terris. Ed è proprio in questa sua ultima Enciclica, quasi un testamento, che Papa Giovanni XXIII, con la sua semplicità e profondità, ma certamente anche con la sua esperienza di cappellano militare, ci offre la chiave interpretativa, il vero e proprio «fondamento» della cultura della pace: «il principio che ogni essere umano è persona» .
Potrebbe sembrare un principio scontato: eppure è il vero punto cruciale, la vera sfida della pace; è un principio che, se volessimo fare il paragone, ha in sé un’energia così potente da far scoppiare la pace in un solo momento e in tutto il mondo!
Ma sappiamo bene che non è così: questo principio diventa, allora, un grido. E se, 50 anni fa, Papa Giovanni raccoglieva questo grido dall’umanità afflitta dagli orrori di una guerra che egli stesso aveva vissuto, oggi il grido arriva più in profondità, tocca violazioni ancora più impensabili della dignità umana, raggiunge limiti che ci sembravano invalicabili: accanto ai poveri, sempre oppressi, si fanno strada le nuove povertà degli essere umani mercificati, dei malati e portatori di disabilità, degli stranieri e rifugiati, degli anziani abbandonati, dei senzatetto che invadono le città, degli embrioni manipolati e rifiutati, dei bambini violati, delle donne vendute o massacrate, delle giovani vite stralciate da “dipendenze” subdolamente imposte dai mercanti di morte… Sono categorie che diventano vittime di quella che Papa Francesco chiama la «cultura dello scarto»¸ cultura che ha invaso l’etica, la politica, la società, prima ancora le stesse relazioni interpersonali. «Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare», grida il Papa, osservando allarmato come stia accadendo qualcosa di nuovo: «con l’esclusione resta colpita, nella sua stesa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati”ma esclusi, “avanzi”» .
Se ci pensiamo bene, questo scarto sociale, che nasce e si alimenta con il consumismo, riconosce e porta con sé un più profondo, potremmo dire, “scarto antropologico”: in definitiva, alcuni esseri umani non sono esclusi solo dalla società ma dalla categoria di persone; e questo, in maniera sottile e devastante, è il cuore di ogni attentato alla pace. Senza temere di semplificare, possiamo e dobbiamo gridare anche noi che la «cultura della pace» coincide, in modo eclatante, con quella che potremmo chiamare una «cultura dell’umano», capace, potremmo dire, di includere «tutta la vita e la vita di tutti» .
Sì, una cultura che arrivi a promuovere quel muto rispetto tra gli essere umani che è la radice della giustizia e della pace sociale, giacché ogni società non è primariamente frutto di convenzioni sociali ma di quella naturale «soggettività relazionale» che si concretizza nella «vita comunitaria» e «distingue l’uomo dal resto delle creature terrene» .
Ed è in questa dimensione sociale che il principio della «dignità della persona» si specifica, incarnandosi e declinandosi nei principi del «bene comune», «sussidiarietà» e «solidarietà». Sono quattro principi che regolano la convivenza sociale e che anche la Dottrina sociale della Chiesa ha fatto suoi, riconoscendo in essi un’«espressione dell’intera verità sull’uomo conosciuta tramite la ragione e la fede» .
Una sfida per l’etica e per l’educazione
Tutto questo, però, non si improvvisa: in un certo senso, è tanto limpido quanto difficoltoso ma è, allo stesso tempo, un cammino a percorrere con tenacia e fiducia. L’etica sociale, l’etica della pace e l’educazione sono, cioè, interdipendenti.
Proprio qualche giorno fa, all’omelia per la festa della Madonna di Loreto, dicevo ai rappresentanti dell’Aereonautica che, tra le prime cose che ho compreso del mondo militare, c’è l’enorme potenziale educativo in esso racchiuso. E come non considerarlo anche qui, in una Scuola di Alti Studi, che fa sua la dinamica della formazione e della ricerca?
In questa chiave, mi piace proporre alcuni principi che lo stesso Papa Francesco ha esplicitato nella sua recente Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, indicandoli come completamento degli altri principi di Dottrina Sociale della Chiesa che sono alla base dell’etica della pace; e vorrei suggerirvi, se lo riterrete opportuno, di approfondirli e concretizzarli nel vostro studio e impegno.
1. «Il tempo è superiore allo spazio» . È un principio che chiede l’attenzione a privilegiare i processi di costruzione del popolo, che si sviluppano nel tempo e richiedono la pazienza, più che i risultati immediati, che spesso sembrano mirare più all’occupazione di spazi, anche politici, e mirano al rendimento.
