(da “L’avvenire di Calabria” – 20 ottobre 2013) a cura di Filippo Curatola 1. Carissimo don Santo – permettimi di chiamarti così come sempre ho fatto – questo nuovo scenario per la tua missione pastorale apre probabilmente panorami nuovi, in qualche modo, impensati per la tua stessa vita. Sperimenti un passaggio delicato: da Vescovo di una diocesi calabrese immerso nella vita dei preti e della gente comune a Vescovo di una diocesi singolare, unica in Italia: quella di tutte e Forze armate. Per te probabilmente un “mondo nuovo”. Ma anche ricchissimo: c’è, a quanto so, anche un Seminario teologico di quanti – nel mondo militare – desiderano diventare sacerdoti. Quali le tue prime riflessioni? Le vie di Dio spalancano sempre dinanzi a noi novità delle quali, tuttavia, non sempre ci accorgiamo. Ogni cosa è nuova, ogni giorno. E per un vescovo, per un presbitero, per una persona consacrata, per un cristiano, è dono e compito vivere nella percezione silenziosa e misteriosa della novità di Dio. A volte, però, queste novità hanno in noi un impatto forte e richiedono un adattamento, una specie di “conversione”. Ed è proprio questo il mio stato d’animo, oggi. Sì, Dio ha chiesto al mio ministero un cambiamento imprevedibile, indicando una strada completamente nuova, anche per un vescovo; e questo, lo confesso, mette un po’ paura, assieme ad un grande senso di responsabilità: una paura e una responsabilità che, nel momento iniziale, sembrano avere la meglio. Due aspetti, però, mi hanno subito colpito e sollecitato, aiutandomi a percepire il senso profondo del ministero che il Signore mi chiede e quasi offrendo un iniziale indirizzo a questo ministero. La diocesi dell’Ordinariato Militare, che è appunto una vera e propria diocesi, ha un’estensione particolare: essa, come sappiamo, raggiunge tutti i luoghi in cui vi sono militari in Italia e tutti i contingenti di militari italiani all’estero. Mi piace definirla, come ho scritto nel mio primo Messaggio ai fedeli, una Chiesa “senza confini”. Una Chiesa, cioè, chiamata a raggiungere in modo peculiare quelle «periferie geografiche ed esistenziali» di cui tanto parla Papa Francesco. Ecco, Dio chiama il mio essere vescovo a questo ulteriore orizzonte: alle periferie di una diocesi straordinariamente estesa ma anche alle periferie di situazioni in cui, attraverso il mondo militare, si raggiungono le persone che più hanno bisogno di aiuto: dai più piccoli, agli indifesi, ai dimenticati, a coloro che sono nell’oppressione e nella guerra… In questo contesto, a volte violento – ecco il secondo aspetto –, la presenza della Chiesa indica che è sempre possibile, per l’umanità, rispondere con il bene e con la pace ad ogni male e ad ogni guerra. Se la Chiesa esiste nel mondo militare, e se il Signore chiede a me di servire questa Chiesa, è per portare anche lì la logica evangelica della beatitudine della pace, per educare alla pace, per pregare per la pace. Una preghiera, quella per la pace, che ha con forza segnato in questo tempo anche le indicazioni di Papa Francesco alla Chiesa tutta. Essere Chiesa aperta ed essere Chiesa di pace: questo è, dunque, il primo scenario che vedo dinanzi; uno scenario che ci vuole Chiesa impegnata nella pastorale ordinaria, concreta, quotidiana; che vede tutti, primi fra tutti i cappellani, vicini ai militari e alle loro famiglie, ai giovani che fanno un cammino di fede o che si interrogano sul senso della vita e sulla propria vocazione, a coloro che affrontano missioni difficili e tragiche, ai feriti e ai caduti, così come ai loro cari che hanno il dolore nel cuore… Sì, una Chiesa aperta e vicina, che porta nel cuore le sofferenze di coloro che aiuta: e quanta possibilità di lavoro intravedo in questo senso! 2. Uno sguardo ai tuoi sette anni di Vescovo a Rossano. Chissà quante cose custodisci nel tuo cuore; chissà in quanti cuori é custodito il tuo volto. Potresti – in estrema sintesi – dirci le tre cose di questa stagione che non dimenticherai mai e le tre cose che non vorresti mai dimenticassero i Rossanesi? Lo sguardo a questi sette anni di episcopato nella Chiesa di Rossano-Cariati mi fa sgorgare dal cuore un’unica parola: grazie! È un’espressione commossa, di cui solo Dio conosce la profondità, l’autenticità e, in questo momento, anche la sofferenza provocata dal distacco. Ed è in questo grazie, a Dio e a questa Chiesa, che colloco le tre cose che non dimenticherò mai e che, specularmente, non vorrei che la diocesi dimenticasse. Anzitutto l’amore: una amore nuovo, quello che il vescovo prova per la sua Chiesa Sposa e che riceve da lei. La diocesi di Rossano-Cariati mi ha reso vescovo, mi ha reso sposo, e io non potrò dimenticare questo amore; ma vorrei che anche la diocesi non dimenticasse che l’amore ricevuto e dato al vescovo, ad ogni vescovo, è la garanzia di unità, di comunione ecclesiale. E che questo amore, questa comunione, è l’essenza della Chiesa e porta sempre frutto! La seconda cosa che non potrò dimenticare è il fatto che, come ho detto nel giorno della mia Nomina, questa Chiesa mi ha fatto veramente