Corso di formazione e aggiornamento per i Cappellani Militari 18-10-2022

18-10-2022

Omelia alla S. Messa

Assisi, Basilica S. Maria degli Angeli, 18 10 2022

 

  1. Il cantiere dell’ospitalità e della casa

 

Carissimi fratelli e sorelle, cari confratelli presbiteri, ieri ci siamo posti “sulla strada”, per iniziare, nel cammino sinodale, a mettere mano a uno dei “cantieri” che la Chiesa italiana ci esorta ad affrontare. Oggi siamo chiamati, per così dire, ad entrare in casa, attraverso il secondo cantiere: «L’ospitalità e la casa», appunto.

«In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”», abbiamo ascoltato dal Vangelo (Lc 10,1-9). Con la sua abilità a dipingere, Luca, del quale oggi celebriamo la Festa, ci rimanda spesso alla dimensione della casa e ce ne fa davvero assaporare il clima, in molti passi evangelici. La casa è il luogo dove i discepoli, dopo aver raggiunto i villaggi e camminato nelle strade, devono portare il Vangelo. Quel Vangelo che, se ci pensiamo bene, inizia nella casa di Nazareth (Lc 1, 26-38), con l’Incarnazione del Verbo nell’Annunciazione a Maria. E poi Betania (Lc 10, 38-42) casa in cui Gesù, trova riposo, ritirandosi e, soprattutto, dimorando negli affetti del cuore.

«Anche Gesù aveva bisogno di una famiglia per sentirsi amato», scrivono i vescovi italiani nel Documento sui Cantieri del Sinodo. Perché, al di là delle mura, la casa è luogo di relazione, dove si vive la «fraternità», la «maternità che accoglie», la «paternità che orienta». La casa è la famiglia.

Ecco, dunque, l’urgenza che la Parola di Dio ci mette dentro, per essere incarnata e annunciata: la casa. Una Chiesa che deve diventare “più casa”, la nostra; allo stesso tempo, una Chiesa che deve entrare maggiormente “in casa”, nelle case degli uomini, per aiutarle a ritrovare la propria dimensione.

 

La Chiesa deve diventare “più casa”.

Nella casa di Betania Marta accoglie Gesù, prepara tutto per Lui, pensa ai suoi bisogni di cibo e conforto; possiamo immaginare che mostri orgogliosa la sua casa come luogo pulito, ordinato, profumato, luminoso… “luogo per l’altro”. Marta mette a disposizione lo spazio della casa; Maria, dall’altra parte, offre il tempo. Ella ascolta il Maestro; e la sua icona ci riporta, ancora una volta, alle linee attuali del percorso sinodale. Maria è attenta ai bisogni più profondi dell’ospite, a quelli più intimi; è interessata alla sua storia, alle sue idee, alla Sua Parola.

In questa duplice dinamica c’è la missione della Chiesa: essere casa che accoglie e ospita tutti, prima di tutto il Signore. Accolti nella Chiesa, gli uomini e le donne di oggi devono trovare Gesù e Gesù si deve sentire a casa: Egli è il primo ospite; Egli – come per Marta, Maria e Lazzaro – è l’Amico!

Ecco, la Chiesa, la nostra Chiesa, le nostre singole comunità, devono essere luoghi di accoglienza indiscriminata, veri e propri cantieri di amicizia, generata dal rapporto con Gesù. Tutti devono poter essere accolti e tutti vi devono trovare il Signore, che abita questa casa come Amico, vi riposa, parla e prepara Egli stesso il banchetto della Vita.

Betania è Icona di una casa luogo di relazioni, di amicizia, ma anche, potremmo dire, casa della vita. Lì il Signore è riconosciuto come la Risurrezione e la Vita. Senza la vita non ci sono relazioni, non c’è amicizia, non c’è casa; senza salvaguardare il diritto alla vita di ogni persona, dal primo istante all’ultimo respiro, non si possono riconoscere altri diritti: il programma dei lavori di oggi lo riaffermerà con forza.

La Chiesa deve riscoprirsi casa perché, sentendosi a casa, ciascuno riscopra la propria appartenenza alla Chiesa, la coscienza di essere Chiesa e Chiesa locale.

