Cappella del Policlinico Militare del Celio, Roma 21 dicembre 2021

21-12-2021

Carissimi fratelli e sorelle,

il Natale è vicino, l’attesa si fa più fervida, più intensa, più commossa. Il Vangelo (Lc 1,39-45) ci accompagna in questa attesa con il racconto della Visita di Maria ed Elisabetta, un Mistero che si addice particolarmente a questo luogo, agli operatori sanitari, agli ospedali.

Visitare, se ci pensiamo bene, è un termine che ha molta attinenza con il mondo sanitario.

La visita è un atto medico, un atto personale del medico che si rivolge personalmente al paziente. Da paziente – anche da paziente di questo Policlinico -, posso dire che la visita del medico infonde fiducia e senti come non sia sostituibile da nessuna macchina, tecnica, procedura; oltre alla comprensione clinica, essa stabilisce una relazione, appunto tra medico e paziente.

La visita, poi, è una atto comunitario. Nei reparti, al mattino si svolge la visita in équipe, momento di confronto, condivisione, studio, apprendimento per i più giovani. È anch’essa una dimensione relazionale, una collaborazione spesso essenziale per la diagnosi, la terapia, la presa in carico del paziente.

La visita, però, non è solo qualcosa di medico, è un gesto più grande di servizio e di affetto: la pratica di visitare gli ammalati da parte di amici, parenti, volontari è tra le Opere di misericordia dalla Chiesa.

Maria, dunque, visita Elisabetta. E l’atto della visita non inizia con  l’ingresso nella casa ma già da quanto Ella si alza e va in fretta verso la montagna…

Ecco, visitare è andare verso l’altro, raggiungere l’altro nella situazione in cui si trova: nella malattia e difficoltà, scoprendone il tesoro che porta dentro; entrambe portano dentro un bambino.

Non è puro assistenzialismo, neppure in medicina; ma neppure è mera esecuzione della volontà altrui.

La vita è relazione e quanto è importante la relazione medico-paziente, soprattutto oggi! Una relazione dentro la quale c’è un reciproco riconoscersi.

Maria va verso Elisabetta, va intenzionalmente verso un’anziana incinta, una categoria che potrebbe essere scomoda, almeno ai nostri giorni.

Il Vangelo illumina l’immagine delle due donne gravide; questo, da una parte, fa pensare al tema della natalità e alla denatalità, ormai allarmante ai nostri giorni, nonché del mutato approccio alla generazione. Un tempo la donna incinta era il centro della famiglia, della comunità, dei piccoli paesi. Oggi c’è una profonda solitudine che non permette scelte libere, non solo dal punto di vista economico ma anche sociale, culturale, umano. Non ci accorgiamo più di questo tesoro: la donna incinta è spesso un peso per il mondo del lavoro, per la società; talvolta anche per la medicina che non esita, ad esempio, a suggerire la via dell’aborto per qualsiasi rischio o sospetto di malattie congenite, malformazioni, patologie importanti o anche lievi, che possano richiedere maggiore cura.

È una sconfitta della scienza medica, così come lo è la morte procurata, «somministrata»[1] – l’ha definita così Papa Francesco di recente – con eutanasia o suicidio assistito. Maria, appena iniziata la gravidanza, si prenderà cura dell’anziana Elisabetta; oggi, invece, assieme ai malati anche gli anziani subiscono i colpi di scalpello di una società che discrimina, scarta e fa sentire inutili… Ma la tentazione di “farla finita”, che a volte potrebbe cogliere la persona in condizioni di fragilità, non deve diventare mai una via percorribile per la medicina. Mai! Dobbiamo gridarlo! Sarebbe antiscientifico e antimedico, oltre che antiumano.

E se è vero che un tale quadro si sta imponendo nella cultura dominante, è vero che esso fa emergere la preziosità della relazione medico paziente: agli albori dell’esistenza, al termine della vita, in gravi patologie, in circostante drammatiche come l’attuale pandemia…

Non posso qui non sottolineare ancora una volta, con grande ammirazione e gratitudine, il ruolo decisivo che la sanità sta giocando in una tale emergenza mondiale, in particolare la sanità militare: ricerca scientifica, ricoveri e trasferimento di pazienti, organizzazione della campagna vaccinale in tanti aspetti… Anche in questo frangente i vostri diversi Presidi, come questo Policlinico Militare del Celio, rappresentano un’eccellenza e un prezioso strumento di giustizia e pace, per le cure che assicurano a tutti; e rendere terapia e prevenzione fruibili per tutti è giusto ed essenziale, a livello nazionale e internazionale.

È grave, ad esempio, che nei Paesi poveri sia ridotta la fornitura di vaccini o sia impossibile somministrarli per precarie condizioni igieniche… Oltre a costituire una violazione dei diritti umani basilari, tutto ciò costituisce un ulteriore rischio di aggravamento della pandemia, come stiamo vedendo attualmente con le varianti a partenza da alcuni Paesi dell’Africa… Siamo tutti sulla stessa barca, aveva detto il Papa nei primi giorni dell’emergenza; non ci si salva da soli[2]!

La fraternità, dunque, è messaggio fondamentale, per la pandemia e per il prendersi cura dell’altro.

È ancora il Vangelo a offrirne le coordinate: Maria «si alza e va in fretta», dice il testo: e Papa Francesco, commentando domenica scorsa all’Angelus queste parole, ha indicato nell’«alzarsi» quel non ripiegarsi su di sé che aiuta anche a superare i problemi e nella «fretta» un atteggiamento di fiducia, speranza, gioia[3].

Anche voi lasciate posizioni comode o problemi talora difficili, dimenticando voi stessi per venire incontro alle sofferenze altrui; non anteponete le vostre necessità e neppure, se ci pensiamo bene, la vostra sicurezza, per guarire, curare, consolare… E lo fate cercando di infondere fiducia e speranza, anche quando sapete che curare può non significare guarire, ma consapevoli di quanto sia benefico aiutare il paziente a continuare a lottare e a non arrendersi, cercando di vivere in pienezza ogni attimo.

Cari amici, mi piace dire che ciò che voi fate è il cuore del Natale, della gioia del Natale cantata nella prima Lettura (Sof 3,14-17): la gioia del «Dio in mezzo a noi».

Se Dio è venuto in mezzo a noi, è perché ha voluto curare e prendersi cura dell’umanità, di tutti gli uomini. Ma se Dio, per venire in mezzo a noi, si è fatto Bambino, è perché ha voluto avere bisogno di essere curato e ricevere cure; ha voluto affidarsi a noi e affidare a noi il dono della vita; ha voluto dire che ogni vita umana, in diverse fasi e situazioni, ha valore sacro, come la Vita assunta da Gesù.

Grazie, cari amici del Celio, perché, con il vostro lavoro, voi dite questo, permettendo a Dio di venire anche oggi. E questo, anche oggi, è il Natale.

Auguri di cuore.

Santo Marcianò

[1] Francesco, Saluto, Palazzo Presidenziale di Atene, 4 dicembre 2021

[2] Francesco, Preghiera in Piazza San Pietro, 27 marzo 2020

[3] Cfr. Francesco, Angelus, Piazza San Pietro, 19 dicembre 2021