Corso di Formazione e aggiornamento per i Cappellani Militari 17-10-2022

17-10-2022

Omelia alla S. Messa

Assisi, Basilica S. Maria degli Angeli, 17 10 2022

 

  1. Il cantiere della strada e del villaggio

Carissimi fratelli e sorelle, cari confratelli presbiteri, i giorni del nostro Convegno iniziano alla Mensa del Signore. Ci vogliamo sfamare di Lui, nutrire della Sua Parola, perché sia Lampada ai nostri passi, Luce sul nostro cammino: rischiari la mente, rendendola capace di una riflessione seria, equilibrata; riscaldi il cuore, per poter tradurre gli approfondimenti pastorali in azione, accompagnamento, preghiera verso gli uomini e le donne affidati al nostro ministero. Ci vogliamo nutrire del Signore nell’Eucaristia, per rendere questi giorni un tempo di vera comunione, un camminare insieme, come presbiterio, nello stile e nella gioia sinodale.

L’immagine del Sinodo è l’immagine del cammino; e tale immagine evoca, in particolare, il primo dei tre “Cantieri di Betania” sui quali la Chiesa italiana, contemplando l’Icona dell’incontro di Gesù con Marta e Maria, chiede di soffermarci quest’anno a riflettere: «Il cantiere della strada e del villaggio»; i «mondi» da incontrare e i «linguaggi» da parlare, con l’aiuto dello Spirito Santo. Ed è interessante che il Salmo Responsoriale (Salmo 99 [100]), in un certo senso, ci faccia fare proprio questa esperienza, attraverso i verbi usati all’imperativo: alcuni, infatti, sono verbi di movimento, si riferiscono al cammino sulla “strada”; altri si riferiscono al “linguaggio”.

Il Salmo è rivolto primariamente a quanti ritornano dall’esilio, ma, in realtà, apre uno scenario universale: «Voi tutti della terra»: tutti gli uomini, da tutti i luoghi, su una grande strada. E la strada è luogo dove prestare «ascolto ai diversi “mondi” in cui i cristiani vivono e lavorano, cioè “camminano insieme” a tutti coloro che formano la società», dice il Documento della CEI, includendo anche gli ambiti «dell’impegno politico e sociale, delle istituzioni civili e militari».

Questo è il nostro mondo! Il mondo in cui dobbiamo scendere in strada per incontrare le moltitudini dei militari, compresi coloro che le parole del Salmista ci fanno immaginare come lontani ma – è interessante – sono coinvolti in un cammino che sempre, anche inconsapevolmente, è orientato al Tempio del Signore.

Il primo imperativo rivolto a costoro è: «Acclamate al Signore»; in latino: jubilate, gioite!

Il Sinodo continua ad essere tempo di ascolto ma chiede, in particolare a noi pastori, di cogliere in esso, e portare alla luce, alcuni elementi di gioia. Siamo sulla strada, sulle strade in cui i nostri militari vivono e operano: strade che essi devono rendere sicure, proteggere dalla violenza, salvaguardare dalla devastazione, custodire nelle calamità naturali, pacificare nella guerra… strade che a volte sono fatica, incertezza, pericolo. Eppure, il Salmo canta l’imperativo della gioia. Quale?

È la gioia del servizio: «Servite il Signore nella gioia»; e dobbiamo ammettere che spesso sono proprio i fedeli a offrirci un tale esempio. Quante volte vediamo i nostri militari veramente gioiosi di svolgere il loro sevizio, di portare a termine una missione difficile, di mettere a repentaglio la propria vita per salvare quella dei fratelli! Non sempre li accompagna una motivazione di fede; ma servire nella gioia, se ci pensiamo bene, è già servire il Signore. Sì, la modalità peculiare del servizio dei militari è una preziosità da valorizzare, un cammino orientato all’oblatività. Ed è proprio questa la strada lungo la quale si può scoprire, con gioia, di aver servito il Signore.

