Messa in preparazione al Natale con le forze armate e le forze di polizia

06-12-2022

Palermo, Chiesa S. Francesco di Paola 6 dicembre 2022

 

Ci ritroviamo insieme in questo tempo di Avvento che, come sappiamo, significa tempo di attesa di qualcuno che deve venire. Anzi, di Qualcuno che è già venuto e deve tornare.

È Gesù che noi attendiamo!

Lo attendiamo ricordando il passato. Avvento è attesa del Natale, della nascita di Gesù a Betlemme, più di 2000 anni fa. Ma perché attenderlo, se è già venuto?

In realtà, sappiamo che Gesù tornerà alla fine dei tempi. I primi cristiani pensavano addirittura che questo Suo ritorno fosse imminente e vivevano come se il tempo dovesse finire da un momento all’altro… E di questa ultima venuta troviamo tante tracce nella Parola di Dio: pensiamo solo al cosiddetto Giudizio Universale. Se dunque l’attesa del Natale si rivolge al passato, l’attesa della venuta definitiva di Cristo è invece proiettata verso il futuro che può essere lontano o di cui, comunque, nessuno conosce i tempi.

Ma la fede ci dice che c’è un’altra venuta, per la quale Gesù nasce e rinasce ogni giorno nella vita della singola persona e della Chiesa. Gesù è presente, risorto, vivo; Egli ci viene incontro, nasce e rinasce in noi. E mentre facciamo memoria del passato e siamo proiettati verso un futuro di eternità, siamo ogni giorno stimolati ad accogliere la venuta di Gesù nel nostro tempo, nella nostra vita. Una venuta che cambia la vita di ciascuno e la vita del mondo.

 

La Parola di Dio oggi ci dice come veder rinascere Cristo nella nostra anima e nella concretezza di un mondo come il nostro, ferito ancora dalle conseguenze di una pandemia che ha sconvolto le vite e i rapporti umani e impaurito dalla guerra che si impone e rischia di diffondersi sempre più.

La Parola parla a tutti, parla a voi, carissimi militari, che avete un compito importante per la sicurezza dei cittadini, la difesa e la custodia della vita umana, nella guerra e nella pandemia come in altre emergenze e necessità del nostro Paese: come non pensare ai temporali e al terremoto che, proprio in questi giorni, hanno colpito la Sicilia e le Isole Eolie… Parla a voi, uomini e donne delle Istituzioni, impegnati a costruire un mondo migliore sul piano politico e sociale, per promuovere la dignità umana e assicurare alla nostra gente un contesto di giustizia, equità e pace. E dalla Parola di Dio di oggi vorrei trarre tre elementi che ci permettono di vedere concretamente la venuta di Gesù nella nostra storia e nel presente.

 

Il primo è il deserto. «Nel deserto preparate la via al Signore», abbiamo ascoltato dalla prima Lettura (Is 40,1-11). Oggi ci sono vari deserti, diceva Benedetto XVI. «Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono e della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo». E spiegava: «I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione»[1].

E voi operate in molti di questi deserti, esteriori e interiori. Nei deserti dell’illegalità e della criminalità organizzata, della violenza sulle persone e l’ambiente, che devasta la bellezza di questo lembo di «giardino di Dio» che è la Sicilia e oscura la bontà infinita della sua gente. Lavorare nel deserto è faticoso e poco gratificante. Significa affrontare aridità, solitudini e sperimentare un senso di improduttività che può far scoraggiare. Ma lavorare nel deserto è necessario; è necessario spargere costantemente semi di giustizia, legalità, rispetto delle Istituzioni; soprattutto di recupero di quella dignità umana la cui violazione desertifica la vita e le città. Come fare?

 

Ecco la seconda parola, la consolazione. «Consolate, consolate il mio popolo», dice ancora il profeta Isaia. E per consolare, nel deserto, non basta lavorare, bisogna esserci. Occorre affrontare i deserti interiori, per far sgorgare sorgenti nei deserti esteriori.

Voi militari e forze di polizia ci siete. Siete presenti, non solo come professionisti ma come persone accanto alle persone. Condividete i deserti, affrontando anche le solitudini della lontananza dalla vostra terra e dalle vostre case, dalle vostre famiglie e dai vostri affetti… e questo vale anche per i vostri colleghi che vivono l’esperienza del servizio nelle Missioni internazionali.

È la presenza che consola; che libera dalla solitudine e dal senso di abbandono. E libera tutti, soprattutto i poveri, gli ultimi, i piccoli, gli stranieri; coloro che, in qualche modo, si sentono smarriti, come la pecora perduta del Vangelo (Mt 18,12-14), e devono essere cercati, inclusi, integrati, portati in braccio, ovvero curati in modo speciale dalle leggi e dalla comunità.

Quanto è importante che della necessità di una tale presenza abbiano coscienza anche i responsabili del Paese, della cosa pubblica, della stessa comunità internazionale! “Consolare il popolo”, per chi si assume la responsabilità della difesa ma anche della guida – quale che essa sia -, implica stare con il popolo, vivere la sua vita. Se le decisioni vengono prese a tavolino, sulla pelle della gente, si arriva a produrre deserti di ingiustizia e di violenza, fino al deserto della guerra che stiamo vedendo estendersi in questi ultimi mesi. Solo la presenza, invece, cambia il deserto: lo rende abitato, fonte di vita e di gioia.

 

È l’ultima parola che vi consegno: la gioia

La prima Lettura parla dell’annuncio di liete notizie che avviene nel deserto; il Vangelo dipinge la gioia del pastore che salva la pecora e la stringe al collo.

Il vostro è un servizio che produce gioia negli altri: la gioia di farli sentire liberati dal giogo dell’ingiustizia, dalla potenza del ricatto, dalla sopraffazione di poteri che ledono la vita, la libertà e la dignità umana.

Ma il vostro è un servizio che porta gioia a voi. È la gioia di coloro che, come il pastore, vedono anche una sola persona liberata, riscattata, rispettata, rinata; e penso qui anche all’enorme servizio che in questa terra rendete con i migranti, con la gioia di salvare vite umane, accogliere, restituire dignità alle persone. È la gioia di contribuire alla coltivazione del giardino che è il creato, alla conservazione della bellezza artistica, alla pace in questa regione e nel mondo.

Questa gioia è la gioia dell’esserci. Questa gioia è la gioia del dare, anzi del darsi, fino a dare la vita.

Questa gioia è la gioia del primo Natale. Dio si è fatto Uomo, in Gesù. Dio ha volto esserci e illuminare i deserti della storia. Dio ha voluto esserci e donarsi a noi: mettersi, come un Bambino, tra le nostre braccia; vivere e camminare nelle nostre strade; condividere la sofferenza umana e la morte.

Cari amici, che il vostro esserci sia il Suo esserci. Che il vostro donarvi sia il Suo donarsi.

E, ogni volta che i deserti che siete chiamati a servire e abitare sembreranno sovrastarvi, sentite vicino Gesù. Sentite la Sua presenza e la Sua consolazione. SentiteLo rinascere in voi, come a Natale. E sarà Natale anche per gli altri.

Di cuore, Buon Natale!

Santo Marcianò

[1] Benedetto XVI, Omelia della Messa di inizio Pontificato, 24 aprile 2005