E la nostra Chiesa dell’Ordinariato Militare ha, in questo, una vocazione peculiare: essere, spesso, casa per chi è lontano da casa. È un aspetto di questo “cantiere” pastorale sul quale dovremmo lavorare, con creatività e grande senso di responsabilità.

Le porte delle nostre Cappelle, degli uffici dei Cappellani militari, devono essere porte di casa, di quelle case dalle quali molti militari sono lontani, soffrendo le conseguenze dell’assenza, soprattutto nei momenti delle difficoltà e del dolore, delle gioie e delle festività; pensiamo ai militari imbarcati o impegnati in Missioni internazionali, alle feste di Natale lontani dagli affetti più cari, all’assenza in situazioni di malattia o gioie quali la nascita di un bambino…

Ecco, la Chiesa, la nostra Chiesa, è casa dove si sta, ci si ascolta, si condivide la comunione, si piange e si gioisce, si mangia e si beve… dove si fa Eucaristia. Ed è essenziale, come per ogni comunità, che le nostre comunità di Chiese militari siano fondate sulla Messa domenicale, da riscoprire e far riscoprire, da vivere e celebrare con cura. Già il nostro modo di presiedere l’Eucaristia è, in se stesso, una sorta di catechesi sulla Messa. E dall’Eucaristia nasce tutta la pastorale dell’accoglienza dei militari e, attraverso i militari, dei più poveri, dei migranti che loro salvano, delle persone fragili e abbandonate…

Un’accoglienza che la Chiesa dovrebbe esercitare in modo materno. La Chiesa è «donna», dice spesso Papa Francesco, invitando a riscoprire più che un “ruolo”, la dimensione femminile in se stessa.

Ieri abbiamo riflettuto sulla sessualità umana. Per lavorare sul “cantiere della casa” credo sia opportuno approfondire la dimensione femminile – materna che fa la casa. Per questo, una valida proposta pastorale potrebbe essere quella di stimolare una riflessione più profonda sulla donna nel mondo militare, assieme alla riflessione più ampia sul laicato, già suggerita.

La Chiesa, poi, deve entrare di più in casa, nelle case, per aiutarle a ritrovare la propria dimensione.

Nel confinamento dovuto alla pandemia, la «casa» ha avuto un ruolo fondamentale: è stato luogo in cui ritrovarsi, crocevia di affetti e di tensioni; riscoperta di gioia e esplosione di crisi… soprattutto, ha iniziato a trovare spazi di ascolto della Parola di Dio, a sentire la sua identità di «Chiesa domestica»: una dimensione che occorre far crescere, potenziare, sviluppare.

Nel Vangelo di oggi, Gesù, manda i suoi ad evangelizzare entrando nelle case e li esorta a portarvi la Sua pace. La pastorale di pace della nostra Chiesa chiede anche di entrare nelle case degli uomini, dunque nelle stanze delle caserme, nel concreto delle problematiche lavorative e organizzative… non certo per gestirle o sostituirsi alle autorità, ma per penetrare delicatamente nelle vite dei militari e delle famiglie.

Per vivere uno stile sinodale, si diceva, bisogna passare “dall’io al noi”. E dove avviene questo superamento dell’autoreferenzialità se non nella casa? Ecco, dunque, l’importanza di curare la pastorale familiare e relazionale. Quando infatti le relazioni sono vissute con astio, quando si stravolgono, quando si negano negando l’altro, la casa finisce di essere tale e diventa luogo di solitudine.

Bisogna, sempre e comunque, aver cura della casa e delle case, anche se non sempre siamo accolti.

Perché se è vero che, come Chiesa, non sempre siamo accoglienti è vero che non sempre siamo accolti.

Bisogna, allora, entrare come raccomanda Gesù: senza possedere nulla, senza vantare titoli, senza aspettarsi nulla.… entrare da fratelli. È lo stile sinodale, vissuto e testimoniato da voi Cappellani Militari, punti di riferimento anche per i non credenti.

Soprattutto, bisogna credere che il Vangelo può creare e ricreare, risanare e far crescere… credere, come Francesco, che la casa si può sempre “riparare”. Ogni casa. Anche la Casa di Dio, la Chiesa.

Continuiamo a lavorare insieme per questo.

Santo Marcianò