Ma c’è un altro livello che il Salmo propone: la gioia dell’appartenenza: «Egli ci ha fatti e noi siamo suoi». Fa eco San Paolo nella prima Lettura (Ef 2,1-10): «Siamo infatti opera sua». Oggi, molte solitudini e confusioni derivano da scarso senso di appartenenza – alla famiglia, alla comunità, alla Chiesa… – del quale l’uomo non può fare a meno. «La sua vita non dipende da ciò che egli possiede», dice Gesù nel Vangelo (Lc 12,13-21); dipende, potremmo in certo senso dire, dal sentirsi posseduto. L’appartenenza sono le radici e anche lo scopo della vita; in una parola, l’appartenenza è identità. Anche il senso di appartenenza è significativo nel nostro mondo: appartenenza a un Corpo militare, al Paese, alle Istituzioni… è una dimensione da potenziare, far maturare, tradurre in un cammino di libertà che sigilla ogni creatura nell’appartenenza all’amore di Dio. Al di fuori dell’amore, infatti, qualunque appartenenza finirebbe per essere un ingiusto possesso.

Come cappellani, pur con le dovute differenze, sperimentiamo l’appartenenza che viene dal condividere situazioni concrete di vita dei nostri militari, in caserme, scuole, uffici, missioni estere… Come cappellani abbiamo il privilegio di una “pastorale sul luogo del lavoro”; ma, come sacerdoti, apparteniamo in  modo totale a Cristo; e questo è il cuore della pastorale e della nostra testimonianza di gioia.

C’è, infine, la gioia della comunione, della comunità: siamo «Suo popolo e gregge del Suo pascolo» spiega il Salmo. Dunque, c’è di mezzo un popolo; un’appartenenza a Dio, non solo personale ma comunitaria. Il Sinodo è un evento di popolo; è uno stile che “non è” se non “con e per” il popolo; ci vuole popolo, ci stimola a riscoprirci popolo.

Sappiamo quanto importante sia la categoria del popolo per Israele; e la gioia del ritorno dall’esilio è anche la gioia di vedere il popolo ricompattato, riunito, incamminato sulla strada di casa: «Varcate le sue porte…»; entrate insieme in quella dimora, in quella terra dalla quale eravate stati allontanati.

È la cura della «terra», che i nostri militari assicurano, a chiamarci in causa, per una necessaria “pastorale dell’ambiente” e una giusta “ecologia umana”; è il «villaggio», ovvero l’ambito sociale e politico nel quale essi sono inseriti, a dare una direzione al cammino di popolo nella nostra Chiesa.

 

Cari confratelli, con quali «linguaggi» parlare a questo nostro popolo? Quale metodologia seguire per avviare, sulle nostre strade, la «conversazione spirituale» di cui parla il Documento della CEI sul Sinodo?

«Lodate… ringraziate… benedite…»!

Sono i verbi che il Salmo ci invita a riscoprire, coniugandoli all’imperativo. Certo, noi dobbiamo imparare meglio “le lingue degli uomini”, la grammatica dei social media, le modalità comunicative oggi più comuni, soprattutto nel mondo giovanile. Ma dobbiamo, come Chiesa e come preti, saper parlare e insegnare un linguaggio diverso.

È il linguaggio della «lode», in un tempo caratterizzato dal lamento, dalla mormorazione, dall’essere sempre più incontentabili rispetto a ciò che si possiede. «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?» ci ammonisce Gesù.

È il linguaggio della «gratitudine», dinanzi all’aggressività dei diritti rivendicati a tutti i costi. «Per grazia siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio», esorta San Paolo.

È il linguaggio della «benedizione», che smorza il conflitto e genera pace, nella certezza che «il Signore è buono» e buona e benedetta è ogni creatura che viene dalle Sue Mani.

Camminare sulle strade degli uomini, indicando la direzione del Tempio; condividere le loro lingue ma proponendo il linguaggio dello Spirito, continuamente attinto alla nostra preghiera. Una preghiera che in questi giorni, nella gioiosa fraternità presbiterale, è anch’essa espressione, epifania di sinodalità.

E così sia!

Santo Marcianò