Corso di formazione e aggiornamento per i Cappellani Militari 20-10-2022

20-10-2022

Omelia alla S. Messa

Assisi, Basilica S. Maria degli Angeli, 20 10 2022

 

  1. Il cantiere della diaconia e della formazione spirituale

 

L’«uomo interiore»! È questa l’immagine con cui concludiamo, oggi, il nostro Corso di Formazione. Un’immagine che è, al contempo, sintesi e partenza.

È la parte di noi a cui San Paolo, nella prima Lettura (Ef 3,14-21), si rivolge: «l’uomo nascosto nel cuore», potremmo tradurre alla lettera, richiamando anche la prima Lettera di Pietro che invita le mogli, le donne, a prendersene cura, più che pensare agli ornamenti esteriori (cfr 1 Pt 3,4).

Una donna, Maria di Betania, è l’Icona che raffigura il terzo “cantiere sinodale” che la Chiesa italiana ci spinge a valorizzare: “la diaconia e la formazione spirituale”. E le parole di San Paolo si collocano proprio in questa duplice direzione: l’«uomo interiore», infatti, è colui che è «rafforzato dallo Spirito», e vediamo qui la «formazione spirituale»; «radicato nella carità», dunque la «diaconia».

 

È bello pensare all’interiorità come a un “cantiere”, nel quale lo Spirito Santo lavora continuamente nell’opera della nostra formazione. È bello pensare all’interiorità come alla «parte migliore» che Maria sceglie, cura, scopre in sé, conoscendo meglio se stessa; come alla «parte migliore» del nostro ministero, da riscoprire ogni giorno.

Preghiera, ascolto della Parola, Adorazione Eucaristica… L’uomo interiore, in fondo, ci richiama anche il «discepolo interiore» che alcuni esegeti identificano nel «discepolo amato», Giovanni. Riscoprirsi amati! Non è scontato, neppure per noi presbiteri. Gustare l’amore che ci comunica il Cuore di Cristo auscultato dal nostro capo reclinato sul Suo petto… gustarlo nella dolcezza di una preghiera serena, così come nell’amarezza della Croce, da cui solo chi si lascia penetrare, fino alla profondità delle proprie ferite e sofferenze, riesce a non scappare.

La parte migliore è stare «ai piedi di Gesù», come Maria di Betania, quando ci sembrerebbe piuttosto di avvertire la solitudine di Marta nel servire; il fallimento, la pesantezza, la noia del ministero; la “parte migliore” è non stancarsi, come Paolo, di piegare «le ginocchia davanti al Padre, dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra», per ritrovare in Lui la sorgente e lo stupore della paternità sacerdotale.

«Un servizio che non parte dall’ascolto crea dispersione, preoccupazione e agitazione: è una rincorsa che rischia di lasciare sul terreno la gioia», scrivono i vescovi italiani. E richiamando anche la Evangelii gaudium (n. 92), invitano a «riconnettere la diaconia con la sua radice spirituale, per vivere la “fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano”»[1].

Come sacerdoti, credo che dobbiamo guardare a questo cantiere in una duplice prospettiva: da una parte, mantenendo stretto il legame tra interiorità e carità, spiritualità e diaconia, specie in riferimento al cammino personale di ciascuno di noi; dall’altra, focalizzando sempre meglio il nostro servizio di carità, come della formazione spirituale di coloro che ci sono affidati; come, mi verrebbe di dire, “diaconia dell’«uomo interiore»”.

 

È a questo uomo che oggi pensiamo, ultimando la nostra riflessione sui diritti.

«Diritti individuali o diritti personali?», vi chiedevo aprendo una delle Sessioni del nostro Convegno. Parlare di «diritti umani» significa pensare alla «persona» nella sua integralità, nella sua relazionalità, nella sua profondità che arriva fino all’«uomo interiore», nascosto nel cuore, della cui esistenza spesso la persona stessa non si rende conto, fino a che non impara a decifrarne gli aneliti profondi, i desideri piuttosto che i bisogni.

