Pantheon, 1 novembre 2022
Carissimi, è la santità ad occupare il centro della Celebrazione di oggi, Festa di Tutti i Santi. Tutti. È molto bella questa sottolineatura: «una moltitudine immensa», dice la prima Lettura (Ap 7,2-4.9-14); quelli di ieri e di oggi, quelli più o meno conosciuti, quelli canonizzati e quelli che Papa Francesco chiama «santi della porta accanto»[1], gente comune che vive una vita di santità.
Sì, perché definire la santità è molto difficile: occorre che essa sia vissuta, occorre una vita santa. In fondo, noi lo percepiamo. I Santi sono come una luce che si accende nel buio, nella notte del mondo. Puoi definire quella luce, spiegando, ad esempio, i complessi meccanismi che regolano la trasmissione della corrente elettrica, è affascinante saperlo. Eppure, l’esperienza della luce è tutt’altra cosa!
Ci chiediamo: da dove nasce la luce della santità? Da una collaborazione tra il Divino e l’umano.
Anzitutto collaborare con Dio rispondendo alla vocazione che il Signore riserva a ciascuno di noi. Nel celebrare oggi tutti coloro che sono diventati Santi, dobbiamo anche ricordare che tutti siamo chiamati alla santità; siamo creati per essere «simili a lui», dice Giovanni nella seconda Lettura (1Gv 3,1-3). E possiamo rispondere a questa chiamata perché siamo fatti a immagine di Dio, immagine che diventa sempre più somigliante al Suo Creatore e Padre, quasi come i lineamenti umani ci rendono somiglianti ai genitori. Rispondere alla chiamata alla santità è, pertanto, anche collaborare con il Divino che è in noi.
Il Vangelo di oggi (Mt 5,1-12a) offre un dipinto straordinario della santità che, come tutte le opere d’arte, va capito alla luce dell’Ispirazione dell’autore.
È la pagina delle Beatitudini; parole con cui Gesù indica la vera bellezza dell’essere umano, nella quale si può trovare la felicità della santità. Santità e felicità sono, per così dire, sinonimi, se è vero che, come diceva un autore spirituale (Leon Bloy), «non c’è che una tristezza […] quella di non essere santi»!
La santità, in fondo, capovolge l’idea edonistica e irraggiungibile della felicità come di un qualcosa di etereo, che esclude ogni sofferenza, fatica, difficoltà e, soprattutto, coincide con il fare o avere sempre ciò che si vuole, a scapito del vero bene, proprio e altrui. La felicità della santità è invece, potremmo dire con Papa Francesco, una felicità «controcorrente»[2], come proprio le beatitudini ci insegnano a comprendere.
È la felicità di chi accoglie o sceglie la povertà come via di condivisione con i poveri, è libertà dalle cose e dall’autosufficienza per fare la volontà di Dio; di chi, piangendo, impara a diventare compassionevole verso gli altri; di chi fa della compassione e della misericordia il proprio stile di vita, consapevole di essere per primo bisognoso di comprensione e perdono; di chi opera scelte coerenti alla giustizia, anche in ambito sociale e politico, e ne è talmente affamato e assetato da lasciarsi perseguitare, offendere, forse uccidere per la giustizia stessa; di chi sa che non c’è giustizia senza amore ma non c’è amore senza rispetto, dedizione, senza uno sguardo puro su se stessi e sull’altro; di chi, infine, opera la pace: da una parte, costruendo percorsi di inclusione, dialogo, cooperazione sociale o internazionale e, dall’altra, impegnandosi per crescere come persona pacificata e mite, capace di reagire al male facendo il bene. Nell’oggi segnato dalla guerra, comprendiamo meglio il senso di questa beatitudine ma, al contempo, comprendiamo come non sia possibile realizzare una beatitudine senza le altre. Ecco, dunque, che la santità diventa una risposta non solo al bisogno personale di felicità, ma anche al bisogno di giustizia, amore, misericordia, pace che attraversa il mondo: è un vero patrimonio sociale, che le Beatitudini contengono.
Cari fratelli e sorelle, non dobbiamo, però, pensare di dover quasi cercare le situazioni difficili per diventare Santi… non è così.
Nel brano evangelico, è detto che Gesù, prima di parlare, «vede le folle». È bellissimo questo sguardo! Il Signore vede ciò che noi non riusciamo a vedere, degli altri e di noi stessi. Vede la povertà e le lacrime che spesso si nascondono dietro vite apparentemente riuscite, il bisogno di perdono e di purezza, la forza dei miti e dei misericordiosi, che sembrano falliti ma costruiscono giustizia e pace… Sì. Le Beatitudini non sono una condizione da inventare: sono la storia dell’umanità, la nostra storia, nella quale irrompe l’Amore di Dio che ci offre la via per uscire dalla via buia, nella quale a volte ci sentiamo ingabbiati, e ci fa entrare in una strada nuova, illuminata dalla luce dei Santi e che porta alla felicità della nostra santità.
Fratello, sorella, vuoi camminare su questa strada? Il Signore ce lo conceda. Auguri di santità. E così sia!
Santo Marcianò
[1] Cfr. Francesco, Esortazione Apostolica Gaudete et Exultate, 6-9
[2] Francesco, Esortazione Apostolica Gaudete et Exultate, 65