crescere insegnandomi, in un certo senso, il ministero che per essa ho ricevuto da Dio. Come vescovi, come cristiani, non dobbiamo dimenticare l’invito sempre forte di Dio a crescere nella fede, nella vocazione, nell’amore per Lui. Il fatto che questa Nomina mi abbia raggiunto mentre sta per chiudersi l’Anno della fede è stato per me un sincero motivo di riflessione, rafforzandomi in un “sì” non facile e, allo stesso tempo, rassicurandomi sul fatto che questo “sì”, chiesto anche alla diocesi, sarà un passo di grande e bella maturità di fede. Infine, la terza cosa che non potrò dimenticare sono i volti delle persone di questa Chiesa: tutti indistintamente ma soprattutto, consentitemelo, quelli dei sacerdoti, dei “miei preti”! Io li ho amati con tutto me stesso e ho cercato davvero di stringere con ciascuno un rapporto personale; ho ringraziato sempre Dio per il bel presbiterio che ha voluto donarmi e ho vissuto per tutti ma, prima di tutto, per i presbiteri. Perché i preti, come anche Papa Francesco ci ha recentemente ricordato, sono il primo “prossimo” per il vescovo. Ed ecco allora che dico alla diocesi: non dimenticate i preti! Lo dico ai preti stessi, perché curino la bellezza della loro vocazione e la custodiscano, in modo particolare attraverso quella fraternità presbiterale che insieme abbiamo cercato di costruire e vivere ogni giorno; lo dico ai fedeli, lo dico ai giovani: perché tutti amino i loro sacerdoti e li aiutino ad essere preti, con la vicinanza discreta e collaborativa e con tanta, tanta preghiera 3. Da Vescovo di Rossano ad Ordinario Militare d’Italia: lasci la terra, che ti appartiene e a cui appartieni, non solo Reggio, non solo Rossano, ma la Calabria intera. Ti chiedo: avrai modo – nel tuo nuovo servizio episcopale – di rapportarti con le chiese di Calabria, con la vita dei calabresi? Il rapporto con la Calabria non finisce: il ministero, certamente, mi condurrà spesso anche qui, tra le varie realtà dove l’Ordinariato Militare è presente. Ancor più, però, il rapporto con la Calabria rimane un rapporto di “radici”, di “fonte”: è qui la mia Chiesa Madre che mi ha generato alla fede e alla vocazione; è qui la mia prima Chiesa Sposa che, come dicevo, mi ha generato all’episcopato. Il grazie, a questo punto, si fa ancora più intenso, più profondo, più commosso: tutto ciò che io sono lo devo a questa Chiesa! E quella ricchezza che, ne sono profondamente convinto, è un patrimonio della nostra Chiesa di Calabria, sarà ora anche per tutto il territorio che dovrò servire. 4. Reggio, come sai, sta vivendo la nuova stagione dell’episcopato di Mons. Morosini. Tu, che hai vissuto tanti anni a fianco di Mons. Mondello, cosa auguri al nuovo Presule Giuseppe e a Vittorio l’Emerito? Cosa auguri alla intera nostra – e tua – chiesa reggina? L’augurio alla mia Chiesa Madre di Reggio si colloca, dunque, in questa scia ed è veramente sentito: l’augurio a cogliere la novità di Dio perché anche per Reggio questo è un tempo nuovo, benedetto dal ministero di Monsignor Morosini il quale con l’aiuto di Dio, con i suoi carismi, nonché con la collaborazione e la preghiera di tutti i reggini, potrà far fruttare enormemente queste splendide ricchezze. Ma l’augurio ha oggi un pensiero di particolare gratitudine per quanto Monsignor Mondello ci ha donato. Lui è il vescovo con il quale il mio sacerdozio è maturato, dal quale il mio ministero episcopale ha appreso tanto: a lui, con tutti voi, ripeto quel grazie che tante volte ho potuto dirgli, sentendo ancora e sempre nel cuore un grande affetto di figlio. 5. Un’ultima domanda, con una notizia simpatica per i nostri lettori. Tu sei da sempre un nostro abbonato. Come Vescovo – pur avendo diritto all’abbonamento gratuito – hai voluto manifestarci la tua comprensione e vicinanza inviando ogni anno un ‘offerta affettuosa. E’ chiaro che anche per il futuro rimarrai nostro abbonato, ma vorrei chiederti: una volta che avrai preso visione con chiarezza dei nuovi orizzonti che si aprono per il tuo ministero, permetterai magari che qualcuno di questa tua nuova singolare diocesi diventi collaboratore del nostro Settimanale? Caro don Pippo, come non continuare a leggere l’Avvenire di Calabria? Come non augurare, a te e a tutta la Redazione, di continuare un lavoro di cui tutti conosciamo la preziosità? È una preziosità, questa, che si percepisce ancora di più quando, per la lontananza fisica dalla diocesi, nelle pagine del vostro Giornale si ascolta l’eco di quella comunione che supera ogni spazio e ogni tempo. Ogni tipo di collaborazione sarà sempre possibile, ma oggi sento di dire a voi soprattutto il mio grazie: per questa intervista, per il vostro affetto, per le tante attenzioni che mi avete dimostrato nel tempo. E grazie per come, con la vostra puntuale e competente presenza, continuerete a sentirmi e a farmi sentire “vicino” e “reggino”, anche dai confini più lontani della mia nuova Chiesa “senza confini”. Dio vi benedica!
Da una diocesi calabrese ad una Diocesi unica in Italia
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19-02-2014