La «fraternità mistica, contemplativa», di cui parla Evangelii Gaudium, scoprendo «Dio in ogni essere umano» può aiutare l’essere umano a scoprire Dio in se stesso, o almeno a scoprirne le impronte nel suo essere fatto per l’Assoluto.

Che bello essere fratelli degli uomini così!

E così, forse, tanti degli pseudo-diritti di cui abbiamo parlato non sarebbero più rivendicati come tali ma piuttosto incanalati in quella prospettiva dell’accoglienza che è, prima di tutto, accoglienza di se stessi, della vita e identità, della sofferenza e della morte… in una parola, della propria creaturalità, con i suoi limiti e la sua bellezza.

Così, forse, si possono affrontare meglio quelle che il Documento della CEI definisce «le questioni legate alla formazione dei laici, dei ministri ordinati, di consacrate e consacrati; le ministerialità istituite, le altre vocazioni e i servizi ecclesiali innestati nella comune vocazione battesimale del popolo di Dio “sacerdotale, profetico e regale”».

«L’uomo interiore», diceva infatti Giovanni Paolo II commentando questo passo di San Paolo agli Efesini, è l’uomo «che non si accontenta di una vita esterna, spesso superficiale, ma intende vivere nelle “profondità di Dio”, scrutate dallo Spirito Santo». È l’«uomo spirituale», che lo stesso San Paolo distingue dall’«uomo psichico» (cfr. 1 Cor 2,13-14), aiutandoci «a capire la distanza tra la maturazione connaturale alle capacità dell’anima umana e la maturità propriamente cristiana». E parlare di maturazione, lo capiamo bene, significa parlare di formazione; significa puntare alla formazione, e alla formazione spirituale, come quell’arte che aiuta la persona a maturare, a crescere, a svilupparsi all’altezza delle sue potenzialità, della sua dignità, della sua verità di essere creato a immagine e somiglianza di Dio, che ha in sé il «soffio», lo Spirito di Dio.

«La coscienza di questa Radice divina della vita spirituale, che dall’intimo dell’anima si espande in tutti i settori dell’esistenza, anche esterni e sociali – conclude Giovanni Paolo II -, è un aspetto fondamentale e sublime dell’antropologia cristiana»[2].

 

Cari confratelli, credo che la “diaconia dell’«uomo interiore»” implichi la riscoperta affascinante e contemplativa di questa «sublime antropologia» e la capacità urgente di renderla percepibile attraverso la cura della formazione spirituale di tutti gli uomini e le donne delle nostre Forze Armate.

Abbiamo già dato, in tal senso, alcuni suggerimenti, come la possibilità di pensare a promuovere la “Scuola di Preghiera” nelle zone pastorali o anche nelle caserme, nelle scuole, nelle diverse unità… sarebbe non solo un’importante iniziativa di pastorale vocazionale, ma una straordinaria finestra spalancata sulle profondità dell’uomo, dove egli può incontrare Dio e riscoprire la propria preziosità di persona.

A questa si potranno aggiungere altre iniziative pastorali, per aiutare ciascuno a ritrovare il «fuoco» che Gesù «è venuto a portare sulla terra», (Lc 12, 49): “fiamma viva di amore”, dice San Giovanni della Croce, che purifica, illumina, brucia e consuma.

Essere infiammati dallo Spirito significa consumarsi nella carità e accendere, anche attraverso la formazione spirituale dei nostri militari, fuochi di amore, di giustizia, di pace e accoglienza della vita, in un mondo che continua a mortificare, violare e sopprimere l’essere umano e la sua dignità.

Che lo Spirito accenda attraverso di noi questi fuochi e ci accenda così, nella santità.

Santo Marcianò

[1] Conferenza Episcopale Italiana, I cantieri di Betania, 2022

[2] Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 10 aprile 1991