2. «L’unità prevale sul conflitto» . È quel principio che ci aiuta a cercare quella «terza via» che consente di affrontare i conflitti, senza schivarli ma anche senza restarne imbrigliati: si tratta di sforzarsi per trasformare il conflitto, sviluppando una «comunione nelle differenze» e scegliendo la «solidarietà» come «stile di costruzione della storia».
3. «La realtà è più importante dell’idea» . È il principio secondo il quale, senza ricadere in fondamentalismi o totalitarismi, né in idealismi o eticismi, bisogna saper elaborare con l’idea la realtà, rispettando la storia, che è un’idea incarnata, e incarnando le idee in quelle opere di giustizia e carità che cambiano la storia umana.
4. «Il tutto è superiore alla parte» . È la capacità di allargare lo sguardo, anche quando si lavora nel piccolo, affondando sempre «le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio», e valorizzando come modello – dice in maniera figurativa Papa Francesco – non la sfera, «dove ogni punto è equidistante dal centro», ma «il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità».
Non è difficile vedere applicati questi principi alla vocazione dei militari oggi: penso alla custodia della persona umana, delle città, dell’ambiente; penso alla testimonianza di una solidarietà che vi vede impegnati a sconfiggere con le armi della vicinanza i conflitti, evitando, per quanto possibile e sempre più, di assumere lo stile del conflitto, ma divenendo semi di comunione tra diversi; penso alle opere di giustizia e carità che, specie nelle missioni di pace, contrastano i fondamentalismi e i totalitarismi e si pongono a servizio alla libertà; penso ai tanti Paesi e alle tante culture nelle quali vi trovate ad operare radicandovi, in certo modo, in una terra che non sempre è la vostra.
Ma penso pure all’apporto qualificato che varie competenze, tra cui certamente anche questa Scuola di Alti Studi, possono portare, su vari fronti, al progresso di una cultura e di una scienza sempre più rispettose dell’uomo e dell’ambiente, dei singoli e dei popoli.
Perché il cammino della pace, ricorda ancora Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, richiede «lo sviluppo della convivenza sociale» e la «costruzione di un popolo» . Ed è molto bella, mi sembra, questa sottolineatura: popolo! Un popolo è più che la somma di tanti cittadini: è un’unità che si struttura in legami, si nutre di cultura, si preoccupa del presente e anche delle generazioni future…
Non lo dimenticate: la coscienza di essere popolo è già impegno di pace!
CONCLUSIONE
Cari amici, credo che il mondo militare abbia una grande responsabilità in questa coscienza di popolo che deve maturare, che si deve costruire per seguire vie di pace.
Una coscienza che, da una parte, si lega per noi all’amore per la Patria, all’amore per il nostro popolo, dal quale ci sentiamo inviati in missione; dall’altro, si concretizza nel servizio al nostro popolo o al popolo al quale siamo inviati: un servizio che non difende, protegge o promuove solo i singoli ma pure il vincolo relazionale tra gli uomini.
Per fare questo, mi sembra che, fatti salvi i principi di cui prima abbiamo parlato, sia importante privilegiare:
– lo stile dialogico che include tutte le differenze: perché la pace non scarta nessuno;
– la cura relazionale che aiuta a crescere nel sociale: perché la pace è vissuta nella convivenza;
– il primato dell’interiorità che svela il segreto della trascendenza dell’uomo: perché la pace, alla fine, richiede il riconoscimento un “ordine” che tutti ci supera, che riceviamo come dono e al quale dobbiamo imparare ad obbedire.
È a questa prospettiva trascendente che, inevitabilmente, giunge la nostra riflessione, anche la riflessione di una Scuola così prestigiosa e delicata come la vostra. Una prospettiva che ci illumina e permette di andare in profondità per riscoprire come la pace – con i suoi criteri di giustizia umana, economica e sociale – richieda e, allo stesso tempo, fecondi, il terreno semplice e sempre nuovo dell’amore che supera ogni egoismo, da cui germoglia la certezza che «ogni essere umano è persona» : persona con la quale vivere quella «fraternità» fra uomini e fra popoli che – cito ancora il Papa nel Messaggio appena inviato per la Giornata Mondiale della Pace del 1 gennaio prossimo – è «anelito insopprimibile» del cuore di ogni uomo ed è «fondamento e via per la pace» .
Grazie di cuore!
X Santo Marcianò
21